martedì 17 gennaio 2012

Cronache catalane, parte I: "approfitta e tocca" e la dura vita di una fan.

Il punto, fondamentalmente, é che noi fans siamo gente strana. Sí, insomma: lo sappiamo, che il frigorifero dei nostri idoli si riempie grazie a noi. D'altronde é la piú classica tra le rivendicazioni incazzate, se le cose non vanno come ci aspettiamo. Un po' da film disney di seconda categoria, per capirci. E' l'eccesso di arroganza del “ sei qui grazie a me” che – ringraziando il cielo- non ho mai avuto ragione di esternare. E'il commento in tono acido che ho sempre immaginato uscire dalla bocca di una bionda con le unghie finte lunghe quattro centimetri l'una. Una che odora di lacca per capelli. Giuro, non lo so perché. Ma ne siamo consapevoli, quest'é. Ce l'aspettiamo, quel grazie. Eppure, per qualche motivo, riusciamo comunque a sentirci sempre in debito. Come se la colonna sonora della vita fosse un premio troppo grande per riuscirlo a ricambiare. E' per questo che, da Dani Martín, io non so presentarmi a mani vuote. Per questo che, per circa un giorno e mezzo, il libro mi pesa in borsa tutte le sue migliaia di parole. 




Ci ho messo dei mesi a redigerlo. Lavoro di ricerca, selezione ed editing sfociato nell'antologia ragionata di tutti i suoi vecchi messaggi sul forum. Nel riflesso cartaceo di ricordi ed emozioni che s'apre in una lettera e si chiude con la traduzione di un post. Qualcosa che, se fossi in lui, vorrei sicuramente possedere. Qualcosa che adesso, in questa Barcellona piena di sbalzi termici e ottimismo forzato, gli voglio assolutamente consegnare. Per quanto la fortuna non sembri propriamente condividere l'idea. 

“Sono alla stazione di Sants, davanti al tabellone degli orari”

L'esseemmeesse di Celine mi sorprende sudata ai piedi di una scala. Iniziava tutto cosí. Abbandonando il sesto piano di una pensione senza ascensore dalle parti della Barceloneta.

“Di giá? Cacchio, ma sei in anticipo!”

Iniziava con una corsa contro il tempo per i corridoi troppo lunghi e troppo bianchi del metro. Le lancette indifferenti ai tempi del transbordo, mentre sfrutto gli ultimi 30 centesimi della mia scheda yoigo. “Vi prego, intrattenetelo, se ha preso quel treno lí”. Rossetto steso sulle labbra screpolate in mosse da contorsionista con le gambe attorno al trolley. Flashback non voluti di Sliding doors. Il fiato che non regge la mia corsa. L'immagine di due ragazze che chiacchierano tranquillamente davanti all'uscita degli arrivi. E, no: su quel treno lí, alla fine, non c'era. 

Ci passiamo mezza vita, allora, in quella stazione. Colazione al Mc Donald's, addentando le nostre brioches accanto al gazpacho di un presunto inglese. Calcoli basati sulla dinamica dei tweets. Aspettiamo fino al treno delle 12.40. Un divisorio in vetro a separarci dalle nostre speranze. Qualche chiacchiera ancora. Le lancette che marcano l'una, mentre decidiamo di tornarcene via. 

Lo scopriamo due ore piú tardi, quando quello stesso luogo si  rianima di reincontri e di maglie del merchandising. Il gruppetto sempre piú folto, le macchine fotografiche strette in mano, i  Bloc notes pronti a ricevere autografi. Forse per questo, mossa da pietá, la ragazza in divisa della Renfe ce lo dice. Dani Martín é giá in cittá. E' arrivato all'una e un quarto. Mentre Sil stava ancora facendo il biglietto appena al di sotto di questo stesso pavimento laccato. Merda. 

Non ci demoralizziamo, peró. In fondo, tra poco piú di un'ora c'é la prova del suono. Un pranzo veloce al baretto all'angolo e poi via, verso il Palau. Continua cosí. Con lo studio accurato delle possibili uscite. L'arrivo dei musicisti dentro a un furgoncino bianco. Le chiacchiere con Anto, e gli abbracci di MariCarmen che da secoli non vedo. “Holaaa!”, esclamo felice in direzione di Iván, tutto intento a sistemare il merchandising nel banchetto all'entrata. Un paio di ragazze, mentre il cielo si fa buio, iniziano a distribuire volantini promozionali. “Ser es mejor que aparentar”, dice una citazione autografata sopra ad uno scatto di Ruben Martín. Socializzo con una giornalista di Europa Press, scocciata di attesa e osservazione. L'edificio alle nostre spalle, esagerato d'eleganza, mi procura col suo stesso essere euforia. L'euforia, peró, é un sentimento d'eccesso. E, come tutti gli eccessi, pare stancarsi essa stessa di sé. Sará che devo andare in bagno. Sará che le gambe fanno male, che ne so.  Resta il fatto che, di botto, é come se mi vedessi dall'esterno. E non é piú solo il libro, a pesare. 



Che ci faccio io, qui? Una giornata intera a Barcellona e ho visto a malapena la stazione e quest'incrocio di strade. Inizio ad avvertire il freddo tra i vestiti, come se lo sentissi per la prima volta. Come se mi arrivasse dal cuore. Sto bene qui, intendiamoci. Qui in mezzo a queste facce che conosco, in mezzo a queste voci a cui ho tanto da dire. Eppure, per quanto mi sforzi, non riesco a non pensare di aver perso solo tempo. 

“Senti, il libro lo spediró a Puerco Espín. Andiamocene, che mi voglio cambiare”. 

Mentre camminiamo lentamente verso l'ostello, una citroen grigia si addentra nella strada parallela. Una sola occhiata. Celine e io giá sappiamo, dentro, chi c'era. 

Quello che non sappiamo, peró, é che ha un telefono in mano.

Perché sí, signori. In quello stesso momento, Dani Martín stava rispondendo a mia madre su twitter. Lei gli aveva scritto di mandarci un bacio. Che saremmo state in fila 10, stasera. Dalla Francia e dall'Italia, una volta di piú. Ed é quando leggo della sua gratitudine che capisco che la sorte é destinata a cambiare. Sará un gran giorno. Sará un gran viaggio. Ora lo so. 
E, Dio, quanto avevo ragione!

Ché, poche ore piú tardi, le note di Cruce de Caminos mi spronano ad alzarmi dalla mia poltroncina con un discreto anticipo sulle file anteriori. E' un attimo. Lo sguardo del cantante si sposta nella mia direzione, illuminando il  volto in un sorriso. Mi indica. Io azzardo un gesto di saluto. Come risposta, si batte due volte la mano sul cuore. Né libri né ricerche estenuanti: in questo momento, al centro della mia gioia, ho giá tutto quello che potrei volere. 





Ma ormai ho giá saputo anche l'hotel in cui si alloggia. Ormai che, conti fatti, non ricerco piú niente, tutto ha giá iniziato a riversarsi addosso a me. La ruota sta girando. Non la posso-  non la voglio - fermare. E' per questo che, comunque, lo aspetto all'uscita del Palau. Anche se basta guardare la quantitá di persone pressate attorno alla porta laterale per sapere con certezza che adesso, il libro, non glielo daró. Non importa, peró: adesso ho piú fiducia nel domani. E allora, preannunciato da una finestra e da urletti stereofonici, lui scende nella bolgia infernale. Decine di ragazzine gli si avventano letteralmente addosso, sparando flash praticamente a caso. Io mi mantengo in disparte, la schiena alla parete, lontana dal casino. Forse, da quella finestra, mi aveva giá vista, peró. 

Prima di prestare attenzione a uno qualsiasi dei loro striduli “Dani, Dani”, gira lo sguardo verso di me. Il suo “Hola Ilaria!”, per qualche ragione, mi precipita in uno stato di tranquillo relax che, da quel momento, non mi abbandonerá piú. Rispondo sorridente, agitando soltanto la mano. E arretro un altro po'. Stia indietro, la miscela di vergogna e oppressione che riesce sempre a provocarmi l'altrui diluvio di ormoni. Le osservo da lontano, vagamente divertita. Decisamente al sicuro. Quello che non avevo calcolato, peró, é che Dani avrebbe approfittato del primo varco disponibile per avvicinarsi a me. Quello che non avevo calcolato, é che di quella massa lui é calamita. Un frammento di secondo per mettermi in allarme: stare con la schiena alla parete, a conti fatti,tutto é stato tranne che una buona idea. 

Succede tutto in fretta. Troppo. Lui si avvicina, indicandomi previamente con il dito indice, come a dirmi “attenta, ora vengo lí”. Per un momento, le mie assurde sinapsi cerebrali lo mettono in associazione coi manifesti dello zio Sam, cosí mi scappa da ridere.  Quasi si facessero riflesso della mia stessa allegria, anche i suoi occhi azzurri s'illuminano divertiti. 

“Ilaria! Como estás?”

Un abbraccio veloce, peró stretto. La sua barba che punge appena le guance. Due baci piantati, non lanciati nell'aria, con il loro lieve schiocco ad accompagnare il profumo. Quel profumo. Dio, perché accidenti si rovescia addosso la bottiglietta intera? Perché é cosí intenso? Perché accidenti passeró la notte a risentirlo appiccicato sui capelli ogni volta che mi rigiro sul letto di un ostello low cost? Questa é cattiveria, ve lo dico io. 

Ché poi, in un attimo, mi lascia stordita. Ed io non ho il tempo materiale per reagire. Oddio! Le vedo in un sussulto di panico, attorniarmi come una mandria di bufali impazziti. Sento i loro corpi farsi sola, spaventosa, minaccia. Il piede arretra di un passo, ma tocca la dannata parete. Dietro di me, soltanto pietra. Davanti a me, Dani. Davanti a Dani, attorno a Dani, solo gente indemoniata. E' allora che realizzo: finché non se ne andrá, non riusciró in nessun modo a muovermi da qui. 

All'inizio cerco di farmelo piacere. Voglio dire, in fondo sono appiccicata a lui, con la testa praticamente appoggiata alla sua spalla. Dovrebbe essere bello, no? Bellissimo. Cavolo, sono una sua fan! Ben presto, peró, inizio a sentirmi oppressa. E' una situazione assurda. Direi claustrofobica. Lo sento borbottare in loop costante “esto es un lío”, questo é un casino, “es un lío de cojones”. E poi voltarsi un attimo a guardarmi, scuotendo la testa come a scusarsi. “Es un lío, sí...”, mi sento dire poco convinta, come se la mia voce venisse da altre dimensioni. Nel frattempo, la gente gli porta un braccio alla spalla e si scatta foto. Di continuo. Senza curarsi del fatto che, nel mezzo, scusatemi tanto, ci sarei anche io. Ad ogni flash mi accuccio dietro la sua schiena, come se fossi un cagnolino terrorizzato dai botti di capodanno. Deduco che in ciascuna delle foto di quelle ragazze ci sará un'inquietante massa di capelli uscire dal fondo. E, per un momento, mi viene di nuovo da ridere. Poi, peró, l'angoscia torna. 

“Sentite, potete spostarvi un attimo? Non riesco neanche a muovermi!”

Una ragazza, emersa da chi sa dove, mi guarda con aria di sufficienza. 
“Beh, giá che sei lí approfitta e tocca, no?”

Rimango talmente sconvolta da non riuscire a ribadire nulla. “Approfitta e tocca”?! Cioé, ci rendiamo conto? Cos´é, un oggetto? La lampada di Aladin? Allucinante. In quel momento, prima che Carlos lo protegga con un braccio fino alla porta del furgoncino, decido che alle uscite non l'aspetteró mai piú. Non quando vengo a sapere il nome dell'hotel, almeno. 

“Hasta mañana”, gli urlo dietro mentre sale. “E ti daró quel libro”, aggiungo tra me e me.

(to be continued...) 

2 commenti:

  1. to be aspeto continuazione!.-)..ma nel frattempo dico----che mamy miticaaaaaa......ed ovviamente ,anche tu!:-)
    unsuperbeso kit

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  2. Grazieeeeeeeeeee!!! La continuazione arriverá a breve! :D

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