sabato 26 maggio 2012

Destinazione Madrid!

Quello che non vi ho detto è che non solo domani vado a Madrid, ma tornerò in Italia con una mia amica francese. Il che comporta una serie di conseguenze dirette. Tipo una settimana intensa nell'improvvisato ruolo di guida turistica o giornate piene da incastrare tipo puzzle a prove di flamenco in crescendo temporale. Sì, insomma: può darsi che non mi leggerete per un po'. Per farmi perdonare, peró, prometto di tornare con tante foto, video e sorprese. Come sempre, del resto. Hasta la vista chicos! 


giovedì 24 maggio 2012

Dieci anni dopo, a Verona.


“...Tra l'altro festeggi anche i dieci anni di carriera solista”.

Curioso sia tra le poche cose che percepisco, dalla mia postazione defilata al bar. Le parole di Cremonini, risposta a una presentatrice che non vedo, m' arrivano alle orecchie come sillabe indistinte. Colpetti di vocali. Brusio di consonanti. Suoni cacofonici amplificati da un microfono che propaga le onde in traiettorie a zig zag. Certo che ce n'è, di gente, qui alla Fnac.



“Dieci anni? Già?”

Lo shock mi sfugge dalle labbra e dagli occhi, in direzione dello sguardo sempre allegro di Ale.
“Eh sì. Duemiladue”.
E, di colpo, ricordo quell'incontro di Cesena. L'estate prima della mia maturità.
Ero poco più che una ragazzina, allora. Una maglietta con i pupazzetti neri, kili in più nascosti nei miei jeans a campana, e ancora nessunissima idea dell'amore. Ripenso alle sensazioni che provavo, quando starmene così lontana dal tizio che ora parla nel microfono sarebbe sembrato un dramma insolvibile. Probabilmente sarei arrivata qui alle otto di mattina, come la ragazzina mora incrociata per caso mentre pago il drink al banco. Quella che si lamenta delle piccole ingiustizie che nei suoi “m'é passata davanti” ha appena iniziato a scoprire.

Avevo pronunciato a malapena due parole, in quell'incontro di Cesena. Le labbra cucite da un'ammirazione incontenibile. Dal sogno che, d'un tratto, iniziava a farsi realtà. Non era un ragazzo,quello che accanto a me mangiava tortellini in brodo. Non era, nei miei occhi , neanche un essere umano. Era Cesare Cremonini, quello che ogni mattina mi fissava dai posters di camera mia. Era la persona che riusciva a farmi esultare ogni volta che rispondeva a un mio messaggio sul forum. Era tutti i miei dischi. Tutta la mia adolescenza formato canzoni. Era, a conti fatti, poco meno di un Dio.

Dieci anni. E come sono cambiate le cose. Ora che sono qui, a sudare copiosa in un ambiente troppo caldo. Alla presentazione di un disco che non sono nemmeno venuta a far autografare per me. Perché quel brivido, seppur mitigato dagli anni, ora è per qualcun altro che lo provo. E l'emozione prima di ogni incontro; la gioia di una risposta a mezzo web; il cuore gonfio ogni volta che pronuncia il mio nome...Sì: immagino sia questa, a conti fatti, la sottile differenza tra un'appassionata ascoltatrice ed una fan. Passa tutta per il tremore alle gambe. Per il nervosismo prima dei concerti. Per la vita, gli incontri e i momenti pianificati in funzione di un tour. Ma é davvero tutto qui, quel che succede? Che poi passano gli anni e ti limiti alle note? Che l'entusiasmo scema, e tutto il resto diventa accessorio? E' solo questo? Che la capacità di emozionarti per uno sguardo o un cenno, semplicemente, di colpo ti abbandona? Voglio dire: mi succederà pure con Dani?

Perchè mi rendo conto che mi manca, e non lo so mica se è normale. Guardo Alberta, l'affetto che esce come petali di rosa (mi perdonino i Sidonie, se rubo un po' l'immagine) da ogni sua parola nei confronti del cantante. Della sua gentilezza, della disponibilità con i suoi fans. Ascolto le chiacchiere frizzanti, aneddoti condivisi tra Ambra ed Elena. Persone che non conosco, e che in una storia a metà tra schermo e vita vera hanno applicato alle loro esistenze colorate piastrelle di allegria . Le osservo, tutte, parlare con il produttore mentre attendono la fine dell'evento. Non fanno troppo caso, alla mia proposta di andare subito in stazione. No. Vogliono aspettare, perchè un cenno di saluto all'artista vale ancora, per loro, un bis di sorrisi. Come succede a me con un tizio di Madrid. E, sinceramente, io adesso le invidio.

E' che davvero, eventi del genere non hanno senso senza quell'emozione. Io sento di averne bisogno. Sento che mi arricchisce. Sento che...è così, per assurdo che sembri, a me piace da morire. Ma evidentemente, per quanto mi sforzi,con Cesare le cose non possono più essere come prima. Ho passato la fase. Bruciato le tappe, chi lo sa. Non so perchè, ogni volta che provo a tornare, la mia mente fugge così in fretta al di là dei Pirenei. E mi sento in colpa. Comunque in colpa, in ogni caso. Perchè si torna sempre lì, alla fine; alla stessa metafora di infiniti post. Ché il primo amore, se lo re-incontri a distanza di anni, risveglia ricordi. Ma mai, in nessun caso, le sensazioni di prima.



Sono andata a Verona. Giornata intensa di chiacchiere e treni. Ho comprato due copie dello stesso disco. E poi, senza volere, c'ho versato sù un bicchiere di coca cola. Sono andata a Verona, a una presentazione che – eccessi di gente- non sono riuscita nemmeno ad ascoltare. Ed è stato allora che il mio turno è arrivato. Ho reincontrato la persona che dieci anni fa era per me poco meno di un Dio, e mi ha fatto tenerezza l'idea di quella che ero. Ho parlato in fretta, forse troppo, per non far ulteriormente inferocire il tizio in ansia temporale dell'organizzazione. “Veloci, veloci!”, ripeteva in trip da Bianconiglio di Alice. Incredibile: sono arrivata al punto che non m'importa nemmeno della foto. Ho raccontato a Cesare di quel concerto, di quell'appuntamento, di una delle ragioni per cui ero andata fin lì. “Come si dice, in spagnolo...?”, m'ha chiesto poi con quel suo accento bolognese. Si diceva quasi uguale, tra l'altro, ed io mi sono sentita un po' Vanessa Incontrada quando conduceva Zelig con Bisio. Poi, già che c'ero, la seconda copia. Criccava d'appiccicaticcio. Spero non si sia chiesto perchè. “Scusa, com'era il tuo nome che non..?”. “Ilaria”. “Ah, ecco. Grazie mille, eh?!”



Dieci anni dopo, rivivrò in un'altra Nazione un'esperienza simile a quella di Cesena. Con lo stesso entusiasmo. La stessa emozione. Lo stesso identico tremore alle gambe, sì. Anche se adesso parlo di più e la vita m'ha insegnato che cantare non ti rende“poco meno di un Dio”. Che le persone sono persone, solo che alcune fanno un lavoro più in vista di altre. Che hanno tutte difetti, oltre ad avere pregi. E, a conti fatti, è proprio tutto qui.

Ma poi io , in fondo, che ne so, di qual è il modo migliore per vivere la musica! Forse esistono solo mille modi diversi di integrarla nelle nostre quotidianità. Forse non è questione di essere fan o appassionate ascoltatrici. Né tantomeno di età, o di prospettive. Naa. Da anni, compro i dischi di Cesare originali. E se, per caso, m'imbatto in un articolo su di lui, non posso fare a meno di leggerlo. Da anni, i testi delle sue canzoni parlano anche di me.

Con Dani è lo stesso, solo che in più c'è questa voglia di abbracciarlo e dirgli “grazie” in loop continuo. In più, c'è il fatto che investo tutti i miei risparmi per seguirlo in tour. E una forma un po' diversa d'emozione. C'è tutto un micromondo che mi ha avvolta e che a volte detesto. E che però, quando non c'è, sento mancarmi da morire.

Eppure, in fondo, credo di aver bisogno di entrambe le prospettive. Di tutte e due le realtà. E forse, chissà...forse è proprio per questo che sogno di vederle,un giorno, fondersi in qualcosa.

lunedì 21 maggio 2012

Conclusioni spicciole di un weekend on Garda Lake.


Sará per quei suoi spazi aperti. L'alberello dei bambini come fulcro visuale. O forse sará, invece, tutto merito del marketing, che nelle sue vetrine smette d'essere teoria. Qualunque sia la ragione, resta il fatto che Il Leone di Lonato del Garda é uno dei pochi centri commerciali che amo. Avrei comprato di tutto, una volta in piú. Dal microfono retró per le conversazioni su skype alla gomma a forma di fender telecaster, passando per l'intero espositore di gioielli Malú e un dinosauro soprammobile con sú scritto il mio nome. Meglio: a dirla tutta, c'era scritto “Ilaria Raptor: allegra e ottimista, sa quando usare i suoi artigli”. Cioé, capite la gravitá ? Alla fine – e giuro che non so come – sono riuscita a limitarmi a un vestitino. Bello, tutto a fiori. Non appena l'ho visto ho capito che era il look giusto per il concerto privato di Madrid. Certo, sempre che la smetta di piovere. E che mi avvisino per tempo del luogo. Ché io capisco le esigenze di privacy, ma inizio ad agitarmi un filino. Per dire.



Comunque, un weekend lampo in terre lombarde m'ha lasciato, nell'ordine: tre buoni per downlad musicali gratis a seguito di spese all'esselunga (gran promozione, peraltro), un risveglio brusco causa terremoto alle quattro del mattino, e svariate conclusioni che mi appresto ad elencare. Del tipo che:

1. La discoteca non fa piú per me. Concetto corredato da successione di sbadigli ed infiniti “ho sonno” pronunciati a bordo di un'auto non mia. Concetto strettamente in relazione, peraltro , alle problematiche esistenziali delle postille 1a e 1b. Dove 1a sta per “I tipi che io trovo carini mi si dice siano troppo mori". E 1b. La musica migliore da ballare é quasi sempre esclusiva dei locali gay.

2. Se hai pazienza, faccia tosta e un amico avvocato, con internet puoi fare tanti di quei soldi che nemmeno te l'immagini. Il tutto senza muoverti da casa , né tantomeno cercare lavoro. Per la serie, inizio a capire l'utilitá del diritto mentre sorseggio del vino nero. Meglio tardi che mai.

3. Realizzare un menú d'effetto per una cena vegetariana, senza aglio e senza cipolla non solo é possibile ma istiga persino l'ingegno creativo. Non ci credete? Allego foto di prova. Ché la Parodi, a Laura e a me, fa un baffo. Ma questo, in fondo, credo anche di averlo giá detto prima.






sabato 19 maggio 2012

Il Galateo della Paella


Ci sono cose che puoi imparare soltanto a Valencia. Tipo come si la paella andrebbe mangiata davvero. E, visto che ho di nuovo trascurato la rubrica gastronomica del Venerdì, scelgo di condividerne con voi i principi basilari. Quelli raccontatimi da una coppia di amici in una serata tiepida al Barrio del Carmen. Preparatevi a fare bella figura.



Innanzitutto, il cucchiaio. Lasciate perdere forchette e coltelli: il piatto più famoso di Spagna richiede a gran voce il cucchiaio da cucina.


Poi, niente piatto: la paella va mangiata direttamente dall'apposita padella in cui, nei ristoranti, ve la serviranno. Vi svelerò una cosa, amici: non è solo ornamentale.

Una volta adagiata al centro dei commensali, dovrete dividerla mentalmente in compartimenti. La porzione che vi spetta di diritto è incorniciata dal triangolo invisibile che vi sta davanti. Perciò scordatevi di cominciare a mangiarla dal centro: sarebbe come invadere il territorio altrui. Il che – ovvio - è segno di grande scortesia. Dopo aver smosso il riso col cucchiaio, potrete iniziare a degustarla partendo dal bordo e andando progressivamente verso l'interno.

Ultima curiosità: prima di portarvi il boccone alla bocca , con l'incavo del cucchiaio rivolto verso di voi, sarebbe d'uopo sfregare il riso contro la parete della padella stessa, cosicchè si impregni al meglio di tutti gli altri sapori.

Buon appetito!

giovedì 17 maggio 2012

Lorca: molto piú che abbracci e canzoni.


(continua da qui)

“Ilaria, cómo estás?!”

Mi imprime due baci sulle guance, e al solito pare scontato dire che adesso “ bene”. M'hanno ascoltata, gli altri, quando la sua silouette é apparsa dietro i vetri opachi. Ormai, nel riconoscerla, ho raggiunto un livello di esperienza notevole. Cosí ora siamo qui, nella hall tanto grande quanto dispersiva di un albergo in toni freddi uguale a molti altri visti prima. L'emigrazione simultanea é avvenuta in tacito accordo. Un sms sul cellulare accompagna il mio aggrapparmi alle sue spalle. E, nonostante il caldo, i bicchieri mezzi pieni restano sul tavolino.

Sei un po' stanco di questo tour. Vero, Dani?”, azzarda il papá di Mar. Tra parentesi, l'unico ad essersi ricordato che quelle coca cole si dovevano anche pagare. Vabbé.

Un pochino, sí.”, ammette abbassando gli occhi, in un accenno di sorriso timido.
Si nota, sinceramente. Ma é normale, in fondo, é tanto tempo che va avanti”
E' che sono, quanto? Un anno e mezzo, ormai!”, si giustifica.
Quasi due anni”, non riesco a fare a meno di puntualizzare.
Ecco, sí, quasi due anni di tour, tanti kilometri, e iniziano a pesare”
Ti meriti un riposo. Fa' le cose con calma e ricarica le batterie”.

L'affermazione dell'uomo mi provoca un terremoto interno di consenso, approvazione e tristezza. So che deve finire. Dicevo anche di esserne quasi felice. Eppure, in quest'istante, vorrei non accadesse mai. E' a pochi metri da me, e vorrei soltanto dirgli che momenti come questo mi mancheranno un casino.

Adesso i miei piani sono di buttar fuori il disco nuovo per le feste di Natale del 2013”, ci informa. E, siccome non sono piú in grado di fingere un briciolo di sanitá mentale, mi scappa un “Uuuh, para mi cumpleaños! Qué guay!”.

Lui mi guarda negli occhi, tra il perplesso e il vagamente divertito. Poi riprende il discorso da dove l'aveva interrotto.

E il tour nel 2014. Ma con poche date in Spagna”.
E fuori dalla Spagna?”
Fuori dalla Spagna, molte di piú”.

Lo dice con tono troppo serio per pensare che abbia colto la mia illusione. Si riferisce all'America Latina, é ovvio. Le altre, peró , hanno capito eccome.

“Adesso é il nostro turno di conoscere Parigi, Roma..”
No, Roma no! Venezia, che mi viene piú vicino!”

Continua a fissarmi con un'espressione strana. Poi, ci informa della sua leggera fretta.

Bueno, chicos. Devo andare che sono d'accordo con un mio amico di berci una cosa assieme prima di andare al soundcheck. Tra parentesi, dovrebbe essere qua in giro ma io non lo vedo mica...dove cavolo...?”

Aspetta, Dani, possiamo farci qualche foto prima?” , inteviene Mar.
Hombre, claro! Cómo no!”

Sto finalmente rimettendo il cellulare in borsa quando mi accarezza dolcemente la spalla. Un gesto semplice che nel suo essere inatteso e immotivato quadruplica di botto il suo valore. Ho giusto il tempo di alzare gli occhi dalla borsa e ricambiare un sorriso, prima che posi con Inma e con Mar. Che, in realtá, la foto con me non sarebbe neppure stata necessaria. Avevo quella del giorno prima, in fondo. Ma, sebbene non avessi chiesto niente, quando le altre ragazze si allontanano mi avvolge con un braccio e mi stringe a sé. Il papá di Mar mi prende la macchina fotografica praticamente dalle mani, mentre sono troppo frastornata per capirci alcunché. Cioé, piú che frastornata, rilassata. Ma tantissimo. Appoggio la testa al petto di Dani ed é come se tutti i kilometri degli ultimi giorni, tutte le sveglie ad ore antelucane, dessero di colpo mostra di sé. Perché ci sono ben due flash a cui badare, altrimenti credo  che mi addormenterei.


Mio Dio, non so dove guardare, con tutte 'ste macchine fotografiche!”
Nel dirlo sono seria. Ma lui, chissá perché, si mette a ridere di gusto. Come se fosse una battuta incredibilmente divertente. Mah. Lo guardo con due punti interrogativi dipinti negli occhi. Della serie. “Cacchio ti ridi?!”. Ma poi, per qualche ragione, viene da farlo anche a me. Anche perché, in effetti, é comico che – in entrambe le foto – sia io l'unica a guardare sempre in camera. Quello abituato ai photocall, a onor di logica, dovrebbe essere lui.

Vabbé, grazie mille ragazze. Scusatemi, chiamo un attimo il mio amico che non so dove s'é cacciato!”
Tranquillo. Grazie a te. A dopo e...buon viaggio per domani”.
Ha giá l'orecchio sull'Iphone, quando glielo dico.
Domani ho il volo alle nove di mattina. Da Madrid. Dio mio!”
Duetti con Tony Bennet, vero?!”, chiede qualcuno.
Sí, mi ha chiamato a collaborare in un disco che fa lui con artisti latini..”
Ma canti in spagnolo o in inglese?”, approfitto per domandargli.
Io in spagnolo, lui in inglese...Pronto! Oh, ma dove siete?!”

Al breve silenzio dall'altro lato della cornetta segue un'espressione leggermente preoccupata.
E perché non entrate,invece, che fuori c'é un sacco di gente?”
Mi fa tenerezza pensarci. E' cosí bello, il terrazzino, fuori. Di colpo mi sembra incredibilmente triste doverci rinunciare a beneficio della tranquillitá.
Ok, vi aspetto qui.”
C'é un matrimonio...”, affermo stupidamente indicando col braccio fuori.
Giá, por eso. Troppo casino. Ohhh, allí está!”

Ci congediamo, lasciandolo alle persone a lui care. Un saluto veloce cui segue un “Muchísimas, muchísimas gracias, eh?” urlato in direzione mia e di Celine. “De nada!”. E il sole ci sorprende, sempre piú inclemente, fuori. Ah, sí: dovevo guardare di chi era il sms.



Entrare al concerto di Lorca si rivela un' impresa piú complicata del previsto. Non che non fosse previsto, del resto. Perché, dai, parliamoci chiaro: non si puó organizzare uno spettacolo con posti a sedere e non numerare le sedie. Non se tale spettacolo é di qualcuno che piace (anche) alle ragazzine. Non se un paio di occhi azzurri genera isterismi – e vi giuro che é vero – soprattutto nelle over 40 dai gomiti appuntiti. Morale: le porte si aprono su di una marea umana. Un piede sconosciuto calpesta i lacci delle mie converse, rischiando di farmi capitombolare al suolo. Le seggiole in plastica bianca iniziano a volare per tutto l'auditorio. Lanciate. Scaraventate. Scambiate di posto di fronte all'impotenza degli uomini della security. Alla transenna della prima fila, in cui una fanatica in ansia di rissa mi riduce a sardina in scatola, scelgo per una volta il posto dietro. Tanto Celine é piccolina. Vedo alla grande. Dani mi vedrá. E almeno circola l'aria, grazie al cielo. Se non altro, da qui riesco a saltare.

Sopravvivo, non so come. Sono incazzata, accaldata, un po' delusa dall'organizzazione. Eppure, come sempre accade, i concerti piú sofferti sono quelli che ti godi di piú. Sará che eravamo tutti assieme. Cantare “María la portuguesa” a squarciagola ha piú senso , se lo fai in gruppo. E le occhiate divertite a commentare brani e gesti, le risate, le coreografie che improvvisiamo...non c'é prima fila in solitudine che riesca a equiparare tutto ció. O forse sará, invece, che Lorca era il mio ultimo concerto “grande”. Ne avvertivo la responsabilitá mentre lo trasformavo in festa. Mentre di ogni singolo brano facevo riassunto di vicende vissute. E persino Dani, in qualche modo, sembrava saperlo. Lui, che per metá concerto mi ha guardata negli occhi. Lui che ha regalato gesti in tutte le canzoni che in questi due anni hanno significato qualcosa per me. 

Eres. Io che allungo il braccio ad indicarlo dicendo che “quiero volar contigo”. Lui che fa lo stesso. E poi lo ripete, in occhiolino, anche nel ritornello successivo. Eres, come la prima fila nervosa al Teatro Coliseum di Madrid.

La Suerte de Mi Vida. L'occhio strizzato a fine canzone. La canzone con cui tante volte m'ha fatta sentire speciale .A Rivas, per esempio. A Valencia. A Zaragoza durante las fiestas del Pilar.

Aunque tú no lo sepas. Che, come al Palau de la Música di Barcellona, quel “cada día más flacos” lo fa misteriosamente sorridere guardando me. Io che, invece, sono piú che altro ingrassata. E che, perció, resta un messaggio difficile da decodificare.

Mira la Vida. Perché mai come questa volta “vuelve y te sorprende” . Anche se indicarmi in “que sin mí tú ya no eres” suona giusto un filino inquietante. Per dire.

Aquellas Pequeñas Cosas. La canzone che ho riscoperto in quest'ultimo periodo. La canzone che applico un po' a tutta la mia vita. La canzone su cui mi regala un altro sorriso.

Il sipario, metaforico, si chiude. Ora mi resta il concerto privato. Il modo migliore di congedarsi. La fine del tour perfetta con la canzone che ho in mente di richiedergli. E , come cornice, la cittá dove tutto é cominciato. Resta un capitolo solo. Un capitolo bello, ne sono certa. Poi – e lo faró! - dovró trovarmi qualcos'altro che mi sappia entusiasmare. 

Nel 2014 compiró  trent'anni, dannazione!

mercoledì 16 maggio 2012

On the road, destinazione Lorca.

(Continua da qui )

Quando parlavo di viaggio “on the road” mi riferivo, più che altro, alla successione di trasporti via terra che dall'aeroporto di Alicante m'avrebbe condotta a Cartagena. Definizione applicata al tragitto sbagliato. Chè i kilometri, a volte, mentono in facilità. A mia discolpa, Lorca sembrava vicina.

Abbandono le chiavi sul bancone deserto della reception. Semi oscurità alle sette del mattino, e il tizio della pensione, finalmente, sembra dormire un po'. Personaggio peculiare, di quelli che meriterebbero un post a sé stante. Latinoamericano. Colombiano, azzarderei. Passa le sue giornate col pc sulle ginocchia , parlando a voce alta con la sua donna su skype. C'è anche un bimbo piccolo: a volte lo si sente piangere al di là dello schermo, la voce resa un po' metallica dai bytes. Un uomo gentile: ti porta la valigia in camera, storce l'antenna del router nel vano tentativo di amplificarti il segnale. Ti chiede ottocento volte al giorno se hai bisogno di qualcosa. Ma il punto è che la pensione la gestisce lui da solo. E la reception aperta 24 ore mi spinge a dubitare che sia veramente umano.


Comunque. Sgattaioliamo via, dirette alla stazione dei bus. Le gambe ancora provate dalla sera prima. Era bello, El Batel. E non soltanto per il bar con vista al mare. Corridoi futuristici, dentro, conducevano a una sala troppo densa di fumo. Sedie di design arancione, anteprima di un'acustica tra le migliori mai sentite in questo tour. Non avevo molto tempo, per raggiungere il mio seggiolino in fila cinque. Tra pochi minuti sarebbe cominciato lo show. Ma il banchetto del merchandising era vuoto. I bracciali, tanto agognati, in bella mostra davanti ad Iván.
Uuuuuuhhh, las pulseritaaas!”, non avevo potuto evitarmi di urlare. E quando dico “urlare” intendo bloccarmi di colpo, iniziare a saltellare sul posto come un bambolotto a molla e bloccare l'afflusso di gente perplessa che mi segue. S'era messo a ridere, Iván. Sapeva della mia strenua ricerca. “Por fin”, rispondevo a mia volta divertita mentre me ne consegnava due.




Bello,sí, il concerto di Cartagena. Da ricordare per la sciarpa dell'Atletico Madrid, con cui Dani prolungava i festeggiamenti sportivi. Per il coro di “Puede Ser” cantato fuori repertorio, improvvisato dal pubblico. Gesto d'affetto in grado di inumidirgli gli occhi d'emozione. Da ricordare, perché no? Anche per quel sapore agrodolce di fine imminente, racchiuso in ringraziamenti un po' da Oscar, ricordi, e parole d'affetto nei confronti di due anni meravigliosi. Un concerto a cui lui non m'ha vista, ma a me bastava sapesse che c'ero.



Comunque. Cartagena-Mazarrón- Lorca: ecco il vero viaggio On The Road. Ché, dopo la sosta a casa di Inma, scopriamo che l'autobus diretto, la domenica, non passa mica. Tocca prenderne uno per Aguilas, per niente gradito all'ensaimada della colazione. La strada é di montagna: tornanti, andanti e conati trattenuti. Molti, peraltro. Carnagione sempre piú tendente al verde, quasi volesse mimetizzarsi con l'ambiente esteriore. “Quando siamo arrivati?”, mi ripeto nella testa come una bambina capricciosa. E quando, alla fine, arriviamo davvero, scopro che il treno per Lorca passa appena tra due ore. Meno male che Sergio ci tiene il posto in fila. E meno male, soprattutto, che c'é un chiringuito sulla spiaggia. A dirla proprio tutta, io resterei pure qui.



Ci arriviamo verso le quattro, al Recinto Ferial di Santa Quiteria. Passiamo accanto a numerose rovine che non vedo del tutto, stremata come sono dalla fame. Facciate come maschere, tristi negli occhi vuoti di finestre dietro cui non c'é alcunché. Il sole é inclemente, sulle distese d'asfalto. Su un posto che dev'essere stato bello, sí, si vede che lo era. Un castello, qualche edificio antico. E un camioncino col megafono da cui qualcuno urla “esta noche, Dani Martín”.

Non avrei pensato di poterlo rivedere. In fondo si sapeva, che quella notte stessa sarebbe ripartito per Madrid. Un volo per gli States l'avrebbe portato a duettare con Tony Bennet, non aveva alcun senso che si fermasse a dormire. Ma in fondo era sorprendermi, ció che avevo chiesto alla Luna Piena.

Cosí, come recita il galateo delle file, lasciamo che Sergio vada a farsi la doccia. Ha prenotato una stanza in un hotel a pochi metri da lí. Un albergo a quattro stelle che l'aveva attirato con prezzi speciali. Ce ne parlava da giorni: “40 euro la doppia”, un'occasione che di certo non poteva lasciarsi scappare. Quello che nessuno di noi aveva calcolato é che gli hotel del tour erano stati prenotati tempo addietro. Prima. Molto prima. Prima che Dani sapesse che sarebbe dovuto partire per gli States.

La Luna Piena mi ascolta sempre, questo é. E allora Sergio, uscendo dal suo hotel, incontra Dani Martín per puro caso. Lui, in quell'hotel, ci sta entrando. “Voy a hacer una siesta”, gli dice. Che poi é proprio il tempo che ci vuole per sistemarsi il trucco e bere una Coca Cola fresca nel giardino esteriore. Lí, dove gli invitati di un matrimonio si accalcano in progressione: sfilata d'abiti in eccesso eleganti, tanto da sembrare a volte quasi volgari. Con Mar e suo padre chiacchiero del mio erasmus. Ci metto troppa foga, come sempre. Tanta da metterle voglia di partire. E intanto Iván esce dalla porta a vetri, diretto al furgoncino parcheggiato dietro di noi.

Mi vede e mi sorride come ad una vecchia amica: “Hola, buenas tardes!! Nos vemos luego” .
Di fronte all'aumento di un'ignara folla alticcia, suggerisco ai miei compagni di avventura che forse – e dico forse – sarebbe meglio entrare.

(...to be continued) 

martedì 15 maggio 2012

Le sorprese di Cartagena.


Missione compiuta, decisamente. Ché ho iniziato a sorprendermi ancor prima di partire. E' successo quando Dani Martín ha pubblicato la domanda su twitter. Quella che sarebbe valsa il Grande Premio. Meglio, il Grande Sogno di qualunque fan. “Inviate alla mail che vi daró data e luogo di tutti i concerti dei tour Pequeño e Pequeños Teatros che ho dato in Spagna, ma fuori dalla Penisola”. I tre piú rapidi a rispondere in modo corretto si sarebbero aggiudicati un biglietto ciascuno. Un biglietto per due, cioé. Sei in tutto, a completare gli altri sorteggiati ad uno show. I tre piú rapidi, in definitiva, avrebbero assistito ad un suo concerto privato per sole 12 persone in studio di registrazione. Lí avrebbe cantato le canzoni che i presenti avessero richiesto. E, poi, avrebbe pure offerto loro un aperitivo. Tre possibilitá su piú di cinquecentomila persone. Vincere la lotteria senza giocarla – lo sapevo – era statisticamente di gran lunga piú probabile. Ma viaggiare tanto m'ha reso un'esperta in geografia. E qualcuno mi ha detto un giorno che, se visualizzi ció che vuoi, l'Universo complotta per fartelo ottenere. Vi diró una cosa: é vero.

E' che , vedete, ci sono due concetti che questo viaggio mi ha ricordato:
Il primo é che, se non ti aspetti niente, vivi meglio e t'emozioni di piú. Il secondo é che della Luna piena mi posso fidare. Lei é sempre in ascolto, quando chiudo gli occhi e le sussurro qualcosa.

Sembra di stare all'Universitá dopo un esame”, avevo scritto allora dopo aver premuto invio. “Tutti a confrontare le risposte; tutti a chiedersi se sia andata bene”. Quello che tacevo é che sono sempre stata una secchiona. Scrivevo male, okay, ordine scarso e calligrafia penosa. Ma i contenuti c'erano. E, per qualche ragione, sapevo che questa volta non sarebbe stato diverso. Lo sapeva la mia assurda calma, all'invio della mail che sapevo corretta. Prima che Dani scrivesse “suerte”. Prima ancora che avvertisse di leggere bene. Le mani mi tremavano, mentre l'adrenalina sfumava piano in una piacevole stanchezza mentale. L'indomani, il nome di Maria sulla mia casella di posta non faceva che confermarmi che non gioivo invano. Sono bastate le prime parole: “sei una delle fortunate vincitrici”. Le ho lette, e sono corsa fuori urlando, a informare me stessa, la mia gatta, e tutti quanti i vicini. Non avevo mai prenotato un volo cosí in fretta. Non avevo mai fatto la valigia con cosí poca concentrazione. E a Cartagena , allora, ci sono approdata tranquilla. Non importava se l'avessi visto o no. Non doveva essere per forza speciale, perché non era piú la fine del mio tour. In fondo, il concerto privato non me l'avrebbe tolto nessuno. E, prima ancora di rendermene conto, avevo giá ritrovato la passione che cercavo.

Trentacinque gradi. Il sole che colora il mio naso d'un rosso pomodoro quasi fluorescente, e una cittá inaspettatamente fantastica che ben si riassume nelle foto del mattino. Avevo fatto colazione intingendo una quantitá esagerata di churros nel cioccolato denso e tiepido di una cioccolateria artigianale vista mare. Avevo guardato un pavone lisciarsi la coda nel giardino di un castello ben curato. E ancora riso, riso molto, prima di scoprire quale fosse il suo hotel.




Due taxi. Il nostro preso di corsa, tra gli sguardi perplessi di un conducente giovane. “Mi pare che abbiate fretta, no?”. E poi il fiatone si calma, al bordo di un marciapiedi in mezzo al nulla. Un hotel quattro stelle contrasta con la cornice di case popolari. E, mentre le monetine del resto riempiono in progressione (troppo!) lenta le mani di Celine, ho la bella idea di girarmi verso destra. Dal furgoncino parcheggiato accanto, Iñaki ci guarda con espressione tra il curioso e il vagamente divertito. “Ehi, guarda un po' chi c'é!!”.

Scendiamo a ricongiungerci con Sil, Laura ed Inma, giusto in tempo per sentirle dire “Vamos con ellas”. Un saluto a ciascuno dei musicisti. L'in bocca al lupo per il concerto della sera. I “muchas gracias chicas” prima di partire per l'imminente soundcheck. E noi restiamo lí, ferme in un sottile raggio d'ombra, ad osservare le sagome al di lá del vetro oscuro della hall. Lo riconosco subito, quando scende. Dal modo in cui abbraccia un suo amico. Dalla camicia in jeans che tanto ama. Dalla siluette. Lo riconosco, insomma, e basta. Ma continua a sorprendermi il modo in cui, adesso, tutto ció mi sembri naturale.

Dani ci raggiunge in poco meno di un minuto. “Hola chicas!”. Due baci a tutte. Poi mi si avvicina e mi abbraccia a mia volta, stringendomi un po' piú forte per qualche secondo in piú. La sua mano sulla schiena e come sempre, dimentico tutto. Le paranoie che mi faccio quando non mi risponde su twitter. La sensazione stupida che possa indispettirsi per qualcosa che ignoro. Naaa. Ancora una volta é il suo calore, la risposta. L'affetto che, per quanto una persona possa essere brava a fingere, non si puó occultare dagli occhi e dai gesti. Il suo profumo mi avvolge in una nube di benessere. S'appiccica ai capelli, facendone un feticcio che un po' tutte annuseremo mezz'oretta piú in lá.

Ilaria, cómo estás? Ah, por cierto, felicidades!”

Ci metto un po' a capire a che cosa si riferisca. Non é il mio compleanno. Non mi sono sposata. Non ho trovato un lavoro serio. Non... poi ricordo: il concorso! Il concerto privato!

Muchas gracias! No sé por qué, pero te juro que sabía que ése lo iba a ganar”
E' che la gente ha fatto un gran casino. Dopo di te, che sei stata la prima, sono arrivate 800 mails, tutte di colpo, e tutte sbagliate. Gente che scriveva del Messico, di che so io cosa....un caos! E' che la gente, pur di essere rapida, non ha letto bene.”
Aspetta, aspetta: sono stata LA PRIMA?!”
Sí, la primissima.”
Lo dice con tanta naturalitá che non sembra neanche una cosa eccezionale.
Dios míos, qué honor!”

Mi sorprendo a rivivere la scena nella mente, in base a ció che dai suoi racconti capisco sia successo. Che faccia puó aver fatto quando ha visto il mio nome sulla prima risposta ricevuta? Quando tre minuti dopo giá sapeva (e a me l'ha detto dopo un giorno, mannaggia!) che avremo preso un aperitivo assieme? E poi tutti quei pasticci concomitanti nell'improvvisata casella di Gmail...d'un tratto capisco perché avesse scritto di “leggere bene”. Perché poi, di fronte a partecipazione esagerata, avesse rimandato l'annuncio dei vincitori, affidando alla sua agenzia quel compito un po' ingrato. Mi viene da ridere. Specie perché, quando aveva annunciato che il concerto sarebbe stato per 12 persone anziché per 10, io gli avevo risposto “ovvio, perché due biglietti in piú sono per me”. Anche se il tono era scherzoso, ora quella risposta fa venire i brividi un bel po'.



Che caldo avete qui, no?”, cambia poi argomento.
Demasiado”, é l'urlo di risposta corale.
...E io in maniche lunghe! E' che le temperature son cambiate tutto di colpo, da un giorno all'altro!”
E' perché sono arrivata io!!”, non riesco a trattenermi dal dire, con una voce un po' piú stridula di quanto vorrei. Lui si mette a ridere.

Quando sei arrivata, Ilaria?”
Mercoledí.”
Si ferma a pensare per qualche secondo.
Cioé l'altroieri?”
Mmm...sí , in effetti. L'altroieri. Non ci capisco piú niente nemmeno io coi giorni!”
E come sei organizzata? Ti fermi solo per il concerto e poi riparti?”

Mentre cerco di mettere ordine ai miei piani confusi sotto un sole sempre piú inclemente, Inma arriva in mio soccorso.
No, viene anche domani a Lorca. Le ospito tutte a casa mia!”
Davvero? Si fermano tutte a dormire da te? Qué guay!”

Mentre si ferma a parlare con altre tre ragazze sbucate da non so dove (forse un'auto, in effetti) cerco di ricordarmi quali erano le domande che avevo pensato di volergli fare. Ah, ecco, sí!

Dani, escucha, habías...”
Si volta a guardarmi cosí intensamente negli occhi che mi blocco di colpo, e  per un momento mi trema la voce.
..ehmm, dicevo: avevi poi ascoltato il cd che ti avevo regalato?”
Hombre, claro que lo escuché! L'ho fatto ascoltare anche ad Iñaki, é piaciuto un sacco pure a lui. Aaah, e ho ascoltato anche il singolo nuovo di Cesare, che mi avevi passato. Me encanta!”

Certo che se mi legge potrebbe anche rispondermi, peró. Ah, gli uomini: popstar o no, sottovalutano tutti l'importanza di un riscontro per vie tecnologiche. Comunque, sono troppo felice per addurre stupide lamentele infantili. Anche perché mi tratta in modo davvero troppo dolce per potersele anche lontanamente meritare. Sí, a me é soltanto la distanza, che mi frega in paranoie.

L'hai ascoltato? E' che te l'avevo passato ma non sapevo se poi l'avessi visto o...beh, comunque, sono contenta che ti piaccia.”

Lo so, é un intervento stupido: manco l'avessi composto io. Ma , a mia discolpa , continua a fissarmi. E continuano ad esserci anche trentacinque gradi.

Ma é uscito solo il singolo per il momento, vero? O anche l'album?”
No, no, solo il singolo! L'album esce il 22 del mese!”
Ah perfetto!”

Altre due chiacchiere con le nuove arrivate, foto di rito, e giá se ne deve andare. Non senza prima chiederci, peró, se per caso ci servano biglietti per stasera. Ed é giá solo la domanda, a dire tutto di lui. “Hasta luego chicas!”, “Buon concerto!”.

Il taxi del ritorno ci scarica a El Batel, dove la gente giá si accalca davanti agli specchi dell'entrata. Lá, dove soltanto il giorno prima una famigliola inglese guardava il cartello di programmazione. “Déni Mártin”, diceva “ tomorrow...maybe we could buy tickets”. E io mi ero sentita orgogliosa. Ecco. Ecco un'altra cosa che mi sono scordata di dirgli. Dovrei prendere appunti, accidenti a me.

(To be continued...)

martedì 8 maggio 2012

Going to...Murcia, piú o meno.


Ero già in aereo, quando l'ho saputo. Seduta sull'astuzia scomoda di Ryan Air. Sull'idea economicamente perfetta di farci effettuare l'imbarco dopo circa un'ora di ritardo dichiarato. E poi, soltanto poi, solo una volta allacciate le cinture, annunciare che la torre di controllo li ha obbligati a un'altra ora d'attesa. Dicevano fosse una decisione dell'ultimo minuto, certo. Solo che a pensar male quasi sempre ci si azzecca. E a me nessuno toglie dalla testa che con un ritardo di due ore hai diritto a rimborsi e lamentele. Un ritardo di due ore sull'entrata in aereo, però. Studiare comunicazione aiuta a essere bravi nel fregare la gente. Guardare serie di avvocati fa il resto. Tra le postille in corpo 5 a bordo pagina e la mia insofferenza da eccessi di calore areoportuale, nonostante tutto, io li avrei applauditi davvero.

Comunque.



Me ne stavo lì, a dare calci alla mia borsa nel tentativo inutile di allungare le gambe un po' di più. L'aeroporto di Bologna già iniziava a sprofondare in un primo abbozzo di oscurità. E me l'ero chiesta, in effetti, da cosa dipendesse. Insomma, erano tutti in ritardo: Iberia, Ryan Air... Strano. Sì, strano. Però non sufficiente ad angosciarmi, ancora. Che ciò che a me seccava, più che altro,era posporre ulteriormente il mio re-incontro con Madrid. Pensavo al concerto a cui sarei andata il giorno dopo . Alle ore di fila che – allora non lo sapevo – m'avrebbero ridotto il volto a un pomodoro. Volevo i miei abbracci, il mio posto nel mondo, la mia ulteriore chance di sentirmi speciale. Ed era solo a questo che pensavo.

Solo che poi, seduta accanto a me sul boeing fermo in pista, una coppietta già isterica ha estratto l'iphone. La ricordo come fosse ieri, la voce stridula di lei, mentre leggeva ad alta voce le notizie sullo schermo. “Ma possible che capiti sempre a noi? Andiamo ad Haiti e succede quel casino, andiamo in Spagna e guarda tu!”. Ho pensato immediatamente di voler cambiare posto. Che magari portavano un po' sfiga, per dire. Ma intanto un terremoto aveva raso al suolo una località murciana. E il concetto di “sfiga” in certe circostanze, credo di doverlo rivalutare un po'.



E' passato un anno, da allora. E il mio tour personale si concluderà adesso proprio in quella città devastata. Lì, a Lorca, Dani Martín fará un concerto benefico. Il mio biglietto, il mio denaro, varrá un mattone del teatro che la natura ha reso impraticabile allo show. O magari le fondamenta di una scuola, chissá. Forse il cornicione di una finestra oltre cui una ragazza guarderá, domani. Chiamatemi melensa. Peró mi piace un sacco, l'idea di chiudere un ciclo cosí.

Tutto questo per dirvi che domani parto. Non ho grosse aspettative, da questo viaggio. Né voglio averne. Non saró in prima fila. Probabilmente, Dani, non lo vedró nemmeno. Forse mi importa piú di quanto dovrebbe. O forse, in altri sensi, non mi importa granché. Quello che mi aspetto é solo prendere il sole sulla spiaggia di Cartagena. Vedere dal vivo quella cattedrale bellissima che giá mi aveva affascinata a lezione di storia dell'arte spagnola. Mi aspetto di visitare un posto nuovo, di rivedere vecchie facce, di conoscere di nuove. Mi aspetto due concerti emozionanti, e poi mi aspetto una Paella a Valencia prima di tornare a casa. Mi aspetto che con i miei soldi mettano davvero quel mattone.



Il resto? Beh, il resto, se verrá, sará tutto regalato. Perché viaggio alla ricerca della capacitá di sorprendermi. Ed é solo se non ti aspetti niente, che la puoi davvero trovare. Ci si rilegge Martedí. 

domenica 6 maggio 2012

Canzoni per congedare un tour.


Non è un mistero per nessuno: la settimana prossima, a quest'ora, mi sarò già congedata. Da Dani Martín, dall'odore di Angel appiccicato ai capelli, dalle pensioni economiche e i check in online di Ryan Air. Da due anni – due lunghi, agrodolci anni - della mia vita vissuti a fasi alterne dentro a un tour. Non lo dico con amarezza, sia chiaro. Certo, sono tantissimi i ricordi belli, ma é anche tanto, ultimamente, lo stress. Quel che piú mi ci vorrebbe, adesso, é un cocktail con le amiche di sempre. E' stare sedute al tavolo di un bar, come ai vecchi tempi, a raccontarci le novitá del mese. Lontane per un attimo da quelli che ti chiedono “tu che fai nella vita?”. Da tutta l'insopportabile frustrazione che quella domanda innocente porta sempre con sé. Quel che piú mi ci vorrebbe, lo so bene, é voltar pagina. Non per sempre, per caritá. Giusto il tempo di leggere un capitolo diverso. Di prendere un po' fiato da invidie, isterismi e ipocrisie. Che poi ne ho di progetti, per il “dopo”! Ne ho fin troppi, tra ospiti da accogliere e posti da visitare. Ho altri concerti da vedere, questa volta senza varcare i confini. Ho eventi da organizzare, appuntamenti da rispettare, ho persino un pezzo tutto da ballare.

Ma prima c'é quest'ultimo viaggio. Cartagena. Lorca. Valencia. E se dev'essere un congedo, allora che sia col botto. Due anni sono troppi, per non salutarli con i fuochi artificiali. Per cui, ecco, io a questo tour voglio iniziare a rendere onore sin da ora. Lo faccio imbastendo una playlist nuova di zecca. E, ancora una volta, chiedo il vostro aiuto.

Sí, insomma: sto cercando di raccogliere tutte le canzoni che parlino della vita del tour. Brani che raccontino i concerti, e tutto quello che attorno ad essi gira.

Questi sono, fino ad ora, quelli che ho inserito io. Potete ascoltarli premendo il tasto play. Peró ne voglio altri. Ne voglio tanti. Ne voglio ancora. Ne conoscete? I commenti sono tutti per voi. 





1. Días Extraños - Donde muere el escenario
2. Ligabue- tra palco e realtá
3. Love of Lesbian - Club de fans de John Boy

4. Pereza - 4 y 26
5. Intoxicados - Quieren Rock
6. Baustelle - Groupies

7. Pereza - Grupis

venerdì 4 maggio 2012

Venerdí...Empanadillas de Atún e Cinema Spagnolo!


Poi, magari, dirlo non fa tanto “Gourmet”. Però credo sinceramente che le empanadillas surgelate del Mercadona siano una delle meraviglie gastronomiche mondiali. L’assenza del mio supermercato preferito su suolo italico (allegasi sospiro affranto) m’obbliga, tuttavia, all’alternativa più sana:  insegnarvi a prepararle a casa.  

P.S: la modalità succinta della premessa non dovrebbe esservi fonte di preoccupazione. Davvero, sto bene. Ho solo i neuroni stremati da una schizofrenia digitale che comunque –  lo ammetto – mi piace un casino. Ricordate che parlavo di una collaborazione esaltante, qualche post addietro? Beh, visto che il mio nome appare anche sul sito, credo di potervi ormai dire  di più. Il fatto é sto facendo provvisoriamente da community manager a CinemaSpagna, il Festival di Cinema Spagnolo a Roma. (Coro di “oooooh!”) Quindi, per inciso, se voleste seguirmi-ci-vi-si su Facebook e Twitter…io ne sarò felice, ecco. E poi, dai! A parte tutto, un’evento più italo-spagnolo di quello mica è facile da trovare! O no? 



EMPANADILLAS DE ATÚN

Ingredienti per 6 Persone: 
Per la pasta: 
500 g. di farina bianca
Vino bianco secco
Olio extravergine d’oliva
Burro
Zucchero semolato
Sale
Farina bianca per la spianatoia

Per il ripieno: 
5 scatole di tonno
6 uova
Passata di pomodoro q.b

PREPARAZIONE
In una ciotola raccogliete la farina, un cucchiaio di vino, uno di olio, uno di zucchero e uno di burro fuso e freddo. Iniziate a impastare il tutto aggiungendo poco per volta dell’acqua tiepida, in modo da ammorbidire la pasta. Formare una palla e riporla in frigorifero per 30 minuti. 

Nel frattempo, mettete le uova a cuocere fino a farle diventare sode. Una volta pronte, levate la scorza e tagliatele a quadratini. Scolate l’olio delle latte di tonno, e unite il tonno alle uova in una terrina. Aggiungete a poco a poco la passata di pomodoro, in quantità a piacimento (ma senza esagerare:il sapore predominante dovrebbe essere quello del tonno)  e lasciate riposare il tutto.

Passata la mezz’ora, estraete la pasta dal frigorifero, stendetela su di una spianatoia leggermente infarinata e ricavatene 12 dischetti. Farcite i dischi di pasta con il ripieno precedentemente preparato e chiudeteli a mezzaluna. Friggete le empanadillas in abbondante olio bollente e servitele calde. Buen provecho! 

giovedì 3 maggio 2012

Testa alta, schiena dritta, petto in fuori.


Ma voi le ricordate, le immagini tridimensionali pre-occhialini da cinema? Quelle che andavano di moda negli anni novanta? Ne vendevano album interi. Agglomerati di segreti in sfavillanti policromie. Ecco, loro. Ricordi dissepolti della prima gioventù.

“Dovete fare l'esatto contrario: non guardate oltre al quadro, fermatevi al quadro”.


Una rivelazione, gente. Ecco cos'è stata. Ché, quando si parla d'atteggiamento, le lezioni di flamenco servono anche da consigli per la seduzione. E funzionano, peraltro. Un casino. Lo so perchè è lo stesso principio usato nell'esperimento di una sera in erasmus. Che già solo qui dentro ne avrò parlato cento volte, me ne rendo conto. Però, abbiate pazienza: a me quella cosa lá m'aveva profondamente shockata. Sì, insomma, io non sono una bellezza. Bisogna pur ammetterlo. Ho i miei lati positivi, certo. Ho le mie qualità. Ma non sono mai stata una che fa girare le teste. Oltrettutto, le minigonne inguinali mi mettono a disagio. Dai, non so neppure metterlo, il tacco a spillo 12 che il mondo intero sembra ritenere così Glam. No. Se parlo spesso di quell'episodio è perchè, io, a cose simili, non ci ero né ci sono abituata. Insomma, era uno stupido scherzo nato dopo un drink, nient'altro. Una strategia studiata a tavolino per farsi offrire da bere, sentendosi in un episodio di Sex and the City. Per corroborare, forse, una qualche triste teoria femminista sull'eccesso di semplicità maschile. Ricordo ancora le parole esatte del dialogo precedente il nostro ingresso. “E' tutta questione di portamento. Entri a testa alta, schiena dritta, petto in fuori. Guardando dritta davanti a te, come se di quel che c'è attorno non te ne fregasse niente. E, mentre cammini, ti sfili la giacca lasciandola cadere da dietro”. Come nel flamenco, cioè. Giacca a parte, più o meno. A dirla proprio tutta, mi sembrava una stupidaggine colossale. Invece, ho rimorchiato più nei cinque secondi di quella camminata che in tutto il resto della mia vita. Giuro. Certo, pochi minuti dopo ho ribaltato rovinosamente per terra il daiquiri fresa con tanto di ombrellino e fragolina ornamentale, scoppiando a ridere come una pazza isterica. Ma quelli son dettagli che non si dovrebbero sapere. Soprattutto perchè la fragola l'avevo anche accidentalmente pestata, strascinando pezzettini rossi in giro per tutto il pavimento del locale.

Comunque.


Il punto è che ieri sera ho preso la fondamentale decisione di riciclare il portamento flamenco anche nella vita quotidiana. Chè ascoltavo le dritte della mia insegnante e pensavo che, in effetti, guardo troppo spesso per terra, quando cammino. E, se parlo con qualcuno, non lo fisso mai negli occhi con abbastanza intensità. Si cambia, fatta. Da domani testa alta, sguardo fermo, schiena dritta, petto in fuori.

Non per sedurre, in realtà. Per niente. Solo per guadagnarci in autostima. Mi serve un sacco, ultimamente, guadagnarci in autostima. Ma proprio un sacco, davvero. Perchè è come quando balli, alla fin fine. Lo fai per chi ti guarda. Ma lo fai , comunque, da sola.

Poi , essendo io, il minimo che mi possa capitare sarà che ,camminando a testa alta, pesterò la cacca di un cane. Sicuro. O che qualcuno mi chiederà: “ho qualcosa di strano in faccia, che mi fissi così?”. Però, insomma...un nanosecondo di illusione lasciatemelo, no?

Che, tra l'altro, io quelle immagini tridimensionali là non sono mai (e dico mai!) riuscita a vederle. E, fino a ieri sera, non avevo neanche mai capito perché. Ecco cosa bisognava fare, accidenti: “guardare OLTRE al quadro!”. Possibile che nessuno me l'avesse mai spiegato?!  Mah.