mercoledì 16 maggio 2012

On the road, destinazione Lorca.

(Continua da qui )

Quando parlavo di viaggio “on the road” mi riferivo, più che altro, alla successione di trasporti via terra che dall'aeroporto di Alicante m'avrebbe condotta a Cartagena. Definizione applicata al tragitto sbagliato. Chè i kilometri, a volte, mentono in facilità. A mia discolpa, Lorca sembrava vicina.

Abbandono le chiavi sul bancone deserto della reception. Semi oscurità alle sette del mattino, e il tizio della pensione, finalmente, sembra dormire un po'. Personaggio peculiare, di quelli che meriterebbero un post a sé stante. Latinoamericano. Colombiano, azzarderei. Passa le sue giornate col pc sulle ginocchia , parlando a voce alta con la sua donna su skype. C'è anche un bimbo piccolo: a volte lo si sente piangere al di là dello schermo, la voce resa un po' metallica dai bytes. Un uomo gentile: ti porta la valigia in camera, storce l'antenna del router nel vano tentativo di amplificarti il segnale. Ti chiede ottocento volte al giorno se hai bisogno di qualcosa. Ma il punto è che la pensione la gestisce lui da solo. E la reception aperta 24 ore mi spinge a dubitare che sia veramente umano.


Comunque. Sgattaioliamo via, dirette alla stazione dei bus. Le gambe ancora provate dalla sera prima. Era bello, El Batel. E non soltanto per il bar con vista al mare. Corridoi futuristici, dentro, conducevano a una sala troppo densa di fumo. Sedie di design arancione, anteprima di un'acustica tra le migliori mai sentite in questo tour. Non avevo molto tempo, per raggiungere il mio seggiolino in fila cinque. Tra pochi minuti sarebbe cominciato lo show. Ma il banchetto del merchandising era vuoto. I bracciali, tanto agognati, in bella mostra davanti ad Iván.
Uuuuuuhhh, las pulseritaaas!”, non avevo potuto evitarmi di urlare. E quando dico “urlare” intendo bloccarmi di colpo, iniziare a saltellare sul posto come un bambolotto a molla e bloccare l'afflusso di gente perplessa che mi segue. S'era messo a ridere, Iván. Sapeva della mia strenua ricerca. “Por fin”, rispondevo a mia volta divertita mentre me ne consegnava due.




Bello,sí, il concerto di Cartagena. Da ricordare per la sciarpa dell'Atletico Madrid, con cui Dani prolungava i festeggiamenti sportivi. Per il coro di “Puede Ser” cantato fuori repertorio, improvvisato dal pubblico. Gesto d'affetto in grado di inumidirgli gli occhi d'emozione. Da ricordare, perché no? Anche per quel sapore agrodolce di fine imminente, racchiuso in ringraziamenti un po' da Oscar, ricordi, e parole d'affetto nei confronti di due anni meravigliosi. Un concerto a cui lui non m'ha vista, ma a me bastava sapesse che c'ero.



Comunque. Cartagena-Mazarrón- Lorca: ecco il vero viaggio On The Road. Ché, dopo la sosta a casa di Inma, scopriamo che l'autobus diretto, la domenica, non passa mica. Tocca prenderne uno per Aguilas, per niente gradito all'ensaimada della colazione. La strada é di montagna: tornanti, andanti e conati trattenuti. Molti, peraltro. Carnagione sempre piú tendente al verde, quasi volesse mimetizzarsi con l'ambiente esteriore. “Quando siamo arrivati?”, mi ripeto nella testa come una bambina capricciosa. E quando, alla fine, arriviamo davvero, scopro che il treno per Lorca passa appena tra due ore. Meno male che Sergio ci tiene il posto in fila. E meno male, soprattutto, che c'é un chiringuito sulla spiaggia. A dirla proprio tutta, io resterei pure qui.



Ci arriviamo verso le quattro, al Recinto Ferial di Santa Quiteria. Passiamo accanto a numerose rovine che non vedo del tutto, stremata come sono dalla fame. Facciate come maschere, tristi negli occhi vuoti di finestre dietro cui non c'é alcunché. Il sole é inclemente, sulle distese d'asfalto. Su un posto che dev'essere stato bello, sí, si vede che lo era. Un castello, qualche edificio antico. E un camioncino col megafono da cui qualcuno urla “esta noche, Dani Martín”.

Non avrei pensato di poterlo rivedere. In fondo si sapeva, che quella notte stessa sarebbe ripartito per Madrid. Un volo per gli States l'avrebbe portato a duettare con Tony Bennet, non aveva alcun senso che si fermasse a dormire. Ma in fondo era sorprendermi, ció che avevo chiesto alla Luna Piena.

Cosí, come recita il galateo delle file, lasciamo che Sergio vada a farsi la doccia. Ha prenotato una stanza in un hotel a pochi metri da lí. Un albergo a quattro stelle che l'aveva attirato con prezzi speciali. Ce ne parlava da giorni: “40 euro la doppia”, un'occasione che di certo non poteva lasciarsi scappare. Quello che nessuno di noi aveva calcolato é che gli hotel del tour erano stati prenotati tempo addietro. Prima. Molto prima. Prima che Dani sapesse che sarebbe dovuto partire per gli States.

La Luna Piena mi ascolta sempre, questo é. E allora Sergio, uscendo dal suo hotel, incontra Dani Martín per puro caso. Lui, in quell'hotel, ci sta entrando. “Voy a hacer una siesta”, gli dice. Che poi é proprio il tempo che ci vuole per sistemarsi il trucco e bere una Coca Cola fresca nel giardino esteriore. Lí, dove gli invitati di un matrimonio si accalcano in progressione: sfilata d'abiti in eccesso eleganti, tanto da sembrare a volte quasi volgari. Con Mar e suo padre chiacchiero del mio erasmus. Ci metto troppa foga, come sempre. Tanta da metterle voglia di partire. E intanto Iván esce dalla porta a vetri, diretto al furgoncino parcheggiato dietro di noi.

Mi vede e mi sorride come ad una vecchia amica: “Hola, buenas tardes!! Nos vemos luego” .
Di fronte all'aumento di un'ignara folla alticcia, suggerisco ai miei compagni di avventura che forse – e dico forse – sarebbe meglio entrare.

(...to be continued) 

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