giovedì 30 agosto 2012

Road to Thessaloniki (e sabbia bianca a go-go)


Cose da fare dopo l'8 Settembre:

1. Inviare curricula a tappeto a tutte – ma proprio tutte – le riviste di viaggio italiane, comprese quelle online. 

2. Spedire il mio sudato manoscritto a una sfilza importante di case editrici. 

3. Valutare i pro e i contro di un'iscrizione al Master in Comunicazione Musicale della Cattolica a Milano. 

4. Inviare un pacco regalo a Madrid. 

5. Prenotare un volo per Madrid , a fine Novembre. 

6. Cimentarmi pro bono nella prima organizzazione di viaggio di gruppo per un'associazione, sperando mi frutti qualcosa in futuro. 

7. Comprare un biglietto per il concerto di Cremonini a Pordenone, prima che si esauriscano del tutto i posti del parterre. 

8. Organizzarmi per il Blogfest di Riva del Garda. 

9. Trovare il modo di guadagnarmi uno stipendio vero e proprio prima che aumentino l'Iva sui concerti in Spagna. 

10. Dare, in sostanza, una svolta alla mia vita. 

Nel frattempo, però, lascio in sospeso i progetti per andarmene in Grecia. So dire Kalimera, Kalispera, Kalinikta, s'agapò, ouzo, retsina, metaxa, moussaka, souvlaki, pita gyros e tzatziki, perciò direi che sono più che pronta. Ho anche messo in valigia una maglietta bianca con una specie di peplo, e una canotta con la bandiera nazionale del luogo. Così, giusto per entrare in atmosfera. 

Insomma: finchè non mi leggerete, immaginatemi qui. Con i pensieri disconnessi e un'abbronzatura da fare invidia. A presto, my friends.


Spiaggia di Nikiti, Sithonia, Greece. 






mercoledì 29 agosto 2012

"Cemento Armato" e la cover spagnola de Il Cile


E' uscito ieri l'album d'esordio de Il Cile, una di quelle poche voci forse veramente nuove che ogni tanto intervengono a dare speranza alla discografia nostrana. Il che, peraltro, suona come un paradosso, almeno se si pensa al titolo. Ché quel “Siamo morti a vent'anni” pare già da solo un grido di dolore senza via d'uscita alcuna. Ma la musica, forse, sarà in grado di salvarci ancora un po'. Ora: devo – mio malgrado- confessarvi che io, il disco, non l'ho ancora ascoltato. Quel che è certo, però, è che prometteva bene sin dal primo singolo. Sí, perché de Il Cile di Cemento Armato amo quel timbro un po' roco, personale, inconfondibile . E adoro il testo, tutt'altro che scontato. Una collana di parole piene di attualità e vita vissuta che vale anche da sola un gigante in bocca al lupo, oltre a tutta la mia simpatia.




La cosa interessante, poi (almeno dal punto di vista della filo-ispanicità di questo blog) é che il cantautore Dani Gancho proprio di Cemento Armato ha realizzato una cover in castigliano. Forte di una traduzione fedelissima ed una buona esecuzione acustica, il video della sua interpretazione conta già diverse centinaia di visite su youtube. Anche se, personalmente, quel timbro roco a me manca un po'...

E voi? Quale versione preferite?


lunedì 27 agosto 2012

Quadri Parigini*


Venti. Ho comprato una graziosa confezione da venti cerotti waterproof in una piccola farmacia del centro. A seguirmi, un'inglese zoppicante con le scarpe più sbagliate delle mie. Ebbene, due giorni dopo, quella confezione era già vuota.

E' che lo dicono tutti: una città si conosce camminando. Solo che sopravvaluto sempre lo stato di resistenza dei miei piedi.


Comunque. Non le ho ancora del tutto messe a fuoco, le mie sensazioni su Parigi. Certo, ho dormito su un aereo per tutta la durata del viaggio di ritorno; sui sedili posteriori di un'auto nel tragitto Venezia-Monfalcone; e poi per altre dodici ore filate sul letto di casa mia. Eppure pare ancora non basti a ripristinare del tutto la lucidezza mentale. Troppe immagini e lingue a far baccano nel cervello provocano un senso di immotivato jet lag.

Di sicuro posso dirvi che avere un'amica del posto ti conduce ad assaporare itinerari dal gusto parigino. Il che esclude in una vaga smorfia di disgusto l'edificio dal taglio moderno del Pompidou, il cui azzardo avevo, invece, a suo tempo apprezzato non poco. E che però ti porta a scoprire – più che a ritrovare – i due volti di una città impregnata in ogni angolo di storia e poesia. Tutti i tipi di poesia, a dire il vero, tranne quella che a me sta forse più a cuore. Perchè è l'unico appello, l'unica piccola delusione: dove diavolo è finito il mio Baudelaire? Rilegato fuori dal Pantheon, dalle citazioni sulle cartoline, finanche dai magneti, dannazione! Cioè, ammetto che sarebbe stato pretendere troppo trovarne uno col mio motto personale sui sogni. Ma almeno un accenno piccolissimo a qualche suo aforismo me lo sarei aspettato, tra il Piccolo Principe e le massime di Voltaire. Se non altro la riflessione per cui chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere. Quella ai turisti sarebbe piaciuta! Pover'uomo.

Ma dicevo delle due facce. Una é quella della Parigi da cartolina, con gli Champs Elisées, la folla colorata sui gradini del Sacre Coer, e la Tour Eiffel che alle 10 in punto regala uno spettacolo di luci glitterate. E' il simbolo sovrasfruttato dal marketing dei souvenir. Eppure, anche circondato da pullman, flash, coppie che si baciano platealmente e piedi doloranti, riesce a commuovere di una strana magia. E poi c'è l'altra, la Parigi vera, vissuta. Ed è stata questa, forse, la più autentica sorpresa. Un'espressione di stupore che colpisce cenando a Bercy. Dove le case tutte uguali, in mattoncini marron chiaro, incorniciano un vialetto ombreggiato da teli colorati. Ai bordi, i gazebo dei ristoranti all'aperto, sovraffollati già alle sette da esclusive parlate francesi. Attorno, i negozietti curati, ben arredati, spaziano in un identico amore per il dettaglio dalla moda ai dischi, passando per il cibo per animali. E' stato lì che ho scoperto cosa sono davvero le crepes. Con la pasta più dura, più croccante, quasi fosse fritta. Con un menù di varie pagine a raccoglierne una varietà che manco le più fornite tra le nostre pizzerie. E gli ingredienti che trascendono il ripieno, per occupare di gusto anche il sopra e il sotto di un triangolo calorico di goduria pura. Un po' come il croque monsieur emerso allegramente dal forno dell'appartamento di Céline. La Parigi più autentica è la chiusura ai quattro lati di una piazza di cui non ricordo il nome, a due passi dalla casa natale di Victor Hugo. Lì, sotto i portici di palazzoni antichi, i locali affollano bistrò raffinatissimi, al suono perenne di qualche musicista di strada. Al centro, un piccolo giardino a innaffiare la strada di fiori.



E poi, nel mezzo, c'è stata l'escursione a Versailles. L'overdose di turisti russi che ti pestano i piedi e poi non chiedono scusa. Un palazzo visto mille volte in foto, che ricorda un videogioco che facevo con mio padre quando avevo forse otto anni appena. E in mezzo, piacevole scoperta, le installazioni d'arte contemporanea di un qualche artista vagamente schizzato. Arte che, in un museo, mi sarebbe sembrata del tutto priva di senso, di talento, di emozione. Ma che, invece, proprio lì trova il suo habitat naturale. Lì, dove lo sfarzo del Re Sole si sposa all'eccentricità di un elicottero rosa in piume e swaroski. Dove le gallerie che hanno visto sfilare anni di storia ospitano i tentacoli di un polipo gigante. E due enormi decolletè d'argento inseriscono lo chic d'epoca attuale nella sala degli specchi, per la vanità d'allora.

Nel mezzo ci sono state le casette da fiaba del dominio di Maria Antonietta, a cui – a differenza del palazzo più noto – pare non sia mai preparato nessuno. Ci sono tetti in paglia. Fiori d'un rosa sgargiante. Caprette, maiali e cinghiali nelle loro fattorie. E un faro bellissimo, di quelli che t'aspetteresti in un cartone animato, in una scena di rapunzel, o in un sogno un po' più fuori dal normale.

Sì, Parigi me la ricordavo diversa, questa è la mia principale sensazione. Nel capodanno dei miei tredici anni era gonfia di pioggia e frastuono. Colorata nelle vetrine, grigio-cupa fuori. Invece l'ho riscoperta come un puzzle di colori. Un insieme eterogeneo e schizofrenoico di pezzi a comporre un mosaico che può solo entusiasmare. E, in tutto questo, a rimanere intatto, c'è il mio profondo amore verso la Defense. Il suo gioco moderno di riflessi e cristallo mi conquistava allora nonostante il vento, e torna a farlo adesso anche in sua virtù. Perchè la Defense è un mondo astratto in cui il presente regna. Eppure non può farlo senza rispecchiare il panorama di ieri. La Defense è l'arco perfettamente quadrato che si allinea a quello di Trionfo, in un'immaginaria congiunzione verticale che collega le epoche in un quadro generale. Credo sia per questo. Credo sia un po' questo, il riassunto di Parigi.



Che poi è proprio alla Defense che ho scoperto l'esistenza di un profumo che si chiama come me. 


L'ho cercato, al ritorno, in ogni singola profumeria dell'areoporto d'Orly. Niente. Frustrata dalla sua perenne assenza, ho finito con l'afferrare quasi controvoglia una boccetta tester di Angel for Man. L'ho annusata senza spruzzarmela addosso, come una groupie isterica in crisi d'astinenza.

Dicono che l'olfatto delle donne sia più sviluppato di quello maschile. Dicono che abbia a che vedere con i nostri impulsi più primitivi. Dicono. Io so soltanto che l'olfatto fa viaggare nel tempo. So solo che quel profumo restituisce tridimensionalità a tutte le foto. E la violenza con cui m'hanno assalita le immagini degli abbracci, dei concerti, la nitidezza con cui ho riascoltato il suono della sua voce semplicemente aprendo quella bottiglietta di profumo...ecco, questo mi ha stordita. Ma forse è stato giusto così. Perchè c'è una parete dedicata al tour di Dani Martín, nell'appartamento di Celine. Perché il videoclip di Mira la vida é stato ambientato proprio tra quelle strade. E allora una parte di Parigi, della sua essenza, dei suoi colori, forse é impregnata anche della musica che m'accompagna la vita. E, con lei, di tutte le cose che giá mancano un po'.








* Se hai colto la citazione del titolo, grazie. Anche per essere d'accordo con me sul fatto dei magneti, in effetti. Assenzio? 



lunedì 20 agosto 2012

Parigi val bene una messa. E una levataccia. E un cappello. E...


Mancano pochi minuti alle sei e, per la prima volta in tutta la giornata, mi siedo. Anzi, ad essere sinceri il verbo corretto sarebbe “gettarsi”. Cadere di peso su un giaciglio da ufficio, facendo tremare leggermente le tre rotelle che gli fungono da base.

Insomma, la situazione è questa: la valigia è pronta. Pesa otto miseri kili, comprensivi di borsetta e cappellone extra-large comprato l'altra sera a Grado. Il fatto mi rende estremamente fiera di me. In compenso, la bilancia s'è affrettata a decretare che sono ulteriormente ingrassata di un kilo. A conferma che la vita è tutt'una media statistica tra belle e brutte notizie, suppongo. Comunque, continua a non fregarmene nulla. Giuro, proprio zero. Insomma, i vestiti in armadio continuano a calzarmi a pennello, anche quelli di molti anni fa. Se mi guardo allo specchio, ciò che cambierei di me riguarda tutto, fuorchè il fisico. E poi, anche volendo, l'amica da cui vado ha promesso di portarmi a mangiare le crepes. Potrei forse rinunciare?

Ecco.



La situazione è che ho guardato il meteo della mia destinazione. Parlano di minime di 14 gradi, massime di 24. E, per la prima volta, una notizia simile sa rendermi felice. Per il resto, ho un'unghia del piede – una soltanto – decolorata con l'acetone, in attesa di riprendermi e continuare l'impresa. Ah, e non ho ancora capito dove diavolo é la fermata del FlyBus alla stazione di Mestre. Dopo gli approcci insistenti di un filippino, la puzza di sudore, e l'assenza ingiustificata di aria condizionata, ho giurato a me stessa che l'autobus urbano, per andare in aeroporto, non l'avrei preso mai più.



Insomma, domani vado a Parigi. Mi porterò un libro da leggere in metro, non sia mai che rimorchio. E, se non avete colto la battuta, guardatevi un po' 'sto video.



Au revoir.


domenica 19 agosto 2012

Guida Gourmet per concertisti squattrinati in Spagna (parte II)


(Continua da qui )

PALMA DE MALLORCA
Palma de Mallorca é obiettivamente uno dei luoghi in cui ho mangiato meglio nel corso delle mie peregrinazioni concertistiche Made in Spain. Come giá per Zaragoza, peró, la quantitá di avvenimenti ad alta densitá emozionale di quei giorni hanno finito col distorcere le mie capacitá cognitive. Sí, insomma: fluttuando sulla mia nuvoletta rosa, ho scordato di prender nota dei locali in cui mi son trovata meglio. Fustigatemi pure. 

Ché, per esempio, ce n'era uno, dalle parti della Catedral: pareti rosse, luci soffuse, candele ad ogni tavolo. Servivano insalate dall'aspetto invitante e ottimi “surtidos de tapas” che ti saziavano ampiamente per soli 8 euro a testa. Peccato che, dopo una prima capatina, io non sia stata assolutamente piú in grado di trovarlo. Cercando un po' su internet, quel che piú gli si avvicina é il Tapas Bar El Cuerno  , di cui tutti parlano un gran bene. Non sono, tuttavia, ancora del tutto certa che si tratti dello stesso locale che ho in mente io.




E ce n'era anche un altro molto bello, con giardinetto interno alla francese, dalle parti di Calle 31 de Diciembre. Facevano degli ottimi nachos col formaggio, tra le altre cose. Il personale era simpaticissimo e si pagava davvero poco. Anche in questo caso, peró, non riesco assolutamente a ricordare come diavolo si chiamasse.

Ad ogni modo, se andate a Palma de Mallorca una cosa ve la posso dire, e senza esitazioni : fate colazione con una bella ensaimada al Bar Bosch : Ne vale la pena.




VALLDEMOSSA (Mallorca)

A pochi kilometri da Palma de Mallorca, e comodamente raggiungibile in autobus, si trova l'incantevole paesino di Valldemossa. Purtroppo, l'enorme quantitá di turisti che lí si recano ha lasciato ben poco spazio ad un rapporto qualitá/prezzo che riesca ad essere davvero ideale.

Ad ogni modo, se avete intenzione di farci un salto, consiglio un ristorante in piena Plaza de la Cartuja. Per essere sincera non ricordo se si trattasse del Sa Picada o del vicino Ponent. Ma se date le spalle alla famosa Certosa , in zona che piú centrica non si puó, lo troverete alla vostra sinistra, annunciato da una grande scalinata in pietra e due ingressi: uno di fronte a voi, l'altro laterale. Su internet leggerete che i prezzi sono altini. Ma se come me vi limitate a un piatto di Frito Mallorquín (squisito) , riuscirete a sfamarvi con poco. Ah, una volta ordinato vi porteranno delle olive con pane e una salsina, a mó di aperitivo. Sappiate che, anche se non ve lo dicono, costano qualcosa come un euro e cinquanta. Siete quindi liberi di rifiutarle prima che ve le mettano in conto. 


BARCELLONA

Va da sé: i locali, in una metropoli come Barcellona, sono davvero molti. Io, peró, uscendo dalle strade turisticamente giá molto battute, mi sento di consigliarvene soprattutto uno.

Si tratta de El Viejo Pop , in Via Laietana 57.

In cittá é rinomato soprattutto per i nomi dei suoi panini, ognuno dedicato ad un artista o gruppo pop. Potreste trovarvi, insomma, ad ordinare una “shakira” senza che vi guardino male. E c'é pure “El Canto del Loco”, per mia immensa gioia. Tuttavia, io ve lo consiglio soprattutto per le tapas. Ottime ed economiche, perfette se accompagnate da una cervecita o un bicchierino di Sangría. Inoltre, il personale é davvero gentilissimo. E burlone, alquanto. Preparatevi.



MALAGA

A Málaga, come molti di voi sapranno, ci ho vissuto per circa un anno. Per cui, se dovessi veramente menzionare tutti i ristoranti che valgono la pena, terminerei questo post tra una decada. Mi limito, quindi, alla mia sempre incontrastata top 3.

Bodega Bar el Pimpi , Calle Granada, 62 .
E' il locale probabilmente piú rinomato della cittá. A renderlo caratteristico, le innumerevoli botti firmate da personalitá spagnole di ogni epoca e settore, da Paloma Picasso alla flamenca Estrella Morente passando per divi del pop attuale. Tutti, del resto, immortalati in foto all'ingresso di Calle Granada (si puó entrare anche dalla strada parallela, in cui spicca il Teatro Romano) . El Pimpi é talmente conosciuto, bello e amato che tra i malagueñi vige un detto: “non si puó dire che sei stato a Málaga, finché non hai visto Calle Larios e El Pimpi”. La loro specialitá sono i vini, in particolar modo quelli dolci. E, anche se da poco hanno ampliato anche l'offerta culinaria, il mio consiglio é quello di recarvicisi piú che altro per un aperitivo, ordinando il loro squisito Moscatel accompagnato da un tagliere di prosciutto e formaggio, per poi andare a cenare altrove. Se invece volete comunque consumare al Pimpi un pasto intero, é allora forse preferibile farlo a pranzo, perché a cena sono soliti chiudere piuttosto presto . Presto rispetto agli orari spagnoli, almeno.





Marisquería Casa Vicente  , Calle del Comisario, 2.
La miglior opzione per cenare nel centro di Málaga. Senza ombra di dubbio. Locale storico, la cui apertura si rimanda al diciannovesimo secolo, serve dell'ottimo pesce per dei prezzi davvero irrisori. La cucina é tipicamente andalusa, e a dire il vero lo é pure l'ambiente: non aspettatevi tovaglioli di stoffa e camerieri in frac. A Casa Vicente l'atmosfera é da vera e propria trattoria, con terrine di plastica colorata per gettare le scorze al centro del tavolo, forchettine mignon, zero tovaglie e fazzolettini di carta per pulirsi. Un ambiente informale in cui mangiare da Dio sentendosi a casa. Se ci andate, PROIBITO perdersi i loro Gambas a la Plancha, cucinati in modo diverso da tutti quelli che voi abbiate mai provato qui in Italia. Attenzione, perché provocano dipendenza.




Bar de Tapas y Freíduria Pepa y Pepe , calle de la Calderería, 9
Altro must dei malagueñi, é il classico locale da tapas, con le botti usate come tavolini e gli sgabelli alti collocati attorno. Pepa y Pepe é specializzato in piatti fritti, da godersi con la loro ottima birra alla spina. Da provare le Berenjenas con miel, le patatas bravas e (se ci sono) i datiles con bacon. Entrambi ottimi contrasti di sapore. 




E, se sognate un pranzo a base di ottimo pesce fresco sul lungo mare, prendete l'autobus e spostatevi fino alla zona di Pedregalejo-El Palo. Proprio sulla spiaggia ne troverete una lunga serie: tutti validissimi, e tutti low cost.

CARTAGENA (Murcia)

Cartagena é un piccolo gioiellino che noi italiani non conosciamo molto, e che invece andrebbe assaporato in ogni suo piú piccolo aspetto.

Lí ho mangiato delle ottime tapas alla Cafetería San Miguel, in Calle S. Miguel, 3. Personale oltrettutto gentilissimo e molto premuroso. E non sono affatto male neanche quelle del Restaurante Columbus nella centralissima Calle Mayor.



Mi hanno poi parlato benissimo di due bar de tapas molto frequentati in Calle Jabonerias: il D' almansa e il Sabor Andaluz . Purtroppo non sono riuscita a provarli perché, essendo fine settimana, erano entrambi affollatissimi. L'ambiente, peró, prometteva sul serio. Quindi, se vi capita di passarci, fatemi sapere. 


E sappiatemi dire anche se é vero che al Club Nautico, vicino all'auditorio, si puó mangiare dell'ottimo pescaíto fritto per soli 10-15 euro. Il mio piú grande pentimento é stato non aver avuto il tempo di “toccare con mano”.

Parlando di Cartagena, non posso poi non menzionarvi La Catedral. Esce decisamente dalla categoria Low Cost (un pranzo completo vale sui 30 euro a persona) , ma l'ambiente vale decisamente la pena. Potete andarci anche semplicemente per bervi una birretta al banco. Con la birra, oltrettutto, dobrebbero portarvi anche una tapa gratis.

Ah, per quanto suoni difficile da credere, sono ottime anche le tapas che del bar della stazione degli autobus a Murcia. Provare per credere. 





IN QUALUNQUE CITTÁ DELLA SPAGNA , se non sapete dove fermarvi a mangiare, potete inoltre andare sul sicuro puntando su alcune rinomate catene gastronomiche.

100 MONTADITOS, per esempio. La specialitá sono, per l'appunto, i panini mignon farciti chiamati “montaditos”.

CAÑAS Y TAPAS. Sempre validi, giá a partire dal nome.

LA CRUZ BLANCA. Ottima per pranzi completi, piú che per tapas. Variano i menú da cittá a cittá, ma sono sempre economici e di buona qualitá. La migliore tra quelle che ho provato é la Cruz Blanca di Jerez de la Frontera.

CAFÉ & TEA piú che per i pranzi, é ottima per snack veloci o merende a metá pomeriggio. Tuttavia, in alcune sedi – soprattutto nelle grandi cittá – hanno anche dei platos combinados squisiti. Questo sí: scegliete sempre di sedervi all'interno, in estate, perché ai tavolini fuori arrivano spesso quasi a raddoppiare il prezzo.

Per la colazione, o una pausa dolce, suggerisco inoltre le CHOCOLATERÍAS VALOR. Si trovano in tutte le principali cittá della penisola iberica e propongono prodotti di cioccolato realizzati artigianalmente , oltre a tutta una serie di altri dolci davvero da leccarsi i baffi. Merita.






sabato 18 agosto 2012

Guida Gourmet per concertisti squattrinati in Spagna (Parte I)



Leggenda vuole che la dieta del concertista si limiti tendenzialmente ai paninazzi del McDonald's. Ebbene, sono lieta di dirvi che non sempre é cosí. Seguendo i tour de El Canto del Loco (prima) e di Dani Martín (poi) ho avuto modo in questi anni di conoscere a fondo le variegate meraviglie con cui la Spagna sa sorprenderti. Anche dentro a un piatto da portata. Il punto é che il cibo, per me, non é soltanto un mezzo di sussistenza. Al contrario: sono fermamente convinta che la gastronomia di un luogo sia parte integrante della sua Cultura. Che la rifletta, in certo qual modo. Che sia riassunto e sintomo del carattere stesso di una popolazione. Se no, pensate al modo stesso che hanno gli spagnoli di mangiare. Il loro condividere i piatti, sintomo di grande generositá. Oppure il fatto di ordinare un sacco di assaggini diversi (le famose tapas) per provare un po' di tutto, anziché limitarsi ad approfondire un unico sapore. Dai, non sembra anche a voi emblema stesso di curiositá? Ma pensate, anche, al nostro unirci attorno al tavolo per ore ed ore. All'italico vivere il cibo come un pretesto per riunire la famiglia, piuttosto che per socializzare con gli amici. E' cosí in contrasto con le abitudini anglosassoni! Con quel mangiare ognuno quando e come puó, di fretta, solo per ingurgitare necessarie calorie prima di tornare al lavoro. Cosa che spiega, del resto, la loro non proprio mondialmente apprezzata cucina.

Sí, insomma: per me visitare un luogo senza provarne le pietanze tipiche vuol dire conoscerlo a metá. E viaggiare per conoscere qualcosa “a metá” é un sacrilegio bello e buono. Evidentemente i miei amici lo sanno, dato che la domanda che mi sento rivolgere piú spesso da chi va in vacanza in Spagna é “che locali mi consigli,per andare a mangiare? ”. Da lí, la decisione di scrivere questa mini-serie di post. Post che passano in rassegna, divisi per cittá, i ristoranti e tapas-bar che piú mi hanno soddisfatta nel corso delle mie peregrinazioni da “groupie”. E, attenzione: questo non vuol dire che siano i migliori in assoluto. Per niente. In fondo la mia intenzione é tutt'altra che atteggiarmi a guida Michelin! Semplicemente, i posti qui elencati sono quelli che, nella mia esperienza personale, hanno meglio risposto alle esigenze di ogni concertista squattrinata che si rispetti: qualitá buona, certo; ma – in questo la leggenda dice il vero – sempre e comunque low cost.

Sentitevi liberi di consigliare nei commenti altri ristoranti o tapas bar da voi approvati in Spagna. Sia io che i miei lettori ve ne saremo certamente grati.

MADRID.

Taberna Real.  Calle Isabel II, n.8 , Opera- esquina El Arenal. Metro: ópera.

Non é certo la scelta piú economica per un pasto completo, ma é decisamente una sosta da fare. Locale storico, posizionato in una delle zone di Madrid che preferisco, ha un ambiente tradizionale che vale la pena godersi. Lo consiglio per una birra alla spina (caña) accompagnata da una tapa di jamón.



E' forse uno dei locali piú noti di Madrid, con sedi in vari angoli strategici della cittá, da Atocha alla Gran Vía. Nonostante il nome pretenzioso, si mangia bene a prezzi decisamente sostenibili. E il menú vi dá la possibilitá di scegliere tra molte pietanze, anche al di fuori del prosciutto. Proprio nel loro locale di Calle Alcalá, ad esempio, io ho provato per la prima volta il bocadillo de calamares di cui i madrileñi tanto vanno fieri. Una tapa con primo piatto e bibita, se le vostre ordinazioni non sono pretenziose, puó rimanere tranquillamente al di sotto dei 15 euro.



La Cocina del Neptuno  , Calle Cervantes 44.
Perfetto per rimettersi in forze dopo una visita al Prado, é situato in piena zona dei Musei a Madrid, distaccandosi peró dai tragitti eccessivamente turistici. A frequentarlo – o, almeno, questa é stata la mia impressione - sono soprattutto impiegati in fuga dall'ufficio per la pausa pranzo. Da lí, i menú “esecutivi” a prezzo fisso e la dichiarata scommessa per una cucina il piú possibile sana. Unica avvertenza: le porzioni sono veramente molto abbondanti. Per cui, se optate per il menú (che resta comunque la scelta piú economica ) vi consiglio di ordinarne uno per due. Io, pur in preda alla mia famigerata “fame nera” non ero riuscita a finire nemmeno il secondo, dovendo rinnegare a malincuore il dolce giá pagato. E dire che era tutto buonissimo...!



VALENCIA
La Sardinería , Calle de Bordadores 10.

E' uno di quei posti che consiglio sempre a tutti. Di quelli per cui, d'improvviso, mi prende la nostalgia. Per cui, ve lo dico di tutto cuore: se andate a Valencia e amate il pesce, fate un salto lí. La specialitá (come avrete, del resto, intuito giá dal nome) sono le sardine, cucinate in tutti i modi possibili e immaginabili. Il menú propone accostamenti di sapore a cui non avreste proprio mai pensato, come sardine all'arancia o sardine al gin seng. E vi assicuro che tutti vi lasceranno piacevolmente senza fiato. Un pasto completo, di per sé, non costa moltissimo. Ma se volete risparmiare ulteriormente c'é anche la possibilitá di limitarsi alle tapas e alle numerose offerte di cui la pagina facebook ufficiale informa con solerzia.

Bar Los Toneles , Calle de Ribera 17

A due passi dalla Plaza de Toros de Valencia e dalla fermata della Metro Xátiva, il bar gode di tavolini all'aperto ed é perfetto per le tapas, disponibili in grandissima varietá. Personalmente, ricordo di essermi innamorata delle loro seppioline alla plancha. Un altro di quei posti che consiglio sempre a chiunque vada a Valencia con il preciso intento di spendere poco.

Restaurante San Miguel  , San Miguel 13, Ciutat Vella
La mia ultimissima scoperta gastronomica iberica in ordine cronologico. Situato dalle parti del Barrio del Carmen, fulcro della movida valenciana, propone dell'ottima paella tradizionale preparata al momento. Cosa che, per quanto difficile risulti crederlo, non é poi cosí facile da incontrare, soprattutto a Valencia. Mi spiego: la cittá, essendo nota – tra le altre cose – proprio per il piatto piú internazionale di Spagna , abbonda piú di altre di posti in cui ti spacciano per autentica una di quelle paellas pre-scaldate ad uso turistico. Il trucco per non farsi fregare sta nell'avere amici valenciani che ti guidino nei posti giusti. Come il Sant Miguel, appunto. Dove, tra l'altro, sono ottime anche le tapas da prendere come antipasto. Patatas Bravas e – di nuovo! - tenerissime seppie sono, in tal senso, il mio consiglio personale.




Ad ogni modo, di Arrocerías (“risotterie”) in cui fanno dell'ottima paella il Barrio del Carmen é pieno. Ne trovate un elenco piuttosto affidabile qui:

ZARAGOZA
Ecco, Zaragoza é il mio grande “buco nero”. Non posso dire di averci mangiato male, per caritá. Solo che, ogni volta in cui ci sono andata, qualcosa é intervenuto ad ostacolarmi la concentrazione sulla cucina. Nel primo caso, avevo 39 di febbre. Per cui i miei ricordi confusi si limitano al centro commerciale davanti all'auditorio. A un conto che non si decidevano a portarci. A un posto in cui facevano degli ottimi panini al salmone. E a un mal di testa da urlo. Nel secondo caso, c'erano le fiestas del Pilar. Il che , tradotto, significa una marea di gente accalcata in ogni centimetro libero e file eterne per trovare un tavolino a cui sedersi. Che poi alla fine uno l'avevo anche trovato, per dire. Solo che non ricordo assolutamente né indirizzo né nome del locale. La chiamerei “la maledizione di Zaragoza”. Che poi é un peccato, perché é una cittá di cui mi sono irreversibilmente innamorata.

(To be continued...) 

martedì 14 agosto 2012

Quel lieve tocco ispanico in "Spice up your life".

(NB: Le immagini contenute in questo post sono tutte prese dagli account twitter di Victoria Beckham, Emma Bunton, Melanie B e Melanie C rispettivamente) 

Esaltazione: a sommi capi, direi che è stata questa la mia reazione alla cerimonia di chiusura di Londra 2012. Un'autentica festa della musica. Una celebrazione della cultura pop che certo non poteva lasciare indifferente la mia pelle. E allora, probabilmente , mi farebbe più onore associarne l'increspatura alle immagini di Freddie; quelle che hanno fatto vibrare uno stadio gremito per introdurre le note dei Queen. O alla sempre splendida Wonderwall,magari. Uscita come un inno sempiterno dalla bocca di Liam. Momenti che mi hanno emozionata, ovvio. Come a tutti. L'esaltazione, però... no, lei non viene da lì.

Il fatto è che, vedete: io, a undici anni, imitavo le Spice Girls con le mie amiche di allora. Ci trovavamo a casa mia, a improvvisare coreografie, mangiare tiramisù, e provare abiti che nella vita di ogni giorno non avremmo indossato mai. Il fatto è che il primo cd comprato con i miei soldi, frutto concreto delle paghette dei nonni, è stato un album loro. E poi la mia tesi triennale...sì, persino quella analizzava in appendice il ruolo dell'immagine nella costruzione del successo delle cinque di Wannabe.






Insomma: piaccia o no,le Spice Girls hanno avuto una parte importante nella mia vita. Anche se forse dirlo non farà di me una persona interessante o musicalmente colta. Ma sapete che c'è? Non m'importa. Perché loro sono scese da quei taxi, l'altro giorno. Nel fasciarle, gli abiti conservavano i ruoli a cui le obbligano i loro soprannomi, in modo peró  forse un po' più sobrio che anni fa. Beh, ad eccezione dell'improponibile tutina di Mel B. Comunque, hanno aperto le portiere, intonato un paio di successi, e io sono tornata alla mia preadolescenza nella velocità di uno starnuto. Un'epoca di zeppe e di lustrini da cui non sono certa di essere ancora riemersa davvero.






Non hanno mai avuto una gran voce, dal vivo. Non c'è molta poesia nei loro testi, e tantomeno compongono dei capolavori melodici. Però sono le Spice, accidenti. Le icone travogenti ed orecchiabilissime di un'intera generazione di ragazzine. Le stesse che adesso, incastrate alla ricerca di un futuro tra i venti e i trent'anni di età, cantano a squarciagola una sbornia di ricordi. E via le pose, allora! Via tutti i compromessi, i musi lunghi, il grigiore. Via tutto, sia per sei minuti o una settimana. Perchè lì, su quel palco, ci sono cinque donne ormai cresciute che scrivono su twitter di aver passato la notte a festeggiare insieme. Come se fosse stata una rimpatriata. Una serata bella in cui rivangare aneddoti prima di andare avanti con la propria vita. Un po' quello che, in certi versi, credo abbiamo fatto tutte noi.









Esaltazione, questo é. Chè Spice Up Your Life é sempre stata una delle loro hit che preferivo. Eppure, prima della cerimonia di chiusura, non avevo mai notato quei suoi vaghi tocchi ispanici. Quel “Flamenco” che apre la lista dei tipi di ballo. Quell'”arribaaaa” d'incitazione....chissà: magari, inconsciamente, era proprio per quello che mi piaceva.





Per quello, e per il verso che ho già citato nel precedente post. Un autentico motto anti-crisi, che ora più che mai tutti dovremmo applicare. Perchè per vivere meglio “all you need is positivity”.  

lunedì 13 agosto 2012

Stelle cadenti o sabbia negli occhi? ( Cronaca di un fine settimana da VIP )


Il braciere olimpico si spegne su di un coro di “noo”. A conti fatti, proprio come il mio weekend sul Lago. Tra l'altro dovrei dedicarci un post intero, alla cerimonia di chiusura di Londra 2012. Cosa che probabilmente farò non appena riemergo dagli anni novanta e dal clima di euforia nostalgica in cui mi ha rigettata la reunion delle Spice. Ché mi son messa a seguirle tutte e cinque su twitter e ho messo il video della loro performance in loop su vimeo. Così, tanto per darvi un'idea della mia attuale condizione mentale. All you need is positivity! Colours to the world! Shake it shake it shake it...ok, la smetto.

Dicevamo del weekend. Il bilancio corrisponde ad uno spritz, due mojitos, un bicchiere di spumante, una lattina di birra bionda trangugiata di chupito in chupito durante una sconfitta a dama da bere. Ah, e una stella cadente che non sono certa di aver visto davvero. Sì, insomma, per quel che ne so io avrebbe potuto tranquillamente trattarsi di un granello di sabbia finito negli occhi. In fondo sono poche le certezze che puoi avere sulla rocca di Desenzano, se hai dell'alcol nelle vene, non ci vedi un fico secco e hai messo i sandali col tacco totalmente ignara del suolo petroso. Capitemi: in certe circostanze ci si aggrappa a quel che si può. E no, non mi riferisco precisamente alla parete scoscesa per non cadere a capofitto sulle città illuminate ai tuoi piedi: fino a quel punto non sono arrivata. Comunque, nel dubbio, io il desiderio l'ho espresso. Un desiderio veramente idiota, ora che ci penso. Tende a essere sempre effimera, la prima cosa che mi viene in mente. L'ho sempre detto, che dovrei prendere appunti prima. Vabbé.





E' anche vero che non posso aspettarmi molto da me stessa. Insomma, mi sono presentata ad una festa in procinto di iniziare, convinta che sarebbe iniziata, invece, a tarda sera. Parliamone. Ma l'importante, in fondo, è conservare la dignità. Anche quando la tua miopia ti porta a rubare il telo mare di uno sconosciuto a cui ancora non ti sei presentata. “Oddio, scusa, credevo fosse quello che mi avevano prestato”. In realtà, credo di aver conquistato in quel preciso istante una carnagione coordinata al rosso del mio bikini. Un bikini che, tra l'altro, adesso puzza un sacco di cloro.

Il fatto è che una festa di dodici ore a bordo piscina ti fa sentire al centro di un episodio di O.C. E quando vai a dormire (e per “dormire” intendo cadere in coma sul materasso appoggiato al pavimento di una casa non tua) il tuo subconscio sta ancora rimuginando su tutte e quante le conversazioni. D'altra parte era piuttosto ovvio: tra sposi novelli e coppie consolidate, il tema principe è stato il matrimonio. Così, ancora un po' su di giri per i drink e la sensazione di essere padrona del Destino, finisci per disegnarti in testa la tua cerimonia ideale. Sorvolando anche sul fatto che, per sposarti, dovresti prima trovarti un uomo. Dettagli. Ad ogni modo, ho deciso che vorrò sposarmi sulla spiaggia. Una spiaggia spagnola, preferibilmente, come in quel servizio che avevo visto su Tve. Pochi intimi tra gli invitati, qualcuno che balla flamenco, e una band che suona live l'intera colonna sonora della mia vita. Dai, sarebbe una figata. Per quanto, conoscendomi, anche nel caso in cui riuscissi a racimolare abbastanza denaro da permettermelo, sono certa che quel giorno verrà giù un nubifragio.

E, con la sabbia negli occhi, crederò di vedere altre stelle cadenti. Per poi sprecare desideri con altre richieste inutili. Vabbè. Col vestito da sposa addosso, mi sarà tutto concesso. Magari anche tuffarmi ubriaca in mare.

Che poi non è neanche solo colpa di OC, se mi si affolla la mente di sogni da miliardari. Naa. Il fatto è che, al di là del mojito party a casa di una delle mie più grandi amiche, io ho anche passato dei giorni a Riva del Garda, con il ramo materno della mia famiglia. E sono stati giorni in cui le nuove tecnologie mi hanno fatta sentire riverita e coccolata, proprio come un'autentica Vip. Del tipo che sul treno Frecciabianca non funziona l'aria condizionata. Mi lamento su twitter. E, due secondi dopo, il capotreno mi fa spostare in un'altra carrozza scusandosi per il disagio. Non faccio neanche in tempo a chiedermi se abbia letto il mio messaggio seguito da apposito hashtag, che noto la menzione de @Le_frecce . “Chiedi aiuto al capotreno, é lì per rendere il tuo viaggio più piacevole”. O del tipo, anche, che scrivo all'ente turismo del Garda Trentino per informarli della mia presenza in loco,e loro mi twittano il programma completo con le cose da fare in serata. Mi chiedono pure com'è andata e come mi trovo ad ogni singola cosa che scrivo in merito. Impressionante, davvero. Inizio a credere che quello del Community Manager sia un mestiere ancor più sottopagato di quanto pensassi. Perchè, se fatto bene, può aiutare a far sentire la gente apprezzata e speciale. Peccato che molte aziende non l'abbiano ancora del tutto capito.


Detto questo, tra fontane colorate, luci al laser e maree umane a godersi una notte bianca, sono anche riuscita a comprare un paio di shorts.
 Il premio per la miglior battuta del viaggio, invece, va a mio zio.

“Ho un po' di mal di stomaco...”
“Se vuoi ho del limoncello.”
“?!?”
“...beh, c'ha dentro del limone.”

Non ha neanche tutti i torti, a dire il vero.



mercoledì 8 agosto 2012

Liste pre-viaggio in pessima grafia.


La vigilia di un viaggio comporta tutt'una serie di piccoli rituali. E non importa quanto sia lontana o vicina la meta: saranno tutti comunque appuntati sulla pagina bianca della mia orrida agenda aperta sulla scrivania. Ah, le mie famose liste! Le caratterizza, per lo più, una grafia da far invidia a un medico. Una che spesso non decifro manco io. “Chi non capisce la propria scrittura é un asino di natura”, sentivo dire tra i banchi delle elementari. Il che mi provoca anche un certo fastidio. Non che la destinataria dell'affermazione fossi mai stata io, intendiamoci. D'altronde, all'epoca mica mi svegliavo nel cuore della notte per scrivere “Stampa orari corriere” seguito da cinque punti esclamativi. Come se poi non li avessi giá imparati a memoria, quegli orari. Né tantomeno posticipavo di mezzo secondo il caffè del mattino per aggiungerci sotto “salvaslip”. Seguito da un punto di domanda perchè non ricordo mai quando accidenti dovrebbe venirmi il ciclo. Vabbé. Le mie famose liste, non si sa perchè, sono anche spesso seguite dal disegno stilizzato di una casa, una nuvola, un albero e un fiore. In quest'ordine. A volte faccio pure dei riquadri geometrici, ma solo se mi sembra di aver scordato qualcosa.

Comunque, dicevo dei rituali. Quelli di oggi, nello specifico, consistevano in:

1. Ripassare lo smalto di Kiko sulle unghie dei piedi. Il colore è rosso fuoco, ovviamente, ché si prevede un mojito party a bordo piscina. Quindi, semmai ci scappasse un bagno, è giusto che lo smalto sia coordinato al bikini. Voglio dire: se leggo un libro intitolato “cosa indossare con un cuore spezzato”, ci sarà un perchè. Non per il cuore spezzato, intendo. Più per l'indossare. E per la copertina fashion che ritrae una ragazza ben vestita piena di sacchetti colorati. Beh, insomma, ci siamo capiti.



2. Rovistare per due ore nell'armadio fino a tirar fuori un estratto di guardaroba coordinato allo smalto di Kiko, al bikini, e ai sandali col fiore rosso che ci stanno proprio da Dio. Mi concedo una punta di nero solo per il top traforato che lascia la schiena scoperta e che - giuro!- non ricordavo assolutamente di avere.

3. Constatare l'assoluta ed impellente esigenza di un paio di short. Magari non di jeans, ché sudo solo all'idea.

4. Mettere sú una vecchia compilation di musica latina di fine anni novanta, per rendere più amene le sfilate improvvisate con cui do il benestare ai miei abbinamenti modaioli. 'Na roba trash persino per me, che mi porta dopo cinque minuti scarsi a ballare per casa sulle note di Geri Halliwell. Con la gatta boccheggiante per il caldo a guardarmi come se fossi ormai del tutto impazzita. D'altra parte, capitemi: “mi chico latino” è sempre stato un inno, per me. Una vera e propria filosofia di vita.





5. Depilarmi – di nuovo!!- anche se i pochi peli in fase di ricrescita sarebbero visibili soltanto al microscopio. E' che ho sempre avuto questa bizzarra convinzione che la gente, in treno, passi tutto il tempo utile ad analizzare la depilazione dei miei polpacci. E tendo anche a pensare che, ovunque io vada, non ci sarà mai nessun supermercato aperto in cui trovare rasoi per i ritocchi dell'ultimo minuto. Manco fossimo nel terzo mondo. E poi non si sa mai: metti che incontri l'uomo della mia vita? Metti che si innamori perdutamente di me e io non abbia le gambe perfettamente lisce? Cioè, son problemi.

6. Confermare, dopo aver cambiato cd, che “I love you” di Cremonini è a tutti gli effetti la canzone della mia estate.



Comunque: il punto è che ora è tutto pronto. Domani me ne vado sul lago di Garda. E, visto che mi hanno giá proposto di cenare canederli col gulash (ad agosto!), non carantisco di tornare viva. O magra.


See you. 

sabato 4 agosto 2012

Cantanti spagnoli in Italia...di passaggio.


Ma mi chiedevo: dove son finiti tutti quei cantanti Made in Spain che importavamo d'estate? Gente tipo David Bisbal, Miguel Angel Muñoz, l'un po' piú fortunata Bebe...Volendo pure le Las ketchup, toh. Tutti condannati discografici al riempipalco da festivalbar. Destinati, loro malgrado, a spezzare il cuore di quei pochi o tanti fans nostrani che in quei tre minuti erano forse anche riusciti a conquistare. Dico davvero: é triste. Perché poi quella gente, in Patria, ha fatto altri dischi. E' andata avanti con la sua traiettoria professionale. Ha continuato il suo percorso. Ma noi, niente. Ce ne siamo fregati. Come se vendere molto in un paio di mesi valesse molto piú che valutare prospettive ad ampio raggio. Come se chi canta in spagnolo sia automaticamente destinato all'abbandono con l'arrivo del freddo. Forse pensano che non lo reggano bene, boh.








Che poi, per caritá: se penso ai casi che ho citato, i miei gusti personali porterebbero a dirvi, quasi sempre, “meno male”. Anche se ammetto che vedere Bisbal scalmanarsi nella cornice di Piazza Unitá a Trieste mi aveva a suo tempo gasata non poco. Forse anche perché ero l'unica a conoscerne i brani: dai, si sa che questo genera deliri di potere.




E peró c'era anche Rosana. C'era Rosario Flores, ospite da Fiorello e poi tornata nell'italico oblio. C'erano la Oreja de Van Gogh, che avevano calcolato male i tempi approdando sul mercato italico proprio mentre Amaia gli stava dicendo addio. Ma avevano tradotto tre canzoni nella lingua di Dante: c'era voluto del lavoro. E vedere pile e pile del loro cd “guapa” a prender polvere negli scaffali della defunta Ricordi di Parma, beh...giuro che mi spezzava il cuore.







Il fatto é che é innegabile che la macchina sia in moto. Lo dimostra anche la mia eterna ansia da delusione. Sí, insomma, a Settembre sará in vendita "Papitwo", il disco di duetti di Miguel Bosé. Nella tracklist, Dani Martín. A Ottobre, "Viva Duets", quello di Tony Bennett. Nella Tracklist, Dani Martín. Fa ben pensare che su twitter mi abbia detto il vero. Che VERAMENTE il suo prossimo album sará in vendita anche qui. Ma allora, cavolo, io voglio essere certa che non venga abbandonato. Me lo dovete promettere, amici di Sony Italia. Capito? No, perché un altro passaggio effimero – specie se SUO – io non credo che lo potrei digerire.

Detto questo, voi ricordate altri spagnoli (spagnoli, attenzione, non latino-americani! ) fugacemente apparsi sulla nostra scena musicale per poi risparire all'improvviso? Se sí, quali? Rinfrescatemi la memoria nei commenti, orsú. Ché son curiosa.  

venerdì 3 agosto 2012

Basta una risata!


Tendi a sottovalutarlo, il potere di una risata. Almeno fino a che non interrompe la lettura di un foglio A4 stampato. Sospiro di sollievo: è la reazione che cercavo. Oggi, al mio silenzio, metto fine così. Poi d'accordo, è “soltanto” mia madre. Sì, insomma, la definizione stessa basterebbe a non renderla obiettiva. Eppure non c'è niente di più triste dello humor non riuscito. Non c'è paura più grande di un volto impassibile, quando ciò che hai scritto – questo posso anche svelarlo – ha come unica missione quella di far divertire.



Ho finito il mio libro, questo è. Ebbene sì, di già. Ho messo il punto conclusivo a una full immersion che forse ho solo finto potesse cambiarmi la vita. O che magari, invece, lo farà davvero. Chi lo sa. Sapete cosa? Chi se ne importa! Quel che conta è che ho riscoperto il piacere di scrivere. Di farlo, intendo, dando vita a una storia. Una che abbia un inizio, uno sviluppo, una conclusione. Una che mi permetta di innamorarmi dei miei personaggi, al punto da trovare crudele il distacco del punto finale. Quel che conta è che sono riuscita, tra virgole ed espedienti narrativi, a evadere un po' dalla realtà. A fuggire da quelle tante notti insonni in cui ogni pensiero è una condanna. Ogni ricordo, un dannatissimo pugnale. Notti di “ e se...?” ove le faccende lasciate in sospeso sembrano il piú tragico dei tuoi errori. Ma se non altro, forse, imparerai a non commetterlo piú. Notti di “perché ci penso?”. Di troppa gente lontana con cui vorresti chiacchierare al tavolo di un bar. Notti in cui ti esprimeresti per canzoni. E le canzoni, vecchie o nuove, sono sempre composte da quei soliti due. 

Sí. Scrivere quel libro, vomitarlo d'un fiato, é stato un modo come un altro per ricordare a me stessa che, se voglio, posso ancora portare a termine qualcosa. Inseguire un obiettivo. Dare una discreta forma alla mia vita, una risposta vera alla domanda “cosa fai?”.

Il caldo, ahimé. E' solo questo il problema. I dannati anticicloni dai nomi improbabili che fanno della noia l'unico progetto possibile. Intendiamoci, io adoro abbronzarmi. Amo farmi cullare dalle onde distesa sulla prua di una barca a vela. Lasciare che la musica sparata nelle orecchie accompagni i film proiettati nel cervello. Finchè tutto sparisce. Finchè il relax diventa sonno, e il rumore dei gabbiani una risata – un'altra!- in grado di farmi compagnia. Adoro il mare, anche. La salsedine che si attacca alla pelle, il vento che m'aggroviglia i riccioli in nodi di bellezza selvaggia. La pelle che si fa via via più scura.


Solo che ho troppe idee. Ne ho di continuo. Ho progetti che vorrebbero ridisegnarmi un futuro, opzioni regalo che strapperebbero sorrisi, necessità organizzative di un viaggio imminente. Eppure... accidenti, non bastano i ventilatori. Soltanto oggi ci ho messo due ore di orologio a cercare un posto fresco in cui scrivere questo post. Due ore, capite? E ho pure il mal di schiena. Per dire. Ora sono qui, con qualche rara raffica di vento a darmi sollievo mentre picchetto sui tasti. Ma il sudore continua a privarmi di tregue. Le tempie mi pulsano un mal di testa che non vuole sapere di andarsene. L'urgenza di una doccia, le zanzare che mi pungono: tutto ha la meglio anche sulla mia ispirazione.

Perché allora, nonostante tutto, amo ancora l'estate? Come ho fatto, me lo spiegate, ad attenderla con tanta impazienza? Non l'avrei mai detto, ma ogni tanto me lo chiedo. Sará per i mojito, o per i vestiti leggeri, boh. Forse é che di solito “estate” voleva dire “tour”. Dannazione. Almeno Cremonini, almeno lui, non poteva iniziare i live prima?

Manteniamo la calma. 

Io dovrei – vorrei! - cercare lavoro in un campo che ancora non ho sondato bene. Ho pensato alla filosofia spicciola, alle citazioni sagge in centoquaranta caratteri che affollano twitter. Avete presente? Robe tipo “Il segreto é capire cosa ti rende felice e cercare di vivere di questo”. Ecco. Ci sono due cose che mi rendono felice, a questo mondo. Una è scrivere, e su questo sono a buon punto. L'altra è viaggiare. Poi ci sarebbe anche la musica, certo, ma per il momento lasciamola stare.

Quindi, in ogni caso, considerando il ricavo infimo di un autore emergente dalle vendite dei libri, lavorare per una rivista di turismo mi sembrerebbe la miglior opzione. Solo che ho bisogno di tempo. Di google. Di contatti. Ho bisogno di ore intere davanti a un computer che con questo clima incarna una condanna infernale. E, se è per quello, a proposito di viaggi, dovrei anche decidermi a fare il check in online per Parigi. A studiare i trasporti dall'aeroporto di Salonicco all'hotel, e poi da Salonicco a Nikiti. Insomma, se non piove non ce la posso fare. E non piove. E se piove ho troppo sonno per farlo. Perché non dormo la notte, é chiaro. Oh, al diavolo!!



Confermo: la noia è il mio miglior progetto. Ma dacché l'universitá é un ricordo ho la sensazione di non potermela permettere. Neanche ad Agosto. Neanche con 35 gradi. Ed è per questo che vorrei urlare.

Ma poi mia madre legge il mio romanzo. E, alla prima pagina, giá ride a crepapelle.

Sembra assurdo, eppure mi basta questo per stringere i denti e sopportare. Basta una risata, sí, una sola risata a farmi sentire, nonostante tutto, ancora piuttosto soddisfatta di me.

Ho giá fatto una lista di possibili editori. Il prossimo passo é incrociare le dita.