lunedì 17 settembre 2012

L'arena e i cuori (un altro post imprevisto su quei due)


“Si vede che è spagnolo: è un po' fuori”. Poi, l'affrettata postilla. “...Rispetto a tutti gli altri”. E io m'immagino guance arrossate.

Intendiamoci: non avevo nessuna intenzione di dedicare un post – un altro! - alla struggente accoppiata Jarabe de Palo- Modà. Insomma, lungi da me includere un tizio con tre kappa tra i fili conduttori del blog. Specie perchè “come un pittore” sta iniziando ad andar forte anche nella Penisola Iberica. Il che – per quanto il brano mi piaccia - provoca ai miei neuroni quell'affaticamento mentale da tormentone estivo che sicuramente conoscete bene. Solo che, in questo caso, si moltiplica per due. Non era in programma, ecco. Ma il problema, con gli italo-spagnolismi, è che non sempre li puoi prevedere. Quando arrivano arrivano, come la Pasqua nella pubblicità della Colomba. E allora quella frase di Paoletta, ascoltata a reti radiofoniche congiunte, non mi lascia via di scampo alcuna. Se poi ci si aggiunge che il tizio con tre kappa ammette tutto allegro di parlare “itañol” (beh, lui veramente dice “itagnolo”), direi che sono proprio fregata.

E quindi un po' ve ne parlo, del concerto di ieri. Data unica in Italia, Arena di Verona Sold Out dopo soltanto cinque giorni di prevendita. In effetti, giá solo per questo merita menzione.

Vi parlo dell'overdose di cuori sbarluccicanti, talmente kitsh che ti chiedi come diavolo ti puó venire in mente di comprarli. Dell'ovazione coreografica di una scritta organizzata in fogli plasticati rossobianchi. Della bellezza semplice racchiusa nel concetto di “scrivere le nuvole”. E della musica, soprattutto. Sempre e ancora di lei. Del potere magico piú antico ed efficace del mondo, in grado di illuminarti gli occhi e, per due orette almeno, trascinarti via. In un mondo diverso, lontano, in cui i problemi non esistono e tutti quanti i sogni si possono realizzare. La musica. Ah, la musica. Non importa il genere, la voce, lo strumento. Importa solo la sua essenza. Importa di per sé.




Un concerto al giorno: io questo vorrei. Poi non fa niente se é solo in tivú.

Portano fiori rossi tra i capelli, le ragazze del fanclub dei Modá. L'angoscia della fine del tour traspare dai loro volti, assieme ai ricordi di cui avranno arricchito la vita. Non importa chi ci lega: alla fine, siamo tutte uguali. Tutte con i nostri striscioni, con le nostre invidie, con i nostri picchi di felicitá massima alternati a pesanti depressioni. Anche per questo m'é mancata, Malinconico a metá.




L'altra, di metá, é il primo piano di Pau Dones. Scatta foto con l'Ipad, come un fan qualsiasi. Con la sua giacca di camoscio e la pelle scottata da sole e riflettori. Ve ne parlo, e d'altra parte é normale. O, almeno, lo é per me.

Sí. E' normale che, dopo tanti viaggi, la vita d'ogni giorno finisca col sembrarti un po' meno degna di nota. Poco meritevole, in sostanza, di inchiostro e di clic. Ti chiedi: di cos'altro potrei parlare? E' davvero interessante il cestino di frico ripieno di polenta e funghi che mi sono sbafata l'altro giorno a Friuli Doc? Dovrei raccontarvi, forse, di quei meravigliosi orecchini fatti a forma di biscotti pan di stelle che m'hanno conquistata da una bancarella d'artigianato locale? O magari del bracciale composto di cuori laccati, per nulla sbarluccicanti e molto, molto meno kitsh?

Naa. Io non credo possa risultare, poi, cosí affascinante sapere che ho passato la Domenica in cerca di mercatini a Grado. Salvo poi constatare, una volta rientrata, che erano nell'unico posto in cui ho dimenticato di andare a passeggiare.

E' che, piú che altro, mando in giro curricula e aggredisco libri. Io, piú che altro, sogno. E cerco ancora voli per Madrid.

Che altro c'é da dire, allora? Non é forse meglio un video dei Modá?

L'intervento di Pau Dones degli Jarabe de Palo inizia dal minuto 00.48.00 circa. 

Ps: ha anche detto, Paoletta, che l'accento spagnolo é meraviglioso. E lí s'é guadagnata tutta la mia stima. 

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