sabato 22 dicembre 2012

La prima presentazione non si scorda mai. Forse.


Cinque stelline su Anobii. Svariati commenti entusiasti. E un Cardo battezzato Riccardo, in pieno stile Kinder Sopresa. Non chiedete. A conti fatti, io il bilancio lo riassumerei così.

Anche perchè, se proprio devo essere sincera, i frammenti di ricordi adesso non li so ordinare. Sono flash confusi. Immagini orfane di montaggio. Sovrapposizioni spazio-temporali di emozioni forti. Soprattutto, s'è parlato troppo bene del mio blog per non avere neanche un po' d'ansia da prestazione.

E' che Giovedì è stata una sbornia colossale, ecco la verità. E certo è strano a dirsi, visto che il Prosecco è rimasto una mia illusione. I vuoti di memoria, tuttavia, io me li so spiegare soltanto così.

Ché per quanto mi sforzi non ci riesco, a tirare le fila del mio stesso intervento. Cioè, so di aver menzionato l'evoluzione del personaggio di Penelope. Di aver pensato a Cinzia parlando del Fanclub di Ulisse. Credo anche di aver accennato all'importanza del suono. Perchè la musica, per me, c'è sempre e ovunque: figurati se manca dentro alle parole. Ricordo pure di essermi sorpresa per la risata corale su quell' “Omero, scusa” che apre il libro. Di aver concluso che è proprio una risata il migliore dei regali. Però dopo. Per il resto. Boh.




Sono polaroid ancora in fase di sviluppo, come quelle di una notte brava. Di Grace con in testa un cappello non suo all'ingresso del Liceo di Malaga. Avevo già trangugiato troppi chupitos al bar di fronte. Eppure non ho idea del perchè mi torni in mente proprio ora.

Una sbornia, indiscutibile. Sì, sì. A dire il vero, anche i postumi me li sto ancora trascinando dietro. Quelli di Giovedì, intendo. Non quelli dell'erasmus. Cioè, un po' anche loro. Ma insomma...il fatto è che ti ingannano. Ti ingannano sempre. Dicono che la prima volta non si scorda mai, più o meno in tutti i campi. Ma la prima presentazione del mio primo libro non è che un vortice colorato di puntini di sospensione. Avrei avuto bisogno del video, accidenti. Sarebbe stato necessario. Possibile che l'auto di chi se ne sarebbe dovuto occupare non potesse scegliere un'altra giornata per andare in panne? Più che altro, per quale astruso motivo tutte le auto e tutti gli elettrodomestici si rompono sempre prima di Natale? C'entreranno i Maya pure lì? E perchè, se le foto le fanno degli uomini, non si riesce ad avere una visuale intera del mio bel vestito nuovo? Capirete, son domande che una si pone.

Comunque. Una scoperta l'ho fatta, Giovedì. Ed è che se sono emozionata mi trema leggermente l'interno della guancia sinistra. Giuro che non me ne ero mai accorta, prima. Anzi, magari non avrei dovuto scriverlo. Ché adesso starete tutti lì a dirmi “ah-ah, ti sei emozionata!” quando invece avrò freddo o un principio di Parkinson. E vallo tu a spiegare. Ma vabbé.

Ad ogni modo emozionata non lo ero poi molto. Non quanto mi sarei aspettata, almeno. Mi sembrava tutto naturale. Tutto in famiglia. Complici, forse, anche le facce note. Facce che non rivedevo da un po'. L'amica d'infanzia. La cugina. Il compagno di classe delle medie, anche lui secchione quanto a temi in italiano. E poi la mia accompagnatrice ufficiale ai concerti in Italia,c'era pure lei. L'unica ad essersi accorta del mio bracciale-groupie, ormai eletto a portafortuna ufficiale. In fondo è nei ringraziamenti, il tipo “coi trattini in basso a incorniciargli il nick” . Anche se presumibilmente non lo saprà mai.

Ricordo che mi scappavano sorrisi, ogni volta che la porta si apriva sui loro volti. E poi ricordo che, come sempre, nel casino dei miei cassetti era improbabile trovare un paio di collant. Ricordo che si poteva avvertire - sarebbe bastato solo un po' più di silenzio – il rumore d'ingranaggi provenirmi dal cervello. Le copie di “#Odissea” sparivano dal banco. Una dopo l'altra. Tra banconote per cui calcolare il resto e dediche scritte via via sempre peggio. Di sicuro, in modo sempre meno originale.

Ricordo che in qualche momento, mentre ci pensavo, sono riuscita anche a rovinarmi lo smalto. Quello che stavo asciugando in movenze pseudo- flamenche mentre Riccardo Il Cardo faceva il suo ingresso trionfale. Ho visto la scia viola barra bordeaux trasformarsi in grazioso ghirigoro sul nylon strappato di un'altra confezione. Poi ho scoperto che è difficile, camminare sui sampietrini col tacco alto e uno scatolone in mano. Che puoi rischiare di addormentarti sopra a un gustoso risotto, se c'hai il calo di tensione. Che la torta sacher, con la glassa morbida, è più buona. E la "mia" era pure bella, ammettiamolo. Stupenda, con la doppia dedica a tema.





Ricordo l'allestimento, ancora. Lo striscione vagamente megalomane da portarsi in tour per ogni prossima occasione. La sorpresa di trovarci il mio nome scritto in grande. La meraviglia. La novità. Il ciondolo a forma di quadrifoglio che già si appresta a brillarmi addosso.



Ma soprattutto ricordo – e questo credo che non lo scorderò mai – il braccio alzato di una donna sconosciuta.

“Mi hai talmente incuriosita”, ha detto, “che ho lasciato a casa due figli e un marito per venire qui ad ascoltarti”. Ha aggiunto che nel mondo c'è bisogno di ironia. Che l'ironia può derivare solo dall'intelligenza. E che, proprio per questo, m'augura ogni bene.

Stavo ancora soppesando nella testa le sue parole, quando un altro sconosciuto, uno col nick “Ulisse da Troia” ha postato su twitter la foto del mio libro.


“Sto morendo dal ridere, ti giuro”, mi ha poi detto, al di là di inevitabili battute.

E, nella concatenazione di episodi, in una vanità che spero non si protragga troppo, ho tirato un sospiro di sollievo. Voglio dire: finalmente ho dei riscontri. E, incredibile a dirsi, sono tutti positivi. 

Quindi adesso sì, che posso concentrarmi sui video di Natale.



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