lunedì 30 aprile 2012

Ilaria o Revienta (flusso di coscienza tachicardico)


Tachicardica come ogni Lunedì. Sul serio, non lo so cosa mi prenda. E' come se all'inizio della settimana avvertissi l'esigenza di mostrare al mondo quanto io sia rapida ed efficiente. Soprattutto se, fuori, ci sono le nubi. Così, non ho nulla di interessante da scrivere. E però scrivo lo stesso. Scrivo male. Scrivo muovendo le dita sulla tastiera a velocità supersonica. Forse seguendo il ritmo dei miei battiti nevrastenici, subconscio incasinato di fretta e di idee. Corro qua e là per la casa, chiacchiero veloce per non perder tempo.  E' due giorni che sento "wonderwall" alla radio o in stereo altrui, ovunque io passi, tanto che mi chiedo se non sia un qualche bizzarro segno del destino. Ma chi é che mi puó salvare?



Lunedí. Rispondo male a tutti, mi incazzo con la gente a sua insaputa e la perdono - altrettanto a sua insaputa-  cinque secondi después.  Espiro. Inspiro. Espiro. E mi verrebbe da urlare in eccessi di decibel, ché a livello pratico, in realtá, sono disoccupata. Ché di lavoretti, sì, ne faccio un sacco. Però nessuno mi paga, e poi domani è il primo Maggio. Quindi, dai, questa fretta cos'é? Lunedì. Una sfilza di percussioni tra atri e ventricoli, le lacrime che scendono e poi salgono e poi, invece, ho solo voglia di ballare. E rido. Di gusto. Di quelle risate che, se stai bevendo, sputacchi acqua frizzante tutt'attorno. Poi non rido piú, tutto di colpo. Poi, chissà. Un ricordo inopportuno che attraversa la testa, una smorfia. Un'altra idea creativa. Ma non riesco a capire se ho voglia oppure no di uscire anche stasera. L'allergia a questi dannati pollini mi gonfia gola ed occhi come elio in un palloncino, mentre Aprile finisce. A sua insaputa, pure lui. Di cosa dovrei parlare, allora? Del programma di Bonolis che arriva su Antena 3? Dei decaloghi per il corretto utilizzo di twitter? O, forse, ancora dei fatti miei? Peró di quelli, in fondo, che vi posso dire? La bandiera della Spagna mi esalta sempre e comunque; ma un bicchiere di sangria a un festival etnico basta ormai da solo a mettermi KO. 

Sí, insomma: sto invecchiando. 

E che arrivi il Martedì, per carità. Dico davvero!

In tutto questo, scrivere del Festival del Cinema di Málaga m'ha messo voglia di guardare un film. Anzi, ecco di cosa vi posso parlare!  Carmina o Revienta, s'intitola. E' il debutto di Paco León (avete presente? Il Luisma di Aída!) come regista, nonché di sua madre nelle vesti di attrice. Ne parlano come di un falso documentario. Di una sorta di monologo. Di un lungometraggio che non si riesce a inquadrare in un genere concreto. Di un prodotto, peró, che ha sorpreso ed emozionato un po' tutti. E allora, ecco, sono alquanto curiosa. Anche perché “el flamenco, a mí me hierve las venas”. 


venerdì 27 aprile 2012

Venerdí...Paella. (E Verduzzo del Friuli)


Di paellas, nella mia vita, ne ho assaggiate tante. Ancor più, ne ho fotografate. Ché in fondo l'ho sempre pensato, che il piatto più tipico - ed inflazionato-  di Spagna fosse un capolavoro d'estetica, oltre che di sapore. E poi, si sa, le foto del cibo mi riescono bene. Tra l'altro, a proposito di foto, qui ci starebbe un resoconto per inciso di quella che è diventata una delle mie attività preferite davanti al pc. Del tipo che ho trovato quest'applicazione per Google Chrome. Pixlr-o-matic, si chiama: tanto impronunciabile quanto, invece, facilissima da usare. In pratica ti crea con pochi click effetti grafici alla istagram per iphone. E non vi dico quanti ricordi di viaggio ho trasformato, ieri, in stupende polaroid vintage! Droga, davvero. Droga pura. 

Però non divaghiamo, che parlavo di Paellas. Ne ho assaggiate tante, dicevo. Ancor più, ne ho fotografate. La più buona in assoluto, però, l'ho provata a Málaga. Mastro Chef: il moroso di Grace, nel corso di una visita invernale. I mezzi erano scarsi. Gli ingredienti ingombranti. Ma il tempo d'attesa, Dio...é valso la pena eccome. Solo che, vedete, é proprio qui che mi incazzo. Perché, in quell'occasione, io ero stata attenta ad immagazzinare tutto. Osservavo ogni suo movimento, me l'appuntavo in testa, e confidavo nella mia capacitá di ripeterne la sfilza, uguale uguale ,a casa. Peccato che c'ho una memoria che manco un merluzzo ritardato. E, se non erro, avevo pure bevuto del vino. A proposito: il Verduzzo del Friuli é un'altra new entry dell'ultimo periodo. Cioé, vi pare che io viva qui da una vita e non l'avessi mai assaggiato prima? Sacrilegio, ve lo dico io. Comunque, dicevo: di quella ricetta ho i ricordi frammentati. Tuttavia, cercheró di riassemblarli alla bell'e meglio, aiutando il rattoppo con un collage veloce di letture online. Ovvio, non sará lo stesso. Ma la trascuro da troppo, questa mia rubrica del Venerdí. E se ti avventuri in una sezione dedicata alla cucina spagnola, beh, va da sé che la Paella non la puoi saltare! Quindi buona lettura, buon appetito, e ...mi raccomando, scattatele una foto, alla fine. 



PAELLA MISTA- INGREDIENTI PER 10 PERSONE

1kg di riso 
½ pollo
500 gr. di chorizo (o salsiccia) 
½ kg di calamari
½ kg di gamberoni
½ kg di cicale di mare
1 kg di vongole
1 kg di cozze
½ kg di piselli
1 cipolla piccola
1 peperone verde ed uno rosso
2 pomodori maturi
1 bicchiere di vino bianco
brodo vegetale
olio extra vergine d'oliva
zafferano q.b.
sale q.b.
pepe q.b.
prezzemolo tritato 

Tagliate pollo e chorizo a piccoli pezzi e metteteli a rosolare in una padella con abbondante olio d'oliva, sale e pepe. Nel frattempo, fate aprire le cozze e le vongole in due distinte casseruole. Appena pronte, lasciatele raffreddare e filtratene il brodo, che verrá aggiunto in seguito. 

Tritate o tagliuzzate finemente, quindi, la cipolla e il peperone verde. Quando pollo e chorizo saranno pronti, metteteli da parte e, nello stesso olio in cui li avete fatti rosolare, infilate cipolla e peperone. Aggiungetevi quindi i piselli,  i calamari (che precedentemente avrete lavato e tagliato a pezzetti) e due pomodori accuratamente pelati e spezzettati. Versateci anche il bicchiere di vino e mescolate . A parte, mettete ad abbrustolire il peperone rosso, privandolo della pelle e tagliandolo a listarelle: servirá per la guarnizione finale perció, al momento, tenetelo da parte. 

Quando tutto sará cotto, aggiungete metá gamberoni privati delle teste, metá delle cozze sgusciate e tutte le vongole con mezzo guscio e il loro brodo di cottura. Aggiungete quindi il pollo e il chorizo che avevate tenuto da parte, mescolate e aggiungete prima lo zafferano e, infine, il riso con il brodo precedentemente preparato. Non smettete mai di mescolare, in modo che non si attacchi. 

A questo punto potete aggiungere i rimanenti gamberoni e cozze con mezzo guscio, nonché le cicale di mare, che vi serviranno a loro volta come guarnizione. Continuate la cottura aggiungendo ulteriore brodo ove necessario, e sempre rigirando bene il tutto. Appena il riso é cotto collocatevi sopra le listarelle di peperone rosso e cospargete di abbondante prezzemolo. La vostra paella sará pronta per essere servita! 


Curiositá: la paella, in Spagna, é spesso l'emblema dei lunghi pranzi  della Domenica, attorno a cui tutta la famiglia si riunisce. Essendo un piatto che richiede di lunghi tempi di preparazione, infatti, si adatta decisamente meglio ai momenti di relax che alle brevi pause pranzo lavorative. 

martedì 24 aprile 2012

Antonio Banderas, il Mulino Bianco, e una gallina.

Passare da Zorro alla voce del Gatto con gli stivali, in fondo, ci può anche stare. Passare da Almodovar alla pubblicitá del Mulino Bianco, peró, mi sembra un po' troppo. Ché finché si trattava de “el nuestro amor, no smaglia nunca”, i suoi connotati di sensualitá li conservava pure. Ma a vedere il mio Tony imboscarsi aerei giocattolo per poi parlare con una Gallina ...ecco, non so a voi, ma a me piange un po' il cuore. Tra l'altro, le mamme di quei bimbi lí non gliel'hanno  mai detto, che non si parla con gli sconosciuti? Mah.

lunedì 23 aprile 2012

Il Lunedí piú Lunedí di tutti.


Lo so, vi sto trascurando. A mia discolpa, ho un complesso heavy metal che mi suona nella testa. E il rossetto di Kiko – altro che waterproof! - non mi si scolla dalle labbra nemmeno dopo un pasto, un lavaggio di denti , e un vero e proprio bagno ristoratore. Sul serio, secondo me é tatuato. Il che,  visto il costo dei cosiddetti “trucchi permanenti”, dovrebbe a ben vedere essere un pregio. Solo che...ecco: a me vedere 'sta macchia rosso sangue dietro un velo di vapore fa una certa impressione. Sa un po' di film dell'orrore, dai. O di film porno, anche. E non é che siano proprio due categorie che mi gratifichino. 



Comunque. Il fatto é che questo 23 Aprile (Festa di San Jordi, per inciso) é stato il Lunedí piú Lunedí di tutti. Avesse un manuale di istruzioni allegato, si intitolerebbe senz'altro: “come passare dalla disoccupazione alla sovraoccupazione in sole 24 ore”. Sovraoccupazione non pagata, manco a dirlo. Ma appagante, se non altro, un bel po'. 

Uscendo dal loop delle assonanze e delle frasi criptiche : questa mattina (pareti scure, adorni incoraggianti di dischi e trofei, batteria ovattata nel sottofondo di un videoclip in corso) ; questa mattina- dicevo – ho iniziato uno stage nella pre- produzione di eventi live. Che, a dirla proprio tutta, mica avevo un'idea precisa di cosa fosse. Ma era musica, questo bastava. Perció chiamatela rivelazione. Vocazione. O, piú semplicemente, entusiasmo da inizio: il punto é che  ho scoperto che mi piace da morire. Anzi, a dire il vero ho scoperto che seguire un cantante in tour dovrebbe essere considerato esperienza professionale nel settore. Voglio dire,  immaginate la mia sorpresa quando mi é stato chiesto di cercare online voli, trasporti a terra e alberghi per un gruppo di musicisti in giro per l'Italia. In pratica, quello che faccio sempre. Solo che adesso é per altra gente, e ho piú soldi a disposizione. Goduria, orgoglio, soddisfazione. L'unico problema é che , facendo quelle robe lí, scopri dei posti che ti fanno sbavare peggio del cane di Pavlov. Cioé, io é da piú di dieci ore, ormai, che convivo col pensiero fisso di una brioche appena sfornata da addentare su un terrazzo vista mare. Turchino, il mare. Oddioooooooooo. 



Ad ogni modo, in piena fedeltá alla legge di Murphy ( sottocategoria: “o niente, o tutto assieme” ), stavo sbizzarrendomi in ricerche da agenzia viaggi quando mi arriva la mail da un....mmm. Ora che ci penso, non so mica se posso ancora dire cosa. Beh, comunque é un evento italospagnolo importante la cui conseguenza é stata poi, nel pomeriggio, un fitto dialogo via skype. Morale: pare che faró loro da community manager. Responsabilitá mica da poco, che mi ha vista tutto il santo pomeriggio impegnata in piani complicatissimi di strategie promozionali. 

In tutto questo, poi, avrei voluto aggiornare il blog. In modo piú poetico e piú stylish, voglio dire. Ché mi sa che questo post é parecchio sgrammaticato. Peró é spuntato il complesso metal. E...oh, ragazzi, non ce la faccio proprio. Perdón. 

giovedì 19 aprile 2012

Sei canzoni, o sette. (e un delirio musicale)


Tanto per rendervi partecipi del mio stato mentale: questa mattina, sotto la doccia, ho messo a punto la versione parodica di un noto brano di Dani Martín. Parlo di 16 añitos, sulle cui note – mossa da certa fame – mi sono sorpresa ad inventare quanto segue.

[Rullo di tamburi. Crescendo di suspance. Voce che si schiarisce in un “ehm, ehm” ]

“Seis rollitos primavera-aaa, que tengo un poca de hambre-eee, y me he dejado en la nevera-aaa, dos lonchitaaass de fiambreee”.

La traduzione, per i non hispano-hablanti (tra parentesi: in mezzo a scuole di pensiero opposte, non ho ancora mai capito se “ispanohablanti” si scriva con l'acca iniziale oppure no), sarebbe grossomodo cosí : “sei involtini primavera, che ho una certa fame, e ho dimenticato in frigo due fette di affettato” . Per dire. Peró, dai, dovete ammettere che in metrica ci sta da Dio! Ora, a preoccuparmi, é piú che altro l'eventuale -seppur poco probabile- apparizione di un accesso da Madrid nelle statistiche di ShinyStat . Elena, Precaria e compagnia bella...se mai la causa foste voi, un commento tranquillizzatore é benvenuto. Grazie. Ad ogni modo, tutto viene desde el cariño y el respeto, si sa. In fondo sto solo aspirando a costruirmi una carriera alternativa da umorista. Il che, visto l'andazzo, non sarebbe mica una cattiva idea.

Comunque.

Ho pensato che siffatto delirio potrebbe essere dovuto, in realtá, anche al sovraccarico di brani musicali nel mio cervello. Perció ho pensato di scaricarmi proponendovi quelli che piú di frequente sto ascoltando negli ultimi giorni. Cosí, tanto per vedere se fanno lo stesso effetto anche a voi. Li divideró in “categorie”. E, giá che ci sono, ruberó con certa sfacciataggine pure una bella idea di Tardesderecreo, estrapolando da ognuno una sola, emblematica, frase. Che sono originale, io. Sí, sí.

1. Una canzone da cantare a squarciagola usando alternativamente mocio, spazzola o spazzolino come microfono.



"Tonight we are young, so let's set the world on fire!"

(* "Questa notte siamo giovani, quindi incendiamo il mondo!")


2. Una canzone che ho scoperto da poco. E ora non riesco piú a staccare il mouse dal tasto “play” di youtube. Loop. Loop costante di pura energia.




"Mi seguro no cubre tanto desperfecto: hablas con balas, disparas palabras. Cada frase es una ráfaga que pega calambres y cada respuesta que te doy un chorrito de sangre . Me diste punto , punto seguido, punto, punto suspensivo, punto a parte como es natural, ya  mientras tanto punto final ."

(* La mia assicurazione non copre cosí tanti danni: parli con pallottole, spari parole. Ogni frase é una raffica che dá gli spasmi, e ogni risposta che ti do é uno schizzo di sangue. Mi hai dato punto, punto e sulla stessa linea, punto, punto sospensivo, punto a capo com'é naturale e nel frattempo punto finale. )


3. Una canzone che é tutta un “italospagnolismo”. Ché piú italiana non potrebbe essere, ma é stata rivisitata da un gruppo di Santander. In rigorosissimo castigliano. 


"Y gira todo en torno a la estancia, mientras se danza, danza..." 


4. Una canzone che mi motiva durante il riscaldamento previo alle lezioni di flamenco.


"Si el viento del norte me quema los labios recordaré la fuente de donde bebían tu boca y la mía [...] no me llores, amor mío, que yo volveré como la Luna a Marrakesh. "

(* "Se il vento del nord mi brucia le labbra ricorderó la fonte da cui bevevano la tua bocca e la mia [...] non piangere, amore mio, che io torneró come la Luna a Marrakesh" )




5. Una canzone rivalutata alla luce di nuove interpretazioni. Ché io l'avevo sempre vista come un brano d'amore qualsiasi, neanche dei piú innovativi. Ma poi ho visto il dvd “En la playa”. E lí, tra cornici da sogno e regia impeccabile, David Summer diceva di averla scritta per i suoi figli. Ecco, m'é cambiato tutto. Proprio tutto, davvero.


"Y Yo que siempre presumí de que nadie me iba a atar y que siempre me quise a mi, sobre todo lo demás...de pronto te vi, y tú me miraste a mí. Cambiaste mi vida justo ahí, sólo porque te vi. " 

 (* E io che mi sono sempre vantato del fatto che nessuno mi avrebbe legato, e di aver sempre amato me stesso al di sopra di ogni altra cosa...all'improvviso ti ho visto, e tu mi hai guardato. Hai cambiato la mia vita proprio lí, solo perché ti ho visto). 


6. Una canzone nuova, che anticipa il prossimo acquisto in una fnac murciana. Il suo intrinseco messaggio positivo mi spingerebbe quasi a definirla anti-crisi.


"Si la cabeza no para de girar, si sientes que la fuerza se te va, y siempre tienes ganas de escapar, anímate a crecer en la vida, en esta vida que te ha tocado. Reinvéntate y siente la alegría de los que están a tu lado. Levántate sin echar cuenta de las veces que has tropezado" 

( *  Se la testa non smette di girare, se senti che la forza ti abbandona, e hai sempre voglia di scappare, fatti coraggio per crescere nella vita, in questa vita che ti é toccata. Reinventati e senti la gioia di chi ti sta accanto. Alzati senza stare a contare le volte in cui sei inciampato). 

E, in tutto questo, sono poi riuscita ad ascoltare anche Il Comico. Amore al primo ascolto, assoluto. Lo trovate al minuto trentuno di questo link.

"Non so dirti una parola, non ho niente di speciale, ma se ridi poi vuol dire che una cosa la so fare".

...Che poi si ricollega alla mia parodia iniziale. E, tra parentesi, siete invitati a continuarla, quella versione. Dico, nel caso in cui, sotto la doccia, aveste fame pure voi.







martedì 17 aprile 2012

Storie di famiglia (Reale).


[Avvertenza: il mio vuol essere un post comico senz'altre pretese. Da parte di un'innamorata della Spagna, sempre. Nel bene e nel male. In salute e in malattia. Amen. Sì, insomma: non sentitevi offesi. Ecco. ]

A me, il Re di Spagna, è sempre stato tendenzialmente simpatico. Dai, sembra un nonnetto bonaccione che ogni tanto esagera con l'alcol. Un tizio innocuo, di quelli che ai pranzi di famiglia non la smettono un secondo di raccontare barzellette (sempre le stesse, da anni) per poi riderne da soli. Quelli che, nonostante l'età, si comportano sempre come eterni ragazzini. Perché io me la vedo, la Sofia, rimproverarlo perchè si mangia una fetta di dolce in più. Che “Lo sai che c'hai il colesterolo alto! E le hai prese, oggi, le pillole?!” . E mentre lui le fa il verso guardando i nipotini di sottecchi lei si lamenta ad alta voce con la nuora . “Bisogna stargli sempre dietro, santa pazienza. Non si rende conto che ormai c'ha un'età! Santa, mi faranno. Santa! Juan Carlooos! Quante volte te l'ho detto di non esagerare col vino?!”. Sul serio, ieri ho persino visto una specie di blob sul canale internazionale di Tve. Il filmato lo ritraeva ad un incontro istituzionale formalissimo. Ad un tratto, si sente squillare un cellulare. Con la suoneria del bebé che ride, avete presente? Quella del nokia. Ecco. Lui si gira,visibilmente imbarazzato, al grido di "es que tengo un teléfono un tanto...perdón” , e lo spegne. Cioè: come si fa a non volergli bene, a un Re con la suoneria del bebé che ride sul cellulare?! [E Sofia intanto: “te l'avevo detto di spegnerlo! Ma che figure mi fai fare?!” ].




E poi, di punto in bianco, lui decide di andarsene in Botswana a cacciare Elefanti. Che, poverino, gli avranno detto che non emanava abbastanza autorità. Così si sarà messo a pensare a cosa fanno gli altri reali d'Europa. Tipo quelli inglesi, tanto precisini e tanto rispettati. Pensa che ti ripensa, bevi che ti ribevi, e gli è venuto in mente: ma certo! La caccia! Ecco cosa! Da anni e anni il sangue blu britannico è legato a battute di caccia alla volpe. Solo che lui ha voluto strafare. La volpe è così piccola, sono capaci tutti a ucciderla. Mariconadas, dev'essersi detto, io devo puntare in alto. Ed è difficile trovare un mammifero più grande di un elefante, bisogna riconoscerlo. Così ha chiamato Rajoy. Gli ha detto: “senti, a Marià, io devo partire per una gitarella, tienimi tu i cani,eh?”. L'altro non c'ha capito un tubo, ché con quella voce bassa mica è facile interpretarlo. Però è pur sempre il Re di Spagna, non gli si può certo rispondere: “eeeeeeeeeeeeh?!?”. Così gli ha sparato un “shhi , shhi”. E tutti contenti.




Il problema è che Juan Carlos, poverino, c'ha la sua età. Così è caduto, s'è mezzo distrutto un'anca, e l'han dovuto ricoverare. Il tutto, tra parentesi, mentre suo nipote tredicenne Froilán – che per il nonno deve avere una venerazione – si sparava accidentalmente a un piede  giocando ai soldatini in 3D. Cioè, dal vivo. Ché poi non c'è da stupirsi se l'Argentina abbia deciso PROPRIO ORA di espropriare il51% di YPF della Repsol, causando una crisi diplomatica non da ridere.  Leggendo i giornali, la presidentessa avrà detto: “mo' anche se questi ci dichiarassero guerra, non è che posson fare molti danni”. E giù con misure forti. Poverini, a me dispiace sul serio.

E comunque, con 'sta storia della caccia, è scoppiato un casino. Ché non si cacciano animali di specie protette. Che il Re non aveva avvisato che partiva. (E Rajoy: “aaah, ecco cosha mi diceva!” ). Che i trentaduemila euro del safari in Botswana (economico, non c'è che dire) sono in realtà soldi degli spagnoli. Che anche se non lo fossero non è conveniente sperperarli in questo modo mentre il Paese fa sforzi sovrumani per uscire dalla crisi. Che il confine tra vita pubblica e privata è labile. Che anche se è in vacanza il Re è sempre il Re. Che...

Insomma, ieri sera ai telegiornali iberici hanno inquadrato Sofia. Era andata a trovare il marito in Ospedale. Per ultima. Al ritorno da un viaggio in Grecia (in Grecia senza il consorte...chiamala scema!). I giornalisti le chiedevano delle condizioni di salute di Juan Carlos e lei, sempre gentile, ringraziava dell'interesse. Però le si leggeva in faccia, quello che pensava. Proprio si coglieva, quel barlume negli occhi. Rabbia. Odio puro. “Ma cristo Santo”- dev'essersi detta - “non lo posso lasciare solo un paio di giorni che mi lascia il Paese in disordine. Non poteva limitarsi alla casa, come tutti gli altri uomini? Santa mi faranno! Santa!




Che poi mi chiedevo: ma Rajoy glieli avrà tenuti, i cani?  

La Teoria dei Colori.

Si chiamerá Il Comico (sai che risate), il nuovo singolo di Cesare Cremonini. E, in effetti, é piuttosto curioso che si sia venuto a sapere proprio mentre io vi scrivevo di Buenafuente. Dico sul serio: non riesco a smettere di pensarci. Soprattutto perché é una settimana che sento quest'assurda ed intensissima esigenza di colori. Ho iniziato con l'armadio. Ci guardavo dentro e scleravo di desiderio: “voglio mettere i miei top verde acido! Voglio mettere le gonne a fiori senza calze”. E piangevo sottovoce il cielo grigio da scenari di The Killing, intristita come lui, canticchiando nella testa un brano de El Pescao. Poi sono passata ai cocktails di frutta. A ricordarne il sapore sulle labbra. Immaginarne l'estetica rossa in kaipiroske alla fragola, zuccherata sui bordi di un buon Margarita , allegra in foglie di menta dentro a un bicchierone di Mojito. Li visualizzavo proprio: coi loro ombrellini decorativi, il ghiaccio, le ciliegine...invitanti da morire. Ho concluso fantasticando sulle maxi-coppe di gelato e macedonia di quella gelateria buonissima a San Vito al Tagliamento. E poi, soltanto poi, ho capito che la mia era in realtá voglia d'Estate.



Peró il fatto resta: l'estate, per me, é colore. L'allegria é colore. La Spagna, i bei ricordi, sono tutti di colori accesi. E poi salta fuori Cremonini, che fa uscire un singolo sull'argomento di cui in quel momento parlo. Che con quel singolo anticipa un disco. Che s'intitola sapete come? La Teoria dei Colori.

Ecco, appunto.



Che io l'ho pure detto, che a me le canzoni parlano. Ho anche detto che, per le strane giravolte del Destino, Dani Martín mi ha portata mio malgrado a riavvicinarmi anche alla sua musica. Peró, accidenti, non é che ora 'sto benedetto Destino deve mettersi a fare anche i salti mortali! Ho capito, buon Dio! Ho capito. L'ascolteró, va bene? 

lunedì 16 aprile 2012

Buenafuente, ti lovviamo!

Buenafuente è tornato in tv. Ve lo dico così, senza preambolo alcuno. In fondo chi segue questo blog dagli inizi avrá giá colto in abbondanza il sapore catartico che l'evento ha per me. Anzi, probabilmente l'avrá fatto anche chi, dall'altra stanza di un appartamento universitario, mi sentiva ridere da sola. Lo schermo del pc. Le cuffie. L' effetto del buonumore che proprio non riuscivo a contenere. Ah, Buenafuente! Compagno di tante serate post- studio. Autore di battute dissacranti, di humor intelligente, di monologhi buoni per ogni occasione. Ha lasciato La Sexta, s'é preso un anno sabbatico. E ieri, finalmente, ha debuttato su Antena 3. Nuovo programma, format simile, identico cast. Per farla breve, la differenza é che adesso va in onda una sola volta alla settimana. Oltretutto, in Prime Time. La differenza, anche, é che Andreu ha rinunciato alla barba: scelta stilistica che, a dirla proprio tutta, non approvo. Vabbé. Compensa il logo, la B con gli occhiali. Semplice, ma d'un efficacia'bestiale. 



Volevo godermelo in diretta, Buenas Noches y Buenafuente (“Buenas Tardes y Buenafuente se ci guardate dalle Canarie”, tanto per citarne una battuta) . Peccato che lo streaming si bloccasse ogni due secondi, giocando a “un due tre stella” con Berto Romero. Morale: ci ho rinunciato appena dopo la sigla. Tra l'altro, il fatto che ventiquattr'ore dopo la trasmissione sarebbe stata integralmente fruibile dal sito ufficiale, mi regalava un'assurda sensazione di vantaggio. Eddai, si sa che il Lunedí lo humor serve molto piú che alla Domenica sera. Certo, ti devi sorbire gli spottini del programma per surfisti ogni quindici minuti esatti, ma... tutto non si puó avere, no?

Cosí ho premuto play, oggi. Con l'occhio critico di polemiche giá lette e l'entusiasmo ancora troppo alle stelle. E l'inizio – lo ammetto - m'é sembrato forzato. Eccessivamente costoso. Inutilmente denso d'effetti speciali. Lo staff di Buenafuente si lanciava in un metaforico sbarco militare sulla spiaggia di Antena3, per poi riciclare in catene di sogni uno tra gli espedienti piú classici della comicitá. Lo giuro: stavo quasi per parlarvi di delusione. Poi, peró, Andreu é uscito sul solito palco arredato alla David Letterman. In mutande e pantofole, col look di uno che s'é appena alzato dal letto. E i suoi monologhi...Dio, mi vien da dirlo in stile Emo di Zelig: io, i suoi monologhi, li lovvo da morire.



Certo, forse questo ha esagerato in autocelebrazione. Peró era la prima puntata, glielo si puó ben concedere. Ed é anche vero, in effetti, che le battute sulle campagne turistiche in tempo di crisi sembravano abbastanza spudoratamente copiate da un vecchio Trending Topic spagnolo. Tuttavia, io al mio Buenafuente voglio dare fiducia. Ché in fondo, ormai, “il comico ha copiato da twitter” é diventato il nuovo “maestra, Giacomo mi fa il verso”. E a me fa anche un po' ridere, ad essere sincera. Perché, in realtá, gli umoristi hanno sempre “copiato” da qualcosa. Le battute che ci fanno sganasciare rielaborano conversazioni sentite per strada, momenti di vita vissuta, mails che ci sono arrivate. L'ispirazione, gente, non é un dono divino che ci cala addosso dal nulla. O forse anche sí, ma va comunque stimolato. Il talento, piuttosto, sta nel cogliere quel che puó far sorridere. Estrapolarlo dal contesto. Rimodellarlo ad esaltarne gli effetti. L'unica differenza é che il punto di partenza, nella nostra era 2.0, rimane evidente al mondo. Archiviato in un social network . Ritwittato troppe volte per sfuggire alle accuse. Ma non é la copia. E' solo il punto di partenza. Quello che un professionista, a differenza di molti di noi, riesce a far uscire dai centoquaranta caratteri fino a portarlo ad abbracciare un discorso esilarante di satira sociale. E poi, diciamocelo: a me, Buenafuente, le battute le ha sempre rubate. Non si sa come, visto che le pronunciavo nella solitudine di casa mia, ma … sotto sotto ho sempre sospettato che mi spiasse mediante microchip. Eddai, altrimenti come ve la spiegate, anche in questo caso, l'uscita sui Maya? “Non é che finisce il mondo, é che arrivati al 2012 s'erano stufati di scrivere”. Non l'avevo forse giá detto io? Eh? Eh? E non ero sempre io che fingevo di comunicare con i cani nel loro stesso idioma?

Insomma, prima che mi interniate in manicomio, quello che voglio dire é che le battute non necessariamente si copiano: a volte, semplicemente, vengono in mente a piú di una persona. Tutto qui.
E il programma, per chi lo volesse, si puó guardare cliccando qui. Buena visione:


venerdì 13 aprile 2012

Venerdí dal sapore canario: Papas Arrugadas per tutti!

Per chiunque sia stato alle Canarie, i ricordi gastronomici avranno senz'altro due sapori chiave. La dolcezza forte del RonMiel in un chupito a fine pasto, e...le papas arrugadas con mojo picón. Ebbene sí, signori: senz'altri fronzoli (ché oggi piove, e a me la pioggia rende acida peggio di uno yoghurt scaduto) , la ricetta di oggi aspira a condurvi proprio lá. Ai margini di un'Africa che sa di America Latina. Nella Spagna del fuso orario, che celebra il capodanno sui rintocchi del Big Ben. E sa di nero lavico, oppure di sabbia bianca. Sa di regaettón, di traffico indisciplinato. Di colori accesi e vegetazioni piene. Di un mondo a parte, incantevole, appena appena qualche ora piú a sud.



PAPAS ARRUGADAS

Ingredienti:
1 Kg di patate novelle
1 kg di sale grosso
Acqua

Preparazione:

Lavate bene le patate, senza peró sbucciarle. Mettetele quindi a lessare in una pentola, salando l'acqua con mezzo kilo di sale grosso. Fate attenzione che l'acqua non superi mai il livello delle patate. A patate bollite – ma prima che la buccia si stacchi – scolate l'acqua, coprite le patate con il sale rimanente, e rimettetele sul fuoco, girandole per un paio di minuti fino a che non si saranno completamente asciugate. Non appena le bucce risultano “rugose” (
arrugadas, appunto), togliete le patate dal fuoco e lasciatele riposare per qualche minuto nella pentola, coperte da un panno grezzo.

Andrebbero servite con il Mojo, tipica salsa canaria disponibile nelle varietá del verde (piú light) e del rosso (piú piccante). Internet, al solito, fornisce innumerevoli consigli su come prepararlo in casa. Fedele alla filosofia di questa rubrica, peró, io non mi azzardo a ricopiarne nessuna ricetta : lo sapete, qui ci tengo a proporvi soltanto quelle che ho sperimentato di persona. E per quanto non sia mai la stessa cosa, ammetto che il mojo io l'avevo comprato al supermercato. 

giovedì 12 aprile 2012

Non c'é piú il Titanic di una volta...

Mi chiedevo se ne avessero una vaga idea. Sì, insomma, i giovani d'oggi. Quelli che vanno al cinema a vedere Titanic in treddí. Che io già non capisco che senso possa avere aggiungere dimensioni a sequenze giá girate. Figuriamoci comprendere il tormento infernale di tenere sul naso gli occhialini per tre ore. Comunque. Mi chiedevo se si fossero mai chiesti come possa essere stato essere tredicenni nel 1998. Perché di certo ignorano cosa quel film abbia significato per noi. Noi, gente brufolosa senza manco un cellulare, convinta che le relazioni potessero dirsi tali anche se duravano dieci minuti scarsi e non prevedevano baci. Noi, che avevamo gli stessi patemi d'animo delle teenagers d'oggi. Solo che non potevamo condividerli su facebook. Cosí, oggi le mie mensole s'appesantiscono di vecchi diari. Le paturnie hanno il carattere di fitta corrispondenza postale su carta da lettere rosa. L'ho legata con un nastro. Archiviata in un cassetto. E a dieci acari piace quest'elemento. Un casino.



Titanic. Quando uscí, ero indaffarata nella prima redazione della mia vita: quella del giornalino delle medie. Ricordo che mi avevano nominata caporedattrice della sezione “spettacolo” . E la cosa mi piaceva talmente da decidere che l'avrei voluto fare per il resto della vita. Il giornalino, unito ai miei voti da secchiona, mi permetteva di entrare e uscire a piacimento dalle ore di lezione. Avevo a capo un piccolo gruppetto,a cui imponevo le mie linee editoriali con una fermezza adrenalinica del tutto inaspettata, a dire il vero, data la mia timidezza di allora. Mi documentavo. Ritagliavo. Scrivevo. Mi incazzavo. Mi compiacevo. E poi scrivevo ancora. Era...bellissimo. Davvero bellissimo. Almeno quanto, all'epoca, mi sembrava essere Di Caprio.

Il mio primo reportage é stato su di lui. Ché i giovani d'oggi non lo sanno, ma Leo era...sí, insomma, il J.B. di allora. E dico J.B per non far nomi. Per evitare che un pubblico inappropriato giunga invano a questo blog lanciando urletti. Comunque avete capito, dai. Parlo del nano con la frangetta, quello lí. Che noi stiamo tanto a criticarle, le sue fan adoranti, ma eravamo anche peggio. Lo giuro. E se no chiedete ad una ventisettenne qualunque che sia andata al cinema all'uscita di Romeo+Juliet. I dialoghi del film non si sentivano, posso dire solo questo. Era tutto un agglomerato ormonale di urletti e “sei bellissiiiiiiimooooo”, lanciati allo schermo come se l'oggetto dei nostri desideri ci potesse effettivamente ascoltare. Piú che nella sala di un cinema, il dramma dei due amanti suicidi sembrava svolgersi ad un concerto pop.

Erano queste, le premesse di Titanic.

Del tipo che quando uscí io sapevo persino quale fosse il nome del cane dell'attore protagonista. Ero al corrente del suo passato e delle sue aspirazioni, e dicevo ai miei compagni maschi che non potevano insultarlo perché non lo conoscevano. Come se io, invece, sí. Avevo anche uno stock di magliette con la locandina stampata in copertina, che sfoggiavo fiera nelle ore di ginnastica. Me le aveva regalate un'altra delle redattrici. Un'altra di quelle che avevano preso la faccenda molto a cuore.

Anche lei, come me, sapeva a memoria il testo di My Heart will Go On.

E allora mi chiedevo se i giovani d'oggi, quando vanno a vedere Titanic, dicano mai: “Toh, senti, é la canzone dei peruviani”.

I tempi cambiano. Non c'é altro da dire.




PS: poco dopo aver scritto il post dell'altro giorno, l'ipod mi ha casualmente riproposto “Hasta Que Pase la Tormenta”, dei Despistaos. E improvvisamente ho ascoltato il testo da un punto di vista completamente inedito, reinterpretandolo con qualcosa che sicuramente non volevano dire. Insomma, m'é sembrata una risposta. Perché sí, io credo che le canzoni mi parlino: sono a questo livello di follia. Comunque sia, mi ha fatta stare meglio. A ben vedere é per questo che amo tanto la musica.  





martedì 10 aprile 2012

Quello che le groupies* non dicono.

*Groupie (dal dizionario di inglese) : "Ragazza che segue i gruppi nei concerti del tour". Il termine é qui usato nel suo esclusivo significato letterale.

Questa mattina si è rotto qualcosa. Ha avuto il suono di un sms. Il sapore salato di una lacrima sul labbro. Lo strascico brutale di un mal di testa orribile. E nemmeno così m'è stato subito chiaro.



“La fine del tour é il 2 Giugno al Calderón”, mi scriveva Celine, aggiungendo che i biglietti erano quasi sold out. Poi, all'ultima riga dello schermo del Nokia, chiedeva cosa io volessi fare. Anzi: peggio, chiedeva solo “andiamo?”. Domanda semplice, risposta diretta. I fronzoli, nell'urgenza, non sono affatto graditi. Ci ho messo meno tempo a motivarle il no con una scusa, che a spiegare a me stessa quel lieve fastidio.

Ché non c'entrava niente il fatto che fosse un festival, in realtá. Che i cinquanta minuti dell'esibizione di Dani non sarebbero stati sufficienti neanche a motivare il viaggio. Figuriamoci le file kilometriche fuori da uno stadio, indispensabili a vederlo un po' piú grande di un puntino. E certo, aveva detto che Cadiz non sarebbe stato l'ultimo; invece, come concerto vero, lo é. Aveva anche annunciato sorprese. Peró, no...non é nemmeno questo a farmi arrabbiare.

Il fatto é che ho ricevuto quell'sms, e la prima cosa che ho pensato é stata: “nooo, ancora?”. Mi sono sentita cadere nel baratro della pigrizia piú estrema, improvvisamente stanca come dopo una lunga maratona. Cercavo dentro me qualche frammento di motivazione. Di illusione. Di forza. Lo stretto necessario a non lasciare sola la mia amica. A fare quest'altra follia. A congedarci da una tappa della vita che, probabilmente, allo stesso modo non vivremo mai piú. Eppure, no...per una volta,non la sono riuscita a trovare. Non ne avevo voglia, questa era la triste veritá. Non avevo voglia di pianificare un altro viaggio in fretta. Di angosciarmi per giornate intere, chiedendomi se ne sarebbe poi valsa la pena. Di sopportare liti, sotterfugi, macchinazioni sottili. E poi aspettare un messaggio su twitter. Con il cuore in gola,come una ragazzina innamorata.

Sí, oggi s'é rotto qualcosa. L'ha fatto nel momento stesso in cui ho iniziato a chiedermi perché.



E m'é venuto in mente un video. L'avevamo girato fuori dalla Caja Mágica, laddove questo tour é cominciato. Io mi ero appena laureata. Avevo visto Parma scivolarmi via dal finestrino, il bagagliaio carico dei pacchi del trasloco. Mi lasciavo dietro molto piú dell'Universitá, dei tavolini del Dulcamara, delle notti fresche in Pilotta e del Fuori Orario dove andavo a ballare con Chiara. No. Io mi lasciavo dietro tutt' un pezzo di vita. E, alla resa dei conti, sapevo che non era passata, la sensazione che provavo quella sera. La sera in cui Laura si rendeva conto che non avrebbe mai dovuto dirmi di rinunciare ai leggings ed Eugenio provava a consolarmi dicendo che dovevo pensare prima a cercarmi il posto e il modo in cui essere felice. Poi, soltanto poi, cercare di conservare quella felicitá a tramite di un lavoro. Ho sempre pensato che fosse una delle cose piú sensate che mi fossero mai state dette. Ed é per questo che oggi quella serata ha assunto per me un tono catartico. Perché a volte penso che io, quella felicitá, sono andata piú o meno inconsciamente a cercarla corpo e anima in un tour. E forse, in fondo, l'ho fatto perché non sapevo cosa sarebbe stato della mia vita. Perché non volevo pensarci. Perché quella sensazione, quell'angoscia, l'idea di non riuscire a dare ordine al mio futuro...ecco, non é mai sparita. Ma io avevo bisogno di tapparla. Di non farci caso. Di proteggermi come avrei dovuto fare coi leggings in quella notte gelata. E allora, niente. Allora sono partita. Allora ho avuto l'idea di organizzare una stravagante consegna di premi fuori dalla Caja Mágica. Di girare un video.

Ed eravamo in tanti, dannazione. Eravamo una ventina di persone almeno. Amici che si ritrovavano, uniti dalla stessa passione. Dalla stessa volontá di godersi un'avventura , gioendo per le meraviglie che chiunque di loro potesse provare. Eravamo, al passato.

Ché oggi ripenso a quel gruppo e m'accorgo che non c'é piú. Al suo posto, solo rivalitá. Invidie. Odio pungente, tagliente, sottile. Odio ipocrita, di quello che fa piú male. Di quello che ti parlano alle spalle. Ti eliminano dagli amici di facebook. Ti tolgono il saluto senza che tu ne sappia la ragione. E quanto piú ti avvicini al cantante, allora tanto piú succede. E tra miriadi di sorrisi falsi inizi a chiederti dietro quale, davvero ,ci sia amore. Tra miriadi di baci sulle guance, ti cresce la paura folle che qualcuno arrivi al punto di metterti in cattiva luce addirittura con Dani.



Cambiano gli scenari, la lingua, il soggetto, e il Paese. Ma é dall'etá di quindici anni, ormai, che ci vivo in mezzo . Da piú di dieci anni, dannazione. Per meglio dire tredici, l'etá di un'adolescente che oggi scriverá a Dani di volere un figlio da lui. Sorrido, ma é un sorriso amaro. Com'é possibile, Dio mio? Com'é possibile che dopo tanto tempo, tutto ció abbia ancora il potere di rovinarmi tutto? Di togliermi un po' di voglia di andare ai concerti? Di soffocarmi letteralmente nell'orrore della perdita? Perché, davvero: se perdo questa passione, ormai, io perdo tutto. Io che non esco nei weekend, per risparmiare in vista del prossimo viaggio. Io che vorrei avere il tasto FF nella vita, per mandare avanti veloce le pause tra gli shows. Perché mi sembra cosí noiosa, l'esistenza in mezzo! Cosí priva di emozioni e di avventure! Cosí dannatamente piena di delusioni!

E poi ci sono i favoritismi. Le beneamine che vengono invitate a entrare in camerino. Ad assistere al soundcheck. Quelle che vanno ai concerti gratis mentr'io, essendo straniera, non posso nemmeno partecipare ai concorsi. Le piccole ingiustizie che – ironia della vita – sono la sola e unica cosa che riesce ancora a riunire il gran gruppo che eravamo. I piccoli fastidi che tutti avvertono e nessuno mai ha il coraggio di confessare.

Dovrebbe essere solo musica. Soltanto divertimento. Passione. Soltanto una strada verso la felicitá. Ma conto le volte in cui quello che l'attornia é riuscito a farmi piangere, e m'accorgo che son troppe per non porsi domande esistenziali.

L'altra sera, per qualche ragione, ho messo su una scala i miei incontri con Dani. L'osannazione pubblica di Madrid. Le dediche ai concerti. L'abbraccio prolungato di Zaragoza, con tanti baci impressi e la carezza dolce sulla guancia destra. Poi, lo sguardo di sorpresa ed entusiasmo con cui m'ha accolta all'incontro di Mallorca. L'altro elogio pubblico . L'abbraccio nel cui mezzo m'ha stretta un po' di piú. Il giorno in cui m'ha chiamata “cielo”. E poi, due giorni dopo, il modo in cui, imprevisto, m'ha detto “qué rica eres”. Barcellona, altra stretta dentro la stretta. Le piccole carezze circolari sulla schiena mentre chiacchierava. E infine Málaga...

Li ho pensati in ordine cronologico, e m'é sembrato che impercettibilmente la quantitá d'affetto che lui metteva in quegli abbracci sia andata progressivamente in calare. Poi ho capito che non era vero: lui non c'entra. E' solo il mio entusiasmo, quello che cala. E la cosa peggiore é che non é per la musica, né per i concerti, né (per niente!) per il suo modo di comportarsi con me. No, affatto. E' tutto il mondo attorno, come sempre. E' quello che le “groupie” non dicono. E' questa stanchezza dannata, che vorrei non essere di nuovo arrivata a provare.

Ho una voglia disperata del viaggio a Cartagena e Lorca. Perché voglio scoprire posti nuovi.Perché voglio assaggiare la paella fatta in casa da Inma mentre guardo il mare.  Perché confido, soprattutto, che riesca a chiarirmi le idee. Perché ho la sensazione che sará catartico almeno quanto la sera della mia laurea. E guardare fuori dal finestrino di un aereo, al ritorno, sará forse in un certo senso come dire addio a un'altra parte di vita. Anche se non ho ancora capito cosa faró domani.

sabato 7 aprile 2012

Balli piano per non far rumore...e intanto Vasco va alla Scala.

Non sono un'esperta di danza. Certo non di quella contemporanea. Ma neppure di classica o flamenco, se proprio devo essere obiettiva. Definirsi esperti prevede una conoscenza teorica e tecnica per cui mi pare non basti la curiosità appassionata con cui ho frequentato anni di lezioni. Ecco perchè non prendo a prestito gli occhi del critico, se ora mi prendo il lusso di dire la mia su L'altra metà del cielo. Ché, vedete, io non ho intenzione di parlare di passi e innovazione. No. A me interessano le emozioni. I sentimenti. Quella stupenda capacità che ha l'arte – ogni tipo di arte - di restituirci un po' d'infanzia nella continua sorpresa. A me interessa quello che ho visto l'altra sera su Rai5, col portatile sulle ginocchia e addosso la stanchezza di un giorno normale. Solo che quello che ho visto non mi è affatto piaciuto.

Intendiamoci: lodo a prescindere l'iniziativa. In fondo, costruire un balletto su canzoni soft-rock ha sempre l'interessante conseguenza di avvicinare a un mondo una folla di gente che, invece, l'aveva percepito lontano. Ha l'effetto beningno, anche, di attirare l'attenzione dei media su un ambiente che troppo spesso ne rimane fuori. Tutto questo non può che essere un bene, è indiscutibile. Solo che io, su quello schermo, vedevo della gente che vagava sconsolata. Perchè era questa l'impressione generale: che camminassero sul palco, invece di ballare. Che si muovessero scoordinati, come schegge impazzite, a volte rotolandosi per terra o in braccio al loro partner, mossi dai fili di un cerebralismo esagerato; della solita ricerca di avanguardia che – se spinta troppo al limite – toglie spazio e tempo alla naturalità. C'erano gambe. C'erano vestiti rossi. Ma, se me lo permettete, io non ci ho sentito il cuore.

L'altra metà del cielo: i ballerini della Scala che interpretano Vasco. E l'unico effetto che ha avuto su di me è stato quello di ribadire un concetto. Perchè a un certo punto mi sono resa conto che, anziché guardare lo spettacolo, pensavo alle canzoni. A quanto ne scrivesse di dannatamente belle, prima di dispiacersi per l'assenza di Topo Gigio. Mi sono sorpresa a sospirare. Perchè se tutti hanno pensato lo stesso...beh, io non sicura che per Vasco sia un bene.


venerdì 6 aprile 2012

Un Gazpacho, Pau Dones, e Kekko dei Modá. Frullare per bene.

Ragazzi, è ufficiale: i cantanti italiani hanno scambiato Pau Dones per il Pittbull della Penisola Iberica. Dico sul serio. Ormai quelli che non ci hanno ancora duettato sono una specie in via d'estinzione, protetta dal WWF come i Panda. In effetti, la Golia sta già pensando di mettere le loro foto sulle caramelle. E a 'sto punto spero solo che non lo faccia mai un certo bolognese, perché lo prenderei come un affronto personale. Giuro. Un tradimento ispanofilo bell'e buono. Uomo avvisato... Ma poi, de qué depende (notare la dotta ed appropriata citazione) 'sta fissa nazionale per la voce dei Jarabe de Palo? Non lo capisco. E' perchè sa la nostra lingua, ché il bilinguismo pareva brutto? E' perché é originario di Formentera e i vari Bonolis, De Laurentis, Ramazzotti etticcì vi hanno ben che intortati? Daaai, c'ha troppi capelli per interpretare Pittbull! Non rappa, non si veste tamarro e non intervalla i testi con frasi sesso-allusive a vanvara. Lasciate perdere. Cercate altrove. Dico così, giusto per amor d'originalità.




Ora, però, la smetto. Altrimenti penserete che ce l'ho con lui e non é affatto vero. Anzi, mi sta pure simpatico, Pau. Solo che m'é giunta voce che duetti con i Modà in una nuova versione di “Come un pittore”. E, al solito, non c'ho visto più. Chè io lo dicevo – devo averlo pure scritto, ne sono certa, ma ora son troppo pigra per andare a cercare dove; insomma, lo dicevo che quella canzone a me parlava di Spagna. “Giallo come luce del sole, Rosso come le cose che mi fai provare”. Era la bandiera. Sì, lo so, sono un tantinello fissata, però io ci vedevo la bandiera. Per cui, se doveva esserci una collaborazione italo-spagnola che coinvolgesse i Modà, non poteva riguardare altro. Solo che non doveva essere tutta nella lingua di Dante, che diamine! Anche su questo sono fissata, vero, ma...ha un senso?! Cantata così, ha un senso?! E poi sempre Pau. Che noia, che barba, che monotonia. Quello che ha duettato con Jovanotti, con Renga, con ...Gazzé, anche, se non sbaglio. Cioé, non ne conoscete altri, di spagnoli? Eh, niente. Mi parte un attimo l'embolo, tutto qui. Anche perchè – aprendo ulteriori parentesi – il cantante dei Modà dovrebbe smetterla di farsi chiamare Kekko. Almeno togli le Kappa, dico io: ne va della tua credibilità. Suvvia, se leggi “Kekko ha dichiarato che” può anche aver detto che risolverà il problema della fame nel Mondo, ma penserai comunque in automatico a un quindicenne con la frangetta su un occhio che si scatta foto allo specchio del bagno . La gente ci deve pensare, a queste cose.

Ma vabbè. Forse è meglio che mi raffreddi l'animo. Vi andrebbe un gazpacho? In fondo, è pur sempre Venerdì.


GAZPACHO ANDALUZ

Ingredienti per 6 persone:

200 g. di mollica di pane
600 g. di pomodori maturi
120 g. di olio extravergine d'oliva
1 cipolla
1 cetriolo
2 peperoni
3 spicchi d'aglio
aceto
sale e pepe

Dopo aver fatto ammollire il pane in acqua, lavate tutte le verdure e tagliatele a tocchetti. Frullatele assieme al pane strizzato, l'olio e 4 cucchiai di aceto. Se necessario, aggiungete altra acqua.

Lasciate raffreddare il gazpacho in frigorifero per almeno tre ore. Se lo vorrete, potete servirlo anche con dei cubetti di ghiaccio: é imprescindibile che sia molto freddo.

Quanto alle modalità di presentazione, la Spagna ne offre – come spesso accade – una varietà esorbitante. Potete servirlo in ciotole, come una qualsiasi minestra fredda. Meglio, in questo caso, se accompagnato da dadini di pane tostato, listarelle di peperone crudo, tocchetti di pomodori e cetrioli distribuiti in piattini diversi cosicchè ogni commensale se ne possa servire a piacere. Oppure, come spesso si fa nella penisola iberica, potete servirlo in grandi calici da vino o in piccoli bicchieri da chupito: in questo caso, più che un piatto unico, il gazpacho avrà il ruolo di rinfrescante antipasto che apre lo stomaco alle prelibatezze successive. Se è questo che volete dal vostro piatto, consiglio di renderlo, però, più leggero togliendo il pane dagli ingredienti frullati. E buen provecho, amigos. 



martedì 3 aprile 2012

E se fossi andata a Rieti?

A volte me lo chiedo, cosa sarebbe successo. Domanda di per sé giá sbagliata, ché gli “e se...” non mi piacciono neanche tra gli episodi di Grey's Anatomy. Più che altro, non sono affatto pratici. Uno fa le sue scelte, ne accetta le conseguenze, lo dicono tutti che “ya está”. Rimuginarci sopra è un po' come ascoltare “La Descrizione di un Attimo” chiedendosi se qualche Tiromancino al mondo direbbe mai di me “ lo so che sei normale”. Insomma, atti di masochismo vari ed eventuali. Anche se quelle delle canzoni sono sempre state paturnie tutte mie. Vabbé.




Il punto é che mi avevano telefonato, mentre mi preparavo per il sole caldo di Málaga. Lei aspettava fuori ed io, a quel punto, mi ero giá un bel po' incazzata. Che, voglio dire: attendi per settimane l'esito della tua richiesta. Moduli inviati in busta chiusa, elemosina burocratica di quel progetto Leonardo che mi avrebbe regalato tre mesi d'Andalusia. Poi, in Andalusia, ci vai davvero. E il cellulare squilla di vaghi singhiozzi impedendoti di rispondere a una chiamata campale. Ho passato la prima fase, questo mi volevano dire. Volevano dirmi che mi aspettava soltanto un esame di lingua spagnola. Tre giorni dopo il mio ritorno.

A Rieti.

E io ci ho provato, dico sul serio. Ci ho provato, a trovare un modo per arrivarci. Ma...Dio, siamo in Italia! Cosa accidenti mi potevo aspettare? Soluzione treno, la piú ovvia. Peccato che lo sperduto nord est sia privo di connessioni con qualunque posto piú in lá di Venezia. Trenitalia proponeva sei cambi, piú di venti ore di viaggio e un prezzo “flessibile” alla modica cifra di 120 euro A/R. Ovviamente limitati alla tariffa piú economica. Agli Interregionali. Sí, insomma: ai ritardi, allo sporco, e alla puzza di sudore. Senza contare che avrei dovuto aggiungerci l'alloggio, che 'sti benedetti test avevano inizio alle nove del mattino. Soluzione aereo, manco considerarla. Ché se ti avvisano con meno di una settimana di anticipo trovare un low cost é un'impresa titanica. Di corriere, da qui, non ne esiste manco una.




Per un attimo, ho pensato con sdegnato rimpianto alle quattro ore scarse di puntualitá, silenzio e lusso con cui ho attraversato in treno la Spagna. Che se raddrizzi la linea immaginaria che collega Zaragoza alla Costa del Sol ottieni esattamente (lo so perché ho davanti la cartina) tutta la lunghezza della Penisola in senso verticale. Quattro ore, capite? Quattro ore, nessuna coincidenza, cinquanta euro in tutto e centri commerciali dentro alle stazioni. E ogni volta che penso a Mestre, coi tossici e i barboni che sputano per terra; Mestre con le sue belle cacche di piccioni che nessuno mai si degna di pulire...ecco, io mi sento in una specie di Favela. Mi vien da piangere. Da urlare. Da sbraitare. Mi vien da scrivere una lettera alla direzione delle Ferrovie dello Stato per dire che, cacchio, uscite! Uscite un attimo da questa penisola stretta. Date un'occhiata attorno. Prendete a prestito gli occhi dei turisti per guardare, oltre al solito broncio incazzato, che razza di “benvenuto” gli diamo. Paradossalmente, sono i momenti in cui mi sento patriottica. Nel senso che capisco, nonostante tutto , di amare questo Paese almeno quel poco che basta a volerlo migliore. Solo che qui tutto é come spento in una grigia ragnatela. Siamo imprigionati nel “tanto non serve a niente”, nell'apatia, nei chi se ne frega. Tanto abbiamo l'arte, la Storia, il Colosseo, Venezia e la Toscana. Tanto un cappuccino a dieci euro ce lo pagano lo stesso, in Piazza San Marco e a Capri. E allora perché dovremmo cambiare? A cosa serve migliorare? Viviamo pensando che il passato basti in eterno a salvarci, e intanto altrove costruiscono reti di trasporto efficienti. Musei all'avanguardia. Altrove ci battono di grazie e di sorrisi. Ma nessuno sembra accorgersi che, su di una bilancia, questo un bel giorno peserá di piú.

Comunque. Anche avessi avuto la patente, certo ad andare a Rieti non avrei speso di meno. Questo tralasciando, per un momento, che oltre alla patente avrei avuto bisogno di un auto. Che, oltre all'auto, avrei avuto bisogno di sentirmi in grado di guidare tanto a lungo. Tralasciando che mi conosco, e non l'avrei fatto mai.

Cosí, ho preso la mia decisione. Niente Rieti, niente Leonardo, niente Andalusia. In compenso, ho prenotato un viaggio a Murcia per il mese di maggio. Un posto che non ho mai visto. Un altra tappa. Dell'altro turismo. Ancora altri riflettori accesi.

C'é un'altra cosa che mi chiedo, a volte. Ed é cosa faró quando il tour di Dani Martín finirá. Mancano poche date. Poi, piú niente fino al duemilaquattordici. Giá solo pronunciarlo, fa paura. A questo é giá piú facile rispondere, peró. Che ho sempre in testa quel viaggio a Parigi. E poi, proprio volendo, El Pescao suona anche quest'estate. I Negrita sono in Friuli il 3 Agosto. Cremonini sta per buttar fuori il disco nuovo. Detti cosí sembrano tutti “contentini”, ma la fame di live dovrei in ogni caso riuscirla a saziare. C'é twitter, anche. Forse pure questo basterá.

Rieti, invece...




Ma, no. A conti fatti, non mi pento di aver deciso cosí. In fondo si tratta soltanto di studiare un altro piano di evasione. Ché guardo i fiori bianchi del ciliegio in giardino: sembrano pop corn su un cielo di marzapane. Sono sempre stati il mio personale emblema di primavera, quei fiori. E in primavera, in fondo, tutto sembra sempre un po' piú facile e possibile. Nonostante i rifiuti, i “le faremo sapere” e tutte le telefonate che non arrivano mai. Troveró un modo di stabilirmi in Spagna. Non so quando, né come, né dove. Ma, accidenti, prima o poi ce la faró.

E forse dopo mi mancheranno di nuovo i pop corn sul ciliegio. Il pane fatto in casa da mia madre. La mozzarella e l'atmosfera di Natale. Lo metto giá in conto. Tuttavia, facendo un bilancio, so che sarei in ogni caso piú felice . E credo che dividersi la vita sia normale.