mercoledì 26 settembre 2012

Mai darsi alla cucina etnica durante il Depression Day!


Ieri, mentre a Madrid stava scoppiando un casino, io mi son messa a pensare a statistiche idiote. Per esempio: avevo letto, tempo fa, che i suicidi femminili aumentano sensibilmente al secondo giorno del ciclo mestruale. 'Sta cosa mi è rimasta talmente impressa da battezzare quella particolare ricorrenza “Depression Day”. Quindi, insomma, avrei dovuto anche intuirlo, che forse non era il caso di azzardare esperimenti culinari. Eppure.

Il fatto è che c'erano volute ricerche mica da ridere, per reperire tutti quanti gli ingredienti. L'aneto, tanto per dirne una, non è che proprio abbondi nelle remote cittadine del nord est. Per non parlare delle foglie di vite, rubate al giardino di un ignaro sconosciuto e lavate venti volte in panico da insetti e verde rame. Comunque. Una volta compiuta l'impresa, sarebbe stato un peccato non arrivare alla fine. Il ricordo dei Dolmadakia di Salonicco era ancora troppo vivo nelle mie papille gustative per non volerlo a tutti i costi ricreare. Senza contare che di Giallo Zafferano mi sono sempre fidata un bel po'.



Così mi sono messa all'opera. Solo che, dopo un pomeriggio intero passato ai fornelli, il risultato non contemplava molto più di quanto segue. Ovvero: svariate punture di zanzara sulle mani, e involtini immancabilmente apertisi inondando di riso annacquato pressapoco tutta la cucina. Con l'aggiunta della sottoscritta in lacrime, intenta a celebrare il suo Depression Day singhiozzando sconfitta come se l'avessero appena accoltellata. Le robe incomprensibili che blateravo mentre tiravo su col naso si potrebbero riassumere in un monologo afflitto sui temi piú svariati. Tipo: “io una volta cucinavo bene, il mondo è un brutto posto in cui vivere, sono un'inetta, non troverò mai un uomo, due anni dalla laurea e ancora disoccupata, devo sposarmi un greco che almeno i dolmadakia li cucina lui, no anzi forse no, ma perchè cacchio non ho fatto una pasta, morirò da sola con diciotto gatti in un appartamento col soffitto umido e pieno di muffa, non avrò mai figli, mio nonno da piccola mi diceva che non vedeva l'ora di vedermi col vestito bianco, vestito bianco uguale gente che tira riso, ecco, il riso, merda, oltrettutto sa troppo di limone, e guarda che casino in giro ora mi tocca pulire. Shhhrgt (soffiata di naso)”.

Per concludere: alla fine ho cenato un tozzo di pane col formaggio e una mela, sognando la fine della giornata e un gofre bello imbevuto di cacao. Grasso. Taaanto grasso. Grasso da morire.

Per fortuna (mia e dell'umanità) il Depression Day è poi passato. Oggi ricomincio flamenco. Domani parto alla volta di Riva del Garda per una nuova edizione del Blogfest. E, di conseguenza, tutto può soltanto migliorare. Anzi, vado a preparare la borsa.

Ci si legge al mio ritorno. O forse anche durante. Che ne so.  

martedì 25 settembre 2012

Italia Loves Emilia, l'omaggio a Manu Chao e le polemiche sterili.


Ho sentito dire, di “Italia Loves Emilia”, che se ne è “parlato troppo”. Ho letto appellativi tipo “musica di merda”. E una profonda tristezza si è impadronita di me. Tristezza, sì. Io credo sia triste soffocare la mente con i gusti personali. Trincerarvisi dietro, fino a farne il copione per cui sempre e comunque reciti la vita. Finchè, quasi senza accorgertene, non lasci più a te stesso la possibilità di evaderne. Di cambiare, foss'anche per un attimo soltanto, prospettiva. E' triste, dannatamente triste che il disgusto provocato da un genere si riduca al tuo stesso paraocchi. Che ingrandisca il dettaglio, sottraendoti alla vista il quadro generale.  Ed è davvero il genere, poi? O piuttosto il fatto che quel genere vende? Chè andare controcorrente, ribellarsi alle opinioni maggioritarie, è in fondo quasi sempre una nostra segreta aspirazione. Ci fa sentire migliori, al di sopra degli altri, chissà poi perchè. In altri campi, ci sono caduta anch'io . 
E' davvero il genere? O piuttosto l'antipatia verso certi personaggi pubblici, che alla fin fine neppure conosciamo? 

Ma che importa, in fondo. Ognuno ha le sue ragioni per amare. Ciascuno le proprie per odiare. E' proprio questo a rendere il mondo vario e privo di noia.




Eppure quel concerto, piaccia o no, ha permesso di raccogliere una quantità di soldi imbarazzante. Soldi che andranno a ricostruire case e scuole. Che finiranno con l'aiutare una regione devastata. Che serviranno – è questo il punto – serviranno concretamente a fare del bene. Come se non bastasse, l'organizzazione multitudinaria di Campovolo ha dato lavoro a centinaia di persone, in un'epoca in cui il lavoro sta diventando il miraggio dei più. E ha riempito gli alberghi, intasato le autostrade, creato file nei ristoranti. In poche parole, fatto il miracolo degli operatori turistici e di tante famiglie  che, come la maggior parte, faticano ad arrivare a fine mese. 

Se ne è parlato tanto, allora? Può darsi. 
Però dovreste dire "finalmente", anche se siete indie, rocker convinti, metallari. Anche se amate la musica classica o il jazz. Chi se ne frega. Finalmente si parla di un concerto, e non lo si fa perchè un palco è crollato, i biglietti costano troppo, un frontman si è drogato, una diva s'è spogliata  o qualcuno si è fatto male. Se ne è parlato tanto, sì. Ma se ne è parlato comunque meno rispetto alla Minetti che sfila in costume, o al risultato di Milan e Inter all'ultima giornata di campionato. Di questo, però, a nessuno viene in mente di lamentarsi mai. 

Ci si lamenta perchè c'è di mezzo Tiziano Ferro. E Ligabue. E – mamma mia santissima – persino i Negramaro. E Jovanotti, e Antonacci...Vade Retro Satana. Ci si lamenta perchè è “musica di merda”, di quella che sta in cima alle classifiche e allora va odiata di per sé. Sapete cosa? Che palle. 

Vi dirò: io ho un grado di sopportazione molto basso nei confronti di Renato Zero, per esempio. Nemmeno per Zucchero o gli Stadio faccio follie. I Litfiba, francamente, mi piacciono solo a piccole dosi. Eppure, chissà come, questo non mi impedisce di lodarli per il fatto di essere stati lì. Non mi porta a dimenticare le ragioni per cui quel concerto è stato organizzato, né tanto meno gli obiettivi che è riuscito a raggiungere. Per cui parlatemi di Renato Zero fino allo sfinimento, se volete. Parlatene pure, se è per cose del genere. 

Chè, se proprio vogliamo far polemica, allora facciamola piuttosto sulle case discografiche che hanno impedito il passaggio integrale del concerto su Sky Prima Fila. Ecco, quello ci sta. Non perchè non valesse la pena di pagare dieci euro, per carità. Ma perchè l'emittente aveva sponsorizzato l'evento lasciando intendere che ce lo saremmo goduti dall'inizio alla fine. Perchè, dopo quest'esperienza, la gente sarà meno disposta ad acquistare in pay per view un concerto solidale, con conseguenze negative per tutti. Ecco, riflettere su questo ci sta. Non è una critica “sterile” come sosteneva Cattelan in diretta video. 

Sterile è lamentarsi perchè si dà finalmente visibilità ad un'iniziativa che ne merita eccome. E credetemi: io non volevo scrivere un post così indignato. Anzi, in realtà volevo solamente postarvi un clip, figuriamoci. Ma i commenti che ho citato li ho letti e ascoltati da troppe persone perchè cambiare rotta non fosse necessario. Nell'amarezza del tutto, quel video avrà, alla fine, un impatto diverso. Meno allegro di quanto avrei voluto. E mi dispiace. Però, ad Italia Loves Emilia, c'è stato anche un momento italo-spagnolo. Ecco. Era soltanto questo, che vi volevo dire. 

Cosa ne avrebbe pensato Manu Chao? No, perchè a me è piaciuto un casino. 


lunedì 24 settembre 2012

Pordenone Legge. Per fortuna.


La strada, in leggera salita, forma quasi un auditorium naturale. Ci sono cani che scodinzolano felici, frenati solo in parte dai guinzagli nei loro intenti di socializzazione. E poi fotografi, stipati sui balconi in ferro a immortalare folle da concerto rock. Il resto, è tutt'un'aggolmerato di facce rapite. In mano depliant gialli, o magari qualche ipad. Il colpo d'occhio, il primo impatto, è tutto qui. Tutto nella voce di Faletti che da un palco accosta frasi ad effetto, talmente affascinanti o divertenti che annotarle sul display del cellulare è uno di quei peccati che io non commetterei.



“Cucinare è bello perchè, come in letteratura, non hai altro limite che la tua fantasia”. Lo sta dicendo proprio adesso, mentre spingo le pupille ad abbracciare gli stendardi appesi un po' ovunque tra le vie dietro me.

Erano anni che sentivo parlare di Pordenone Legge. Del suo successo in crescita, della sua organizzazione pressochè perfetta, dell'incremento turistico che porta nei lettori provenienti da ogni dove. Eppure, come in fondo accade sempre, le parole non bastano mai. E, ancora una volta, finchè non abbracci con la pelle i confini della loro definizione...beh, ancora una volta non potrai capire. Io non ci ero riuscita, prima di attraversare il ponte pedonale che tanto mi ricorda scorci parmigiani. 

Il fatto è che, da una fiera del libro, non è che in fondo hai molto da poterti aspettare. Tutt'al più dei gazebi stracolmi di romanzi e qualche conferenza chiusa in una sala buia. Niente più. Per questo meraviglia constatare, invece, il coinvolgimento di una città intera. Trovare incontri, concorsi, dibattiti finanche nei luoghi più impensati. Dalle osterie ai negozi di arredamento, passando per i teatri, i baretti più nascosti, le logge comunali o le piazze all'aperto. Per questo ti entusiasma – forse anche più del dovuto – la finestra da cui cadono, appesi come post it, decine e decine di pagine coperte in giallo. Su di esse, nomi di autori che hanno fatto la storia. E ancora il chiosco da cui caricare direttamente e a titolo gratuito le tue foto dell'evento su facebook. O magari le frasi a tema affisse alle vetrine di negozi di abiti alla moda che, apparentemente, con la letteratura non c'entrano poi granchè.



Il fatto è che quello che non dicono (per quanto, in effetti, si potrebbe immaginare dallo slogan) è che Pordenone Legge è una festa vera. Il luogo di ritrovo ideale per chi ancora ama perdersi tra inchiostro e parole, per ricercarci dentro frammenti della propria vita. Oppure, al contrario, per fuggirne un po' via.

Ed erano tante, Sabato, le persone accalcate sotto a quei gazebi. Tante, quelle disposte in una fila ordinata per ascoltare un romanziere parlare. Tante, così tante che mi s'è gonfiato il cuore di gioia. Forse c'è ancora speranza, allora, per la cultura. C'è ancora speranza, per l'umanità. 


giovedì 20 settembre 2012

Fuori dal comune e...Made in Spain! Tre segnalazioni per gli acquisti online.


Poi io magari saró anche strana, ma nutro profonda ammirazione per le aziende che usano il web. Che lo usano bene, voglio dire. Cosí, mi spremo le meningi alla ricerca di un oggetto da fotografare per la nuova iniziativa Bacardi. E, giá che ci sono, vi segnalo tre casi Made in Spain che a mio avviso incarnano il concetto veramente a perfezione.



Ché, in fondo, mi aspetta un week end intenso. Giorni fatti di aria fresca, profumi, parole e tutta la stupenda tridimensionalitá della vita vera. Ci saranno ritrovi alla Carramba che sorpresa con amiche che non vedo da una vita; passeggiate a PordenoneLegge; mercatini etnici a Trieste. E vetrine, probabilmente. Un sacco. Perció, andiamo: come volete che oggi riesca a concentrarmi su qualcosa di piú serio dello shopping online?

I tre casi – si diceva – non sono né i migliori né i piú innovativi. Semplicemente, sono stati gli ultimi in ordine di tempo a colpirmi per efficacia promozionale. Tre tipi diversi di imprese che vedono nel web qualcosa di piú che un mero veicolo di contenuti. Al contrario, la rete diventa per loro lo spazio su cui sviluppare un business diverso. Di nicchia. Personalizzato e modulato sulle esigenze del cliente. Un cliente che viene direttamente contattato su twitter in funzione dei suoi stessi interessi. E poi coccolato, aiutato... fatto, in una parola, sentire speciale. Come dovrebbe essere, lontano delle espressioni annoiate di certe commesse scontrose. Come, in definitiva, piace a me.

E allora prendiamo Demodé Vintage, tanto per cominciare. Creato dalla madrileña Rosana Casado, presentata nella sezione “about us” del sito come un'amante dei viaggi e dell'old fashion, vanta un limitato catalogo di capi d'abbigliamento tutti ispirati alle linee moda degli anni 50,60, e 70 e allo stile di vita californiano. Prodotti che si collocano, insomma, al di fuori delle tendenze di stagione, di quelli un po' piú difficili da reperire nei grandi centri commerciali. Un target piú mirato é difficile da concepire, ma il bello é che, nonostante quanto si possa pensare, i prezzi non sono affatto esagerati. Si va dagli 8 ai 19 euro per una maglietta, dai 10 ai 20-25 per un vestitino che fará girare le teste. E c'é di piú! Perché, oltre a portare la loro filosofia su pressoché tutti i social network conosciuti, Demodé Vintage organizza una volta al mese negli uffici di Madrid (sul sito c'é scritto, in realtá, “a casa mia”) dei “pomeriggi di sole ragazze” dedicati allo shopping, ai dolci,e alle chiacchiere. Clienti e dipendenti dello shop sono invitate a partecipare, mediante prenotazione. E qualunque gruppo di amiche composto da un minimo di 6 componenti puó richiedere l'organizzazione di un evento simile a domicilio, semplicemente contattando lo staff dall'apposita sezione del sito. Non mi direte che non é geniale!

Due abitini "demodé vintage"


E poi c'é Regalos Musicales: per quelli come me, che con la musica hanno una vera e propria relazione sentimentale. Cioé, in realtá loro si presentano come un negozio online pensato per studenti o professori di conservatorio, musicisti di professione, esperti in materia. Ma ció non toglie che un qualunque amante delle sette note avrá voglia di comprare qualunque cosa giá dopo una prima occhiata ai prodotti in catalogo. Vendono di tutto, dagli articoli di cancelleria alle borse, passando per astucci, portachiavi ed appendiabiti. Con una caratteristica: ogni singolo oggetto é ispirato a motivi musicali. Decorato con chiavi di violino. Modellato a forma di pianoforte. E i prezzi sono davvero irrisori. Anzi, personalmente non sono stata in grado di trovare nulla che costasse piú di quattordici euro. Consigliatissimo. Soprattutto se voleste farmi un regalo. 


Uno stupendo bloc notes ..... e degli appendi-abiti da soggiorno. 



Per ultimo, il portavoce di un settore completamente diverso. Sí, perché con l'Hostal Persal di Madrid non parliamo piú di negozi online, bensí di alloggi definiti a basso costo. Intendiamoci: non é l'ostello piú economico del mondo. Per nulla, visto che una stanza doppia é capace di costarti 70 euro con tanto di sconto. Tuttavia, ha saputo compensare le tariffe non proprio ridottissime con un'attenzione al cliente personalizzata che dai social network sa arrivare dritta al cuore. Internet, per il Persal, é cosí importante che ci sono degli sconti esclusivi per i loro followers su twitter. Senza contare che il sito é davvero molto curato. Insomma: risparmio o meno, é impossibile non prenderli in simpatia.


L'"attenzione personalizzata", il vero punto forte dell'Hostal Persal! 

E voi? Avete conosciuto qualche impresa particolarmente attiva online che volete segnalare ai lettori di Italo-Spagnola? Io sono tutta orecchi. O tutta occhi, come preferite. 

lunedì 17 settembre 2012

L'arena e i cuori (un altro post imprevisto su quei due)


“Si vede che è spagnolo: è un po' fuori”. Poi, l'affrettata postilla. “...Rispetto a tutti gli altri”. E io m'immagino guance arrossate.

Intendiamoci: non avevo nessuna intenzione di dedicare un post – un altro! - alla struggente accoppiata Jarabe de Palo- Modà. Insomma, lungi da me includere un tizio con tre kappa tra i fili conduttori del blog. Specie perchè “come un pittore” sta iniziando ad andar forte anche nella Penisola Iberica. Il che – per quanto il brano mi piaccia - provoca ai miei neuroni quell'affaticamento mentale da tormentone estivo che sicuramente conoscete bene. Solo che, in questo caso, si moltiplica per due. Non era in programma, ecco. Ma il problema, con gli italo-spagnolismi, è che non sempre li puoi prevedere. Quando arrivano arrivano, come la Pasqua nella pubblicità della Colomba. E allora quella frase di Paoletta, ascoltata a reti radiofoniche congiunte, non mi lascia via di scampo alcuna. Se poi ci si aggiunge che il tizio con tre kappa ammette tutto allegro di parlare “itañol” (beh, lui veramente dice “itagnolo”), direi che sono proprio fregata.

E quindi un po' ve ne parlo, del concerto di ieri. Data unica in Italia, Arena di Verona Sold Out dopo soltanto cinque giorni di prevendita. In effetti, giá solo per questo merita menzione.

Vi parlo dell'overdose di cuori sbarluccicanti, talmente kitsh che ti chiedi come diavolo ti puó venire in mente di comprarli. Dell'ovazione coreografica di una scritta organizzata in fogli plasticati rossobianchi. Della bellezza semplice racchiusa nel concetto di “scrivere le nuvole”. E della musica, soprattutto. Sempre e ancora di lei. Del potere magico piú antico ed efficace del mondo, in grado di illuminarti gli occhi e, per due orette almeno, trascinarti via. In un mondo diverso, lontano, in cui i problemi non esistono e tutti quanti i sogni si possono realizzare. La musica. Ah, la musica. Non importa il genere, la voce, lo strumento. Importa solo la sua essenza. Importa di per sé.




Un concerto al giorno: io questo vorrei. Poi non fa niente se é solo in tivú.

Portano fiori rossi tra i capelli, le ragazze del fanclub dei Modá. L'angoscia della fine del tour traspare dai loro volti, assieme ai ricordi di cui avranno arricchito la vita. Non importa chi ci lega: alla fine, siamo tutte uguali. Tutte con i nostri striscioni, con le nostre invidie, con i nostri picchi di felicitá massima alternati a pesanti depressioni. Anche per questo m'é mancata, Malinconico a metá.




L'altra, di metá, é il primo piano di Pau Dones. Scatta foto con l'Ipad, come un fan qualsiasi. Con la sua giacca di camoscio e la pelle scottata da sole e riflettori. Ve ne parlo, e d'altra parte é normale. O, almeno, lo é per me.

Sí. E' normale che, dopo tanti viaggi, la vita d'ogni giorno finisca col sembrarti un po' meno degna di nota. Poco meritevole, in sostanza, di inchiostro e di clic. Ti chiedi: di cos'altro potrei parlare? E' davvero interessante il cestino di frico ripieno di polenta e funghi che mi sono sbafata l'altro giorno a Friuli Doc? Dovrei raccontarvi, forse, di quei meravigliosi orecchini fatti a forma di biscotti pan di stelle che m'hanno conquistata da una bancarella d'artigianato locale? O magari del bracciale composto di cuori laccati, per nulla sbarluccicanti e molto, molto meno kitsh?

Naa. Io non credo possa risultare, poi, cosí affascinante sapere che ho passato la Domenica in cerca di mercatini a Grado. Salvo poi constatare, una volta rientrata, che erano nell'unico posto in cui ho dimenticato di andare a passeggiare.

E' che, piú che altro, mando in giro curricula e aggredisco libri. Io, piú che altro, sogno. E cerco ancora voli per Madrid.

Che altro c'é da dire, allora? Non é forse meglio un video dei Modá?

L'intervento di Pau Dones degli Jarabe de Palo inizia dal minuto 00.48.00 circa. 

Ps: ha anche detto, Paoletta, che l'accento spagnolo é meraviglioso. E lí s'é guadagnata tutta la mia stima. 

giovedì 13 settembre 2012

L'intervistata.


E, niente. Io ve lo racconterei anche con un po' piú di pathos, se oggi non avessi inviato piú curricula che in tutti gli ultimi due anni messi assieme. Ché poi non son neanche tanto i curricula: é proprio scrivere lettere motivazionali che mi sfianca. Mi ci impegno talmente che mi verrebbe da assumermi da sola. Peccato che tutti gli altri finiscano per avere un'altra idea. 


Comunque, pathos o no, il fatto resta. Ed é che i miei amici di Itañolandia m'hanno intervistata.  Sí, avete capito bene: loro hanno intervistato me. Roba da non crederci. Parlo del fanclub italiano de El Canto del Loco, del mio amore per la Spagna, di progetti, libri, cibo... 

Insomma, se siete curiosi, questo é il link da cliccare. 


E, intanto che voi leggete, io vado a collassare di lá.

martedì 11 settembre 2012

El día en que mi vida cambió....era Settembre.



M'ero presa un quadernetto argentato, prima di partire per l'Erasmus. Mi serviva per annotare le spese, tirar giú gli annunci di appartamenti in affitto e – se proprio fosse stato necessario – magari anche mettere per iscritto qualche mia fulminea illuminazione mentale. Non avevo ancora twitter, in fondo: da qualche parte i miei pensieri piú sintetici sarebbero pur dovuti finire! Comunque. Il punto é che c'é una frase, sulla prima pagina di quel quaderno. Dice: “el día en que mi vida cambió, era otro día cualquiera” ("Il giorno in cui la mia vita cambió, era un giorno come un altro"). Non ricordo se fosse mia o l'avessi, invece, letta da qualche parte. Ma il punto é che oggi mi sento un po' cosí.

Intendiamoci, non che aver inviato un romanzo ai primi tre editori in lista possa davvero cambiarmi la vita. Per farlo non basterebbe neanche che mi pubblicassero. Insomma: dovrei rivelarmi madre di un nuovo Harry Potter, o magari suscitare le ire del Vaticano con un best seller mondiale. E direi proprio che non sará il caso.

Eppure, non lo so, sará Settembre. Settembre m'é sempre piaciuto, come mese: sa di nuovo inizio, ma senza bisogno di indossare una sciarpa. E' denso di buoni propositi, di energie da incanalare, di bozza di vita pronta a prendere colore. E a me le bozze rendono felice di per sé.

Non é aver inviato il manoscritto, in realtá. E' piú che altro il fatto di aver portato a termine qualcosa di mio. Nato nella mia mente, messo in vita su carta, e ora pronto ad affrontare anche occhi altrui. E' la consapevolezza che, vada come vada, sto finalmente lottando per il sogno di quand'ero bambina. Di quando, tra i banchi delle scuole elementari, mi chiedevano “cosa vuoi fare da grande?”. Ed io, immancabilmente, rispondevo: “la scrittrice”. 

Ecco, é come se di colpo fossi diventata grande. E, per farlo, é bastato un colpetto all'enter, un francobollo, l'inizio estenuante di un'attesa. Saranno mesi in cui cercheró di auto-persuadermi che quel lavoro non se lo filerá nessuno. Mesi in cui, peró, al contempo, non riusciró a evitare di scegliermi in testa ringraziamenti e foto per la quarta di copertina. E' un giorno qualunque, ma – che io lo voglia o meno – s'é giá accesa l'illusione.

Eppure c'é un'altra cosa buona, nel mese di Settembre, ed é che esce un sacco di musica nuova. Cosí, nella mia attesa, se non altro avró compagnia. Vi lascio una selezione delle nuove uscite ispaniche, dal mio amato Rulo al mio moooolto meno amato Pablo Alborán, passando per  Melendi e... un duetto tutto italo-spagnolo (anche se la mia preferita, di quel disco, é ovviamente un'altra). C'é l'imbarazzo della scelta. E a voi, quale piace di piú?












venerdì 7 settembre 2012

Evviva il Sud! (Frammenti di Grecia)


Salonicco odora di fiori. E' un profumo dolce, un po' fruttato, che ti avvolge mentre attraversi Piazza Aristotele diretta verso il mare. Sa di caramelle, quasi. A Salonicco, di notte, file di lampadine colorate illuminano le vie sempre intasate di musica, di giovani in tiro, di locali alla moda e tavolini all'aperto di qualche ristorante dove si cucina pesce.

Torno da lì. Da lì e da Nikiti, un paesino sul mare nella penisola Calcidica: due vie appena, un mare turchino da far invidia ai Caraibi ed una gentilezza quasi imbarazzante nella popolazione. Sì, insomma, torno dal Sud che mi piace. Il sud delle luminarie colorate appese tutto l'anno,non soltanto a Natale. Quello delle vetrine piene di ventagli e fiori per capelli, che per un attimo ti fanno credere di essere ancora in Andalusia. E' il sud di chi non ha mai fretta. Di chi sorride sempre, scordando i nonostante e gli anche se. Un luogo in cui la gente chiacchiera urlando da un lato all'altro della strada, mentre i 40 gradi a mezzogiorno pesano sulla testa e ti scuriscono un po'. Il Sud. Ah, il Sud. Io ci sto troppo bene.



Ché i vecchietti, a Nikiti, se fotografi l'albero di fichi nel loro giardino, ti invitano a mangiarne un po'. E poi inchiodano con l'auto in mezzo alla strada solo per presentarsi (“Ciao, sono Nikos”) e chiederti da dove vieni. A Nikiti, se chiedi un'indicazione, ti offrono direttamente un passaggio. E a te viene il nervoso per il posto in cui sei cresciuta, che ti ha insegnato a dover esser diffidente. Che s'impregna soltanto di cattive intenzioni.

“Mi spiace perdervi”, ci ha detto Miss Julie quando abbiamo lasciato l'hotel , “Siete così carine!”. Probabilmente è anche per questo se il contrasto è così brusco, di nuovo.

Sì, perchè poi torni nel Nord Italia è l'impatto è fatto d'autobus troppo cari, di un barista cafone che prende a pesci in faccia uno straniero. Che ne deride le abitudini alimentari, incurante del rispetto per la sua religione. Nel Nord Italia una donna ne aggredisce verbalmente un'altra, sconosciuta, tra i sedili azzurri di un treno. Le rinfaccia un episodio avvenuto forse forse un'ora prima. Che “quando le tenevo la porta, in bagno, uno scossone del treno l'ha aperta, e io ho sentito che ha esclamato 'stronza', allora volevo sapere ...e bla bla” . “Lei ha sentito male,vada all'Amplifon”. E' che nel Nord Italia sono tutti, sempre, un po' troppo nervosi.

Comunque. Non lascerò che questo intacchi i bei ricordi. Né questo, né il terribile virus intestinale che da due giorni ormai mi costringe a vivere in bagno. No. Io preferisco pensare a quanto siano avanti in un Paese sulla carta molto più in crisi di noi. Un Paese come la Grecia, dove sugli autobus i nomi delle fermate sono annunciati in automatico in due lingue; E un distributore automatico ti permette di fare i biglietti anche a bordo senza disturbare l'autista. Un Paese in cui c'è il wifi gratuito praticamente in ogni bar. Io preferisco cercare la ricetta delle foglie di vite ripiene di riso e menta. Ricordare al mio palato il gusto di quei meravigliosi caffé freddi fatti tipo frappé. E soprattutto constatare la vera, grande, rivelazione di questa vacanza: i ragazzi greci sono veramente fighi.