martedì 30 ottobre 2012

Il "momento pico" e l'itañolo on air

La scusa é stata il vertice italo-spagnolo di questi giorni. A voler proprio dirla tutta, ha contribuito anche il compatimento preoccupato di Obama, secondo cui i miei due Paesi sarebbero il piú grande problema dell'Europa. Per la serie, incrementiamo l'autostima. Del resto, pare che Rajoy abbia detto che “dobbiamo stare uniti”. E io me lo sono visualizzato in versione Morandi, coi pugnetti e tutto. Non ridete: non é stata un'immagine carina.




Comunque. Sia quale sia la ragione, il punto é che ieri pomeriggio una delle piú note emittenti iberiche ha trasmesso un programma di quelli che piú a tema con questo blog sarebbe difficile trovarne. Parlo di Cadena Ser, mica cotica. E parlo, piú in dettaglio, de La Ventana, che ha ospitato per l'occasione le due fondatrici della mia venerata Itañolandia.

Una italiana residente in Spagna, l'altra spagnola residente a Roma, certo non avrebbero potuto trovare protagoniste migliori per un dettagliato raffronto raffronto tra le due Nazioni. Che poi a dire “dettagliato raffronto” sembro quasi una seria, pensa un po'.

In realtá, a me il discorso é iniziato a sembrare interessante giá dalla premessa. Uno degli speaker ha sostenuto che l'unitá di cui parla Morand...ehm, Rajoy non dovrebbe essere, in fondo, cosí difficile da ottenere. E, per dimostrare l'assunto, si é affrettato a ricordare che “gli italiani hanno fama di conquistatori in Spagna” mentre “l'accento spagnolo trionfa con le italiane”. Ecco: in quel preciso istante, annuendo convinta, io ho capito che il seguito mi sarebbe piaciuto.

E s'é accennato, nel seguito, a cantanti spagnoli che cantano in italiano. A cantanti italiani che cantano in spagnolo. Al cibo mediterraneo, vanto e lustro di entrambi tra patatas a la riojana e risotto alla parmigiana. E, ancora, al calcio, partendo dalla vittoria tutta nostra al mondiale di Spagna dell'82. “Fisicamente, a me i calciatori italiani piacciono di piú”, ha concluso in modo tecnico la commentatrice.

Tra gli altri highlights del discorso, l'elogio della fusione tra le due culture, che Carola (proprio come me) ritiene sia la chiave per la costruzione del posto ideale in cui vivere. Lo conclude, in modo piú o meno esplicito, dopo aver affermato che gli italiani – come da stereotipi – cucinano bene e si vestono meglio. Peccato che quella per l'apparenza diventi troppo spesso un'ossessione. E non averla é tutto fuorché negativo.




Gli italiani, dice invece Carolina, dovrebbero imparare dagli spagnoli ad essere un po' meno formali: mentre in Spagna ha sempre e comunque la meglio il “tu”, l'Italia é l'eccesso di “lei” di cui spesso nemmeno ci accorgiamo. Dall'altra parte, secondo lei é gli italiani sono anche nel complesso molto piú flessibili e creativi dei cugini iberici.

Entrambe – e non poteva essere altrimenti – sono poi d'accordo sull'inferno rappresentato dalla burocrazia italiana. Gli speaker di Cadena Ser non riescono a farsene una ragione. “Non puó essere peggio della nostra!”, sembra dire il loro tono di voce. Eppure.

Si parla anche del malcontento per i tagli di Monti, seppur certo non si rimpianga Berlusconi. Della Fornero e del suo “choosy” cosí difficile da rendere in spagnolo (“Tikismikis”, tra parentesi, é un vocabolo che m'é sempre piaciuto da morire). Si parla dell'amore degli italiani per quel Paese di cui sono sempre piú interessati a imparare la lingua. Di un Paese in cui vorrebbero scappare, mentre gli spagnoli, guardandosi attorno, si chiedono se siano del tutto impazziti.

Ma, soprattutto, si parla del rinomato e tragicomico “momento pico”. Ovvero, l'alto rischio di bacio a stampo sulle labbra quando un italiano e uno spagnolo si incontrano. Perché gli spagnoli, i baci sulla guancia, iniziano a darli da un lato. Gli italiani dall'altro. E...

Secondo voi é successo anche tra Rajoy e Monti?”, chiede qualcuno.

Di nuovo, vi prego, non ridete. Neanche questa é un'immagine carina.




La trasmissione, in lingua originale, potete ascoltarla cliccando qui sotto. 





domenica 28 ottobre 2012

Tamburi.


Credo sia quasi un richiamo ancestrale. Non me lo spiego altrimenti, il senso di liberazione a cui s'abbandonano i corpi attorno a me. Di colpo l'euforia mi prende gli occhi. Riempie orecchie, sensi, cuore. E intanto ballano, ballano tutti. Una signora brasiliana che m'ero abituata a vedere in veste seriosa. L'attore di un film. La ragazza di Bologna. Qualche altra mia collega che non avevo avuto modo di conoscere ancora. Ché a volte non serve neanche più la melodia. A volte basta il ritmo. E' tutto lì.



C'ero andata leggermente controvoglia, a quella premiazione. Sì, insomma, pioveva a dirotto. Meteorologi allarmisti insistevano, sbagliando, su temperature prossime allo zero. Poteva davvero un'altra cerimonia competere col caldo del divano di casa?

Sì. Perchè lo sottovaluto sempre, il potere trascinante dell'entusiasmo latino. Le urla di trionfo di una famiglia peruviana seduta davanti a me. La partecipazione commentata in tono allegro davanti ad ogni singolo premio. Tendo a dimenticarla, quella loro voglia di vivere a voce alta. La frenesia di gioia che, dai colori alle cadenze, pare esplodergli dentro ad ogni dettaglio. Al di là delle apparenze. Dei “che cosa penseranno”. Delle occhiate critiche – e tutte italiane- a chi magari ti siede vicino.

E' che non era affatto un'altra cerimonia. Piuttosto, era un ritrovo di quel tipo di gente che riesce in qualche modo a farmi sempre stare bene. Stavo giusto mettendo a fuoco il concetto, quando la Banda Berimbau ha fatto irruzione in scena.



Tamburi, solo questo. Percussioni combinate in un crescendo assordante di allegria. Stanno lì, con le loro maglie gialle. Lì, stipati su di un palco che si accingono a lasciare. Scendono tra la gente, la guidano suonando verso il bar. E poi dal bar al palco, mentre ormai nessuno è ormai più seduto dov'era. A volte basta il ritmo. Ti scuote il corpo da dentro, porta via i pensieri nel tuo muovere le anche. Un rivolo di sudore su cui scorre via lo stress.

Per qualche breve istante, mi viene in mente il flamenco. Quello che riesce ad apportare alla mia vita battere i piedi a terra per due ore a settimana. Immagino fusion bizzarre in dodici tempi, e poi mi scappa da ridere da sola. Dai, com'é possibile che esistano ancora gli ansiolitici? Come, se c'è sempre il tempo per ballare?

Ieri sera si è in qualche modo conclusa un'altra esperienza che definirei “lavorativa”. L'ha fatto davanti a pizzette e pasticcini, nascosti da un cartello con su scritto “staff only”. Lì mi sono trovata a chiacchierare con persone viste sì e no due volte, e che però sembrava conoscessi da una vita. Di quelle con cui non ti ritrovi in imbarazzo neanche un solo attimo, fiera di un comune amore per la lingua. Per culture lontane. Per luoghi altri, eppure sempre un po' più tuoi di quello in cui ti trovi. E, senza che me ne accorgessi, in un lampo s'è quasi fatta l'una. L'attore, quello che prima ballava, ha impugnato una chitarra nel teatro ormai mezzo vuoto. Come se avesse capito; come se pure lui sapesse che adesso sì, adesso era il momento di aggiungerci melodia.

Finisce un festival cinematografico. Addio giornate passate a guardar trailer, cercare notizie ed aggiornare pagine di facebook. Eppure, mentre varco la soglia, sento che mi dispiace un po'. Questione di tamburi, suppongo. Tutta colpa di un richiamo ancestrale.

mercoledì 24 ottobre 2012

Cose da non fare su twitter.


Mettiamo le cose in chiaro: oggi non aspiro a originalità. Per niente. Del resto, anche volendo, 'sta botta di primavera fuori luogo mi ha gettata in una sorta di coma irreversibile. Di quelli che non ti salverebbe manco una dose di caffé al ginseng per endovena. E dire che stavo già facendo il countdown verso Natale, accipicchia.

(Sospira. Si arrotola invano le maniche della felpa. Stacco su nero).



Sì, insomma, di “regole per un corretto utilizzo dei social network”, la rete è già piena. E io certo non sono uno stratega del marketing. O una Parodi 2.0, magari. Corredata di un filo di perle mentre spiega i principi del bon ton. Macché. A dirla proprio tutta, non credo neanche che un “corretto utilizzo”, poi, esista davvero. Non se si parla di twitter, almeno. Perchè, certo, i centoquaranta caratteri impongono, con la sintesi, una chiara selezione. I concetti, le parole, la sintassi...tutto, come ovvia conseguenza, si cura un po' di più nella ricerca del retweet. Ma non sta scritto da nessuna parte che dev'essere per questo un canale di intellettuali. Né che ci si debba limitare alla battuta sarcastica. Naa. Io credo, piuttosto, che esistano diverse tipologie di twitteri. I fans che cercano il contatto con l'idolo. I commentatori assidui di serie e programmi tv. I comici improvvisati. I filosofi da citazione compulsiva. Quelli che, semplicemente, raccontano minuto per minuto i piccoli gesti della vita quotidiana. Nessuno di loro ha ragione. Nessuno ha torto. Nessuno é meglio o peggio dell'altro. Sono solo sottinsiemi che si uniscono in funzione di interessi condivisi. Sei solo tu che, in virtù dei tuoi follow, decidi da che parte ti diverte più stare.

Quindi no, non sarò originale. E tantomeno mi pretendo categorica. Sono solo un'utente – francamente compulsiva – di un social network diverso da tutti gli altri. E come tale, in un giorno di finta primavera, ho scelto di stilare un elenco. Uno dei tanti, uno in più. Uno che raccolga ciò che, in quel micromondo, non andrebbe fatto mai. Con l'ovvia, dovuta e perenne premessa del Secondo Me. Poi potrete aggiungere dei punti, se vi andrà.




Cose da non fare su twitter:

  • Il Fav senza previo Retweet. Insomma, è come dire a qualcuno che l'ami ma nascondere a tutti la vostra relazione. Come lodare un piatto ordinato al ristorante e non offrirne nemmeno un assaggio agli amici. E' egoistico, quasi. Il “fav” é, su twitter, il segno massimo di apprezzamento di un messaggio altrui. Un'adulazione tale che ti porta a preservarlo dal trascorrere del tempo. A radicarlo in un elenco stellato che probabilmente consulterai nei momenti di noia. Ma allora, se quello che ho scritto ti piace tanto, perchè non lo mostri anche ai tuoi amici? RT e dopo fav, sempre. Ne va dell'autostima.
  • Ritwittare più di due-tre messaggi di fila dello stesso utente. Se non seguo qualcuno, ci sarà una ragione. E ritwittarmi la sua opera omnia centoquaranta caratteri per volta non servirà a farmi cambiare idea. La promozione funziona se condividi qualche suo tweet particolarmente ingegnoso a intervalli regolari di tempo. Allora sì che sarò invogliata a darci un'occhiata. Riportarli tutti di fila, invece, provoca l'effetto contrario. E priva di varietà la mia timeline.

  • Postare alte quantità di tweet in uno spazio di tempo breve. Ci sono persone che si connettono ad internet per una frazione di tempo determinata. Metti un'ora, mezz'ora al giorno. E in quella mezz'ora decidono di farsi sentire vomitando contenuti a tutto spiano . Ragazzi, è più o meno la stessa cosa del punto precedente: così facendo, darete l'impressione di “monopolizzare” la timeline.
  • Il “mi segui, per favore?”. Twitter si basa sul principio fondamentale per cui i contenuti che leggi sono quelli che tu stesso ti scegli. Giorno dopo giorno. In piena libertà. Chiedere di farne parte è come forzare qualcuno a guardare Maria de Filippi quando aveva già pensato di noleggiare il dvd di un film d'azione. Non è carino. Senza contare che un follow spontaneo dà molta più soddisfazione di uno dato per obbligo.

  • L'esplicita richiesta del RT. Ho letto, una volta, che “il Retweet è come il bacio: si dà, non si chiede”. E, in linea di massima, sono d'accordo. Fanno ovvia eccezione le giuste cause. Campagne per l'adozione di qualche cucciolo trovato per strada, per la diffusione di iniziative benefiche o progetti di nuova uscita di qualche artista che lotta per farsi conoscere. Allora ci sta, certo. Altrimenti, però, evitate di chiedere. Se il tweet é buono, le condivisioni arriveranno da sole.

  • Ritwittare i complimenti. E' un po' come vantarsi, il che è piuttosto fastidioso. Se ti seguo vuol dire che già ti apprezzo: non mi serve a nulla sapere che anche altri la pensano come me. Se invece non lo faccio, il fatto che qualcuno ti ripeta quanto sei fantastico certo non basterà a farmi cambiare idea.

  • I tweet tutti in maiuscolo. D'altronde, questo è uno dei principi base dell'educazione online e della netiquette nelle sue linee generali. Scrivere in maiuscolo è gridare. E gridare è disturbare gli altri, come in un qualsiasi luogo pubblico affollato.

Per il resto, credo che la miglior regola, su twitter come nella vita, rimanga sempre quella di essere spontanei. E, detto questo, torno a pianificare i prossimi concerti a cui andrò. 

sabato 20 ottobre 2012

Ombre e altri dettagli che stupiscono uno spagnolo in Italia.


“Qui la notte arriva prestissimo. Cioé, alle sette è già buio. Il primo giorno ci son rimasta male”.

Inma si interrompe per qualche istante. Tempo di capire se il vaporetto che ora sta attraccando all'ormeggio di Piazzale Roma sia proprio quello diretto a Murano. Niente da fare. Il suo ragazzo, intanto, apre la bottiglia d'acqua appena acquistata alla coop. Fa veramente un caldo disumano, per essere Ottobre.

“E poi ci sono un sacco di ombre. Proprio tante, anche quando c'è il sole. Con più contrasti, ecco. Non è come da noi, con quella luce accecante che quasi brucia tutto. Non so come spiegare.”


Annuisco convinta, mentre l'imbarcazione della linea 3 fa finalmente la sua comparsa alla fine del molo. Il fatto è che spiegare non serve. Almeno, non a me. Io che ho sempre parlato della luce di Spagna come di qualcosa in cui ti puoi soltanto immergere. Una luce calda, piena, che allunga le giornate e detta gli stili di vita. E t'entra dentro, pronta a mancarti non appena la lasci. E' iniezione di vitamina D nel corpo. Dosi generose di benessere, di quelle che ti causano euforia. In fondo ho sempre pensato che la chiave stesse tutta lì. Tutta negli effetti, fisici e morali, di quell'aumento di luce.

Inma, dalla sua Nazione, c'è uscita adesso per la prima volta. Un boeing di Volotea l'ha portata a Venezia, con l'entusiasmo di un viaggio romantico a strapparle un “qué bonito” all'incirca ogni tre parole. E a me fa piacere constatare in prospettive contrarie il fatto che la mia non fosse solo un'impressione.

In realtà le ho sempre trovate interessanti, le prospettive contrarie. Forse per questo insisto nelle domande, anche davanti ai troppi carboidrati di un pranzo isolano. Ho sempre descritto le impressioni degli italiani alla scoperta della Spagna. Ma cos'è – mi chiedo adesso – che soprattutto colpisce uno spagnolo che viene in vacanza qui?

Con l'aiuto inconsapevole di Inma ho messo a punto un breve elenco, ieri. Ché, ad esempio, si chiedeva perché accidenti la gente salisse sugli autobus anche dalle porte posteriori.

“Non ha senso! Se la gente entra dalle porte da cui si dovrebbe uscire, poi è ovvio che nessuno paghi il biglietto. Neanche volendo, riesci a controllare. Ché poi di controllori, sui bus, da quando sono qui non ne ho mai visto uno”.

Sorrido. Del resto, anche questo l'ho sempre sostenuto. Non ci vuole poi molto, a fare come in Spagna. Si entra dalla porta davanti, e basta. Appena salito, o obliteri il biglietto o ne compri uno dall'autista. Se non compi nessuna di queste operazioni, il conducente ti blocca e non ti fa salire. Risparmi anche in assunzioni, visto che i controllori esterni diventano superflui. E di certo non ci si perde più tempo di quello che ci si impiega ad aspettare che si plachi la massa indistinta di persone che salgono e scendono dallo stesso ingresso. In genere spintonandosi come se non ci fosse un domani. Vabbé.

A stranire il ragazzo di Inma, invece, è l'assenza di ghiaccio nei bicchieri dei ristoranti. Meglio non dirgli che è proprio la sua presenza perenne, invece, una delle rarissime cose che m'infastidiscono in Spagna. Ché sono ipocondriaca, dannazione. Se ho sete voglio tracannarlo, il mio bicchiere d'acqua. Il ghiaccio m'impedisce di farlo, visto il panico da congestione.

Di caffè, in compenso, non ne hanno mai bevuto “più buono che qui”. A colpirli, soprattutto, una minuscola torrefazione di Verona. “E dire che io in genere non ne bevo quasi mai. Qui, però, non riesco a farne a meno. E' tutta un'altra cosa, noi proprio non abbiamo idea”. E poi c'è La pizza. Le lasagne. Lo shock da Carbonara senza panna. La pasta, in generale. In quello sì, che facciamo sempre una bella figura.



Peccato che poi ci siano i treni. Le mille categorie diverse di treni diretti nello stesso posto, classificati in sigle incomprensibili tipo RGV, R, FB, FR, IC e manco una persona a cui chiedere indicazioni. Peccato, soprattutto, che ci siano i controllori veneti. Con quella loro mania di trattare gli stranieri a pesci in faccia. Quella di cui tante, troppe volte, io mi sono vergognata. Ché io non voglio generalizzare, ci mancherebbe. Di amici veneti ne ho tanti, e il razzismo proprio non rientra nel loro carattere, come di certo non è insito nel dna dei dipendenti trenitalia. No, affatto. Al contrario, ne ho trovati spesso anche di gentili.

Però, per qualche strana ragione, nelle tratte ferroviarie della regione veneto ho quasi sempre assistito ad episodi incresciosi di insulti smaccati a persone straniere. Come se quei signori con la giacchetta immacolata delle Fs non riuscissero a capire che l'Italia sono loro. Che il loro atteggiamento è parte integrante del biglietto da visita di tutto un Paese. E a me fa schifo, allora. Fa schifo proprio sentirmi dire da Inma che un tizio strafottente gli ha detto che dovevano pagare 140 euro perchè hanno preso, per errore, un treno diverso da quello di cui avevano prenotato il biglietto su internet. Mi fa schifo perchè non ha provato a spiegarglielo con gentilezza. Macché. Perché mentre loro non capivano il suo italiano veloce con spiccato accento veneziano, lui rideva. E non si sforzava nemmeno di parlare in inglese. Non dico nella loro lingua, ma almeno in inglese. Macché. Se non capisci sei tu in errore, è ovvio. Mi fa schifo pensare che quando una coppia di ragazzi poco più che ventenni ha chiesto gentilmente se poteva fare un bonifico dalla Spagna lui li abbia derisi nel grido di “arriba España, olé, olé”. E di sicuro ha anche accennato alle corride. Lo so perché l'ho giá visto succedere. L'ho visto succedere con algerini. Con rumeni. Con sudamericani. L'ho visto accadere con un gruppo di tedeschi. Con qualche indiano. E persino con svariate persone del nostro sud. L'ho visto accadere sempre sulla stessa tratta. Sempre con la stessa modalitá. L'atteggiamento arrogante, la derisione per stereotipi, lo sbuffare in faccia agli altri,senza neanche sforzarsi di provare a capire.

E vi giuro che, se solo ci penso, mi monta una rabbia che non ho mai provato in nessun caso. Vi giuro che, la prossima volta che mi capita di assistere ad un episodio simile, lo filmo. Quant'é vero Iddio, lo filmo e lo mando in giro ai giornali. Perché é ora di finirla, sul serio.

Poi per fortuna che abbiamo la pasta. E la storia. E dei posti meravigliosi. Per fortuna che Inma sorride di una felicitá assoluta, dicendo ancora che l'Italia é il Paese piú bello che ci sia al mondo. Beata lei.




martedì 16 ottobre 2012

Un viaggio lungo quattro canzoni.


Forse non lo sapete, ma collaboro con il Festival del Cinema Latino Americano di Trieste. Mi hanno chiamata lo stesso giorno in cui ho ricevuto la proposta per la pubblicazione del libro. Ché quando butta bene, butta bene.




La cosa comporta un reminder dei miei primi anni di Università, dato il vistoso incremento dei viaggi mattutini in treno. Viaggi che, come appuravo già allora, durano esattamente quattro canzoni. Lasso temporale del tutto insufficiente all'abbiocco con bava; E tuttavia adattissimo a perdere coscienza su una base musicale. Io ci incastro apposite playlist, per la verità senza sprecarmi troppo in quanto a fantasia. Più che altro, mi cimento nell'ascolto a rate degli ultimi due cd acquistati da Mediaworld. Leggi: Il Cile e Papitwo. Chè - per nome o per lingua- bisognerà pur sempre rimanere in tema. Il primo, l'italiano, é una rivelazione di poesia. Il secondo potrebbe competere solo se si limitasse ai brani dall'otto al dieci. Ma poi c'è la Bimba. E allora...

Sulle loro note, ad ogni modo, il mare si spalanca. Succede appena voltata la curva, dietro al finestrino sporco del mio “senso di marcia” . Quasi lo calma, il brodo primordiale di pensieri che ho in testa. Anzi, non lo fa per niente. Però l'emozione è ancora la stessa che mi provocava anni fa.

E' un ambiente friendly, quello del Festival. Fatto di persone che ti danno del tu prima ancora di incontrarti. Di esse marcate. Bi che sembrano vi. Frasi di lingue armonicamente abbracciate e accenti che da soli valgono la mia allegria. A completare il quadro, addetti stampa provati dalle troppe notti insonni, trailer di film che vorrei vedere (quattro, come le canzoni) e caffè sorseggiati al tavolo di un bar che non sapevo fosse greco. Con la scritta dolmadakia, manco a dirlo, a perseguitarmi gigante sopra una lavagna nera.

In realtà inizio a pensare che 'sta storia degli involtini sia tutta una sorta di vendetta da parte della Spagna. L'entità Spagna, intendo dire. Non i suoi abitanti. Una specie di mood nazionale che aleggia nell'aria. E tutto vede. E tutto sa. Una gigantesca donna immaginaria che ha appena trovato tracce di un rossetto non suo sulla camicia a righe del marito. Insomma, magari si sente un po' tradita. Le vacanze in Grecia, il tentativo di ricrearne la cucina... un po' sarei gelosa anch'io. Vaglielo a spiegare, che non ne ha motivo!

Comunque, dicevo del festival. Perchè a comporlo, soprattutto, c'è un sacco di gioventù. Ragazzi e ragazze che mi basta poco a prendere in simpatia. Sarà la conoscenza della lingua ispanica, il sorriso cordiale, magari la cadenza bolognese di una di loro, che tanto mi riporta agli anni emiliani. Insomma, che ne so. Il punto è che mi ci trovo bene. Per cui mi capirete se aggiorno un po' meno il blog.

Tra parentesi, mentre attaccavo locandine gialle mi sono innamorata di un vestito griffato. Novanta euro, tanto per gradire. Proprio nel periodo in cui più di altri dovrei risparmiare. Ché io ci ho provato, a improvvisare un crowdfounding su twitter. Un euro a testa, daaaai. Ma, niente. La gente, per le giuste cause, non s'impegna mica. E dire che era così carino, d'un verde smeraldo un po' tendente al blu. Con l'arricciatura sulla scollatura. E il fiore. E la gonna corta. Mi sarebbe stato bene. Tzé.

Se è per quello, prima di una conferenza stampa, mi sono anche innamorata di un completino intimo visto da Tezenis. Per il bene della mia reputazione di donna ancora un po' sana di mente, probabilmente non dovrei descrivervelo. Solo che mi piace troppo. E' rosso bordeaux, a pois bianchi, con i pizzetti sul bordo delle mutande e del reggiseno. 'Na roba da Minnie, insomma. Però taaanto carino.


(Questo un po' ci somiglia, ma non é quello che intendo io) 


Al diavolo. Io, quando sono contenta, le vetrine non le dovrei proprio guardare.

Perchè butta bene. Caspita, se butta bene.
Ad esempio: ora che ho firmato il contratto, mi contatta pure un'altra casa editrice. Mi vorrebbe pubblicare anche lei, in barba al mare di rifiuti che avevo ipotizzato. Che sarebbe stato logico ipotizzare. Mi offrono un sacco di servizi promozionali, roba da non crederci. Compresa la tivù. Ovviamente è troppo tardi. Ovviamente, l'esclusiva già concessa ad altri ormai m'impone il no. D'altronde non che me ne penta, anzi. Oltrettutto la tivù mi avrebbe moralmente obbligata all'acquisto di quel vestito. Non era il caso, capite. Son contenta così.

Solo che mi sento contesa come una dama tra due cavalieri medievali. E al brodo primordiale s'aggiungono ulteriori pensieri. Del tipo:

“Ma davvero quel che ho scritto é così buono? “

Oppure ho solo tanto culo?

Ai posteri l'ardua sententia. Nel frattempo, mentre procedo con gli esorcismi anti-karma, credo di aver trovato la playlist ideale per andare a Trieste in treno. Inzia con "Il nostro duello de Il Cile", che youtube curiosamente non propone. La seconda é il duetto di Bosé con il "mio" Dani, che ho riportato giá qualche post fa. Per le altre due, basta cliccare play.  




giovedì 11 ottobre 2012

Editori, euforia e cieli grigi.


In fondo sembra un giorno come tanti. Pensarlo mi fa quasi venire il nervoso.
Però è innegabile, dai. Basta dare un'occhiata in giro.
C'è il computer acceso, davanti alla pila di dischi che dovrei spolverare. Un'altra pagina bianca da riempire su word. La vecchia, triste, agenda de Il Piccolo ancora troppo piena di scarabocchi e di cose da fare.
Tutto come sempre. Tutto uguale.
Il cielo, pure lui, sembra fregarsene di come sto. Sta lì, ad abbracciarmi di un grigio che già mi va stretto. A regalarmi un autunno che, per la prima volta, avevo atteso impaziente. E me ne pento, adesso che ho una felpa da indossare.
Tutto uguale. Già. Un'overdose di nonostante, mentre io la notte non riesco neanche più a dormire.


E sogno che sarà pretesto a un sacco di reincontri. Immagino i fiori, i sorrisi, il vestito che indosserò. Immagino che, leggendo questa frase, ora stiate pensando che mi sposo. Il che mi strappa una risata sincera.

No, amici. Niente di tutto questo.
Semplicemente, ho realizzato il sogno di bambina.
Semplicemente, una casa editrice pubblica il mio libro.

Ebbene sì.

Ho firmato il contratto ieri, dopo un giorno di pianti liberatori e orecchie attaccate alla cornetta del telefono. Da quel momento, tutto è un po' cambiato. Migliorato. Anche se il mondo esterno non lo vuole capire.

E' da un po' che cerco le parole per spiegarvelo. Ma non è facile trasmetterla, tutta questa mia euforia. Una persona normale, d'altronde, sarebbe ancora ubriaca. Persa a biascicare frasi sconnesse in un angolo d'asfalto, che ne so. Io, invece, ho bevuto solo un goccio di Cinzano. Che tra l'altro mica lo sapevo, che somigliasse cosí tanto al Martini. Vabbè. Niente. Il fatto è che non sono una persona normale.

E cerco di accorciarle, quelle dannate notti. Perché dentro al loro assurdo silenzio sembra sempre tutto una stronzata. Perchè, mentre non dormo, penso che non piacerà. Che mi prenderanno per matta. Che alle presentazioni, invece, non verrà nessuno.

Di giorno, invece...oh, di giorno torna ad essere un'idea carina. Originale, se non altro. Che poi é la cosa che mi piace di piú. Di giorno é un surplus di complimenti a prescindere. La sensazione bella di sentirsi orgogliosi di sé. E' il motivo per cui di notte non scrivo, d'altronde. Al contrario di tutte le persone normali.

Comunque. Il punto è che io non lo so, come andrà. Nessuno può saperlo.
So, però, che per tutta la vita ho sognato di vedere il mio nome sulla copertina di un libro.

E che, finalmente, lo vedrò.
So che, al di là di tutti i dubbi, ho paura del Karma. E la paura del Karma mi viene solamente quando sono felice davvero.

La trama non ve la svelo, ancora. Però sappiate che dovrebbe uscire prima della fine del mondo. Insomma, per non comprarlo non avrete neanche quella scusa.  

sabato 6 ottobre 2012

L'Italia dei Flashmob flamenchi.


Dovuta premessa per i meno informati: la Biennale di Siviglia é, senza ombra di dubbio, evento cardine per la cultura flamenca. E in occasione della sua conclusione, lo scorso 29 Settembre, la rete si é data da fare per dare ancora lustro al senso del suo nome. Tutto é partito da un video. Una coreografia di Rafaela Carrasco, corredata di apposito appello,  che da youtube ha fatto il giro del globo. Chiedeva, Raffaela, di riunirsi nelle piazze, rigorosamente in abiti civili. Chiedeva di ripetere i suoi passi, nient'altro. E nello stesso istante, tutti assieme, cominciare a ballare. Come se la terra fosse un unico tablao. 

Si trattava, insomma, di celebrare la passione che riesce a rendere un po' piú simili tante vite altrimenti diversissime. Di festeggiare quell'arte cosí peculiare che che le rende in fondo parte di una stessa famiglia senza limiti geografici o d'etá.

Beh, missione compiuta. 

Sí. Perché, a quell'appello, hanno risposto in migliaia. Da Londra al Messico. Da Siviglia  a Lubiana, passando per Buenos Aires, Budapest e Shangai. Ovunque, alle tredici in punto di quella stessa giornata, la comunitá flamenca s'é fatta sentire. Al suono della stessa musica ha stupito i passanti di sorrisi e di palmas. Di tangos e voglia di lasciarsi andare. 

E oggi, guardando quei video, io non riesco a non provare invidia per chi c'era. Ogni singolo play mi indonda di entusiasmo. Di emozione. Di energia. Tanto che – lo ammetto – faccio fatica persino a spiegarvelo in parole. Per cui sapete cosa? Premetelo anche voi, il play. Scopritela anche voi, l'Italia filoispanica che amo. 

Ché poi ogni flashmob ha le sue peculiaritá. Per esempio, eccovi quello milanese, sotto il cielo grigio degli stereotipi. 





O quello bolognese. Poco affollato, ma non per questo meno sentito. 




A Padova sono state coraggiose. Ballare su quel marciapiedi gonfio d'acqua giá dev'esser difficile di per sé. Loro, poi, l'hanno fatto addirittura con le scarpe professionali. Quelle coi chiodini sotto, per capirci. Che non si siano rotte una gamba, secondo me é quasi un miracolo. 





Le riprese di Torino sono tra le piú curate, mentre la coreografia assume un pizzico di mobilitá in piú. 





Il mio flashmob preferito, peró, resta senza dubbio quello di Roma. L'affluenza massiccia. Il sole alto nel cielo. E la gente che continua a ballare. Anche se i vigili spengono la musica. Anche se un'auto municipale si accinge a disperderli. 

Ballano. Loro ballano ancora. Come se niente li potesse fermare. E allora gli spettatori, solidali, li accompagnano in un crescendo di palmas. Nelle esortazioni. Nella gioia incontenibile di essere lí, in quel preciso istante. Lí, per dire al flamenco: “io t'amo, davvero”. 


mercoledì 3 ottobre 2012

L'ultima Blogfest prima dei Maya.


Timidezza. Alla fin fine, a fregarci, è sempre lei. Ne discuto con Francesca, sedute su una panca in legno nel cuore di una cittadina sul Lago. Tutt'attorno, il nostro pane quotidiano di parole scritte ha di nuovo assunto corpo e accenti. Sono gli autori – anzi, sono proprio i personaggi – del libro senza fine che leggiamo sullo schermo del pc. Sconosciuti che conosciamo, e che probabilmente conoscono noi. Basterebbe così poco. Basterebbe...sì, soltanto avvicinarsi. Presentarci con il nick che abbbiamo appeso al collo. Esplodere di sorrisi. Forse stringere qualche mano. Eppure, assurdo, ad entrambe ora sembra fuori luogo. Inopportuno e strafottente almeno quanto chiedere “ti ricordi di me?” a un personaggio pubblico che ti ha firmato un autografo circa dieci anni fa.




Timidezza, già. Ma è davvero questo? O è piuttosto il fatto che non sapremmo cosa dirci, qui, dal vivo? Con quelle persone interagiamo online. Ridiamo alle loro battute, ne condividiamo i pensieri. Che le ammiriamo, a conti fatti, già lo dice la stellina di un Fav. E in fondo è pure questo, la blogfest (si noti lo sforzo nel parlarne al femminile). E' anche stare ad osservare gli altri come dietro a una vetrina, mentre ti limiti alla compagnia di sempre. O, nel caso specifico, a quella di una collega universitaria rivista dopo piú di due anni mentre tifi Giallo Zafferano ai Macchianera Awards. Nonostante i Dolmadakia, ebbene sì. Bisogna pur saper perdonare gli errori.


Scorci da Piazza Battisti, Riva del Garda,  fulcro della Blogfest 2012



Comunque, resta il fatto che è un peccato. La storia della socializzazione, dico. Che poi non ho mai avuto problemi, a rendere reali le amicizie fatte online! Solo che, a ben vedere, prima d'ora c'era sempre stata in mezzo una passione. Un collante fatto di musica e di file ai concerti. Una premessa che bastava a rompere il ghiaccio rendendo superfluo ogni formale “piacere”. Mentre adesso non è che con Gabardini posso mettermi a parlare di musica pop spagnola. Per dire. Anche se mi travolge mentre sono intenta a scrivere un sms.

Peró non é giusto esordire cosí. Voglio dire, con un incipit del genere penserete che io sia qui a incastrare lamentele. E invece la Blogfest , come manifestazione, continua a piacermi un casino. E no, non é solo perché basta twittare un apposito hashtag per sbafarti gratis qualunque cibo o bevanda nel giro di duecento metri. E nemmeno perché mi son portata a casa quattro litri di rum vinto a un concorso online della Bacardi. Ché magari aiuta, va bene. Ma il mio amore per questo “raduno di chi usa la rete” va ben oltre al grezzo materialismo alcolico. Diciamo che passa, soprattutto, per la cura dei dettagli. Per le community manager di Garda Trentino che ti danno il benvenuto personalizzato in rete non appena ti palesi al punto di accoglienza. Per il ritmo incalzante di una cerimonia di premiazione che non fa pesare le ore che dura, né tantomeno le celebritá che ospita in platea. E, soprattutto, passa per i sorrisi. Sí, i sorrisi. Per quel clima di euforia da gita scolastica che leggi sulle timeline e si riflette nei volti. Negli abbracci. Nelle conversazioni. Ritrovarsi. Celebrarsi. Questo é.

Navigare...nell'alcol. 



E poi ci sono i barcamp, che a loro volta sanno essere interessanti un bel po'. Soprattutto il writecamp, che per ovvie inclinazioni personali era anche quello che attendevo di piú. Oltrettutto ha avuto luogo al suo interno, uno dei momenti piú sinceramente esilaranti dell'intero weekend. Parlo della messa laica di Azel, mister twitter 2012, che si meriterebbe l'inserimento ad onorem nel cast di Zelig. Il merito delle mie lacrime d'ilaritá lo condivide con lui lo staff di Vendommerda, che con le premiazioni al “peggior tweet” mi ha fatta stare in ansia, lo ammetto. Ma, mentre speravo non ci fosse di mezzo roba mia, mi sono sentita una persona normale. Quasi saggia, persino. Oltre al dato ovvio, giá ribadito e scontato, che mi sono divertita da morire. Ci rivediamo l'anno prossimo, blogo (e twitto) sfera! 




(Per una lista completa dei premiati ai Macchianera Internet Awards, consultate questo link)

martedì 2 ottobre 2012

2 Ottobre: Dani Martín Day (Grazie a Miguel e Tony) .


Oggi é uno di quei giorni che sanno d'inizio. Di quelli in cui ti immagini scenari fatti di ceste in vimini. Le vedi colme di vino e spaghetti. Di attese agli aeroporti e cartellini col nome. E' uno di quei giorni in cui la mente, no, non la riesco proprio a frenare.

D'altronde, capirete: c'ho le mie ragioni. Da almeno sette anni lotto per un sogno che una parte di me – la parte razionale – non ha mai creduto potesse sul serio farsi realtá. E adesso quella parte sembra ormai sconfitta. Finalmente. In barba a tutte le volte in cui ho fantasticato su ragazzi che invece non mi avrebbero mai filata, su posti di lavoro per cui non mi avrebbero mai ricontattata, su case e panorami in cui non avrei mai vissuto. Oggi é la trionfo dell'illusione. La vittoria della speranza. Oggi dimostro che ho ancora una via d'uscita dall'eccesso di concreto. E mi riguadagno il diritto d'essere bambina.

Il mio entusiasmo, allora, é un fiume in piena. Una bomba che esplode nel cuore per bruciare ogni frammento di pelle, unghie ed ossa. Oggi sono euforica. Monotematica. Irrequieta. Saltellante. Stridula. In una parola sola: insopportabile. Abbastanza, a dire il vero. Peró voi non lo sapete, non lo immaginate neanche, quanto questo mi faccia sentire bene.

Ché la gente mi guarda come fossi un'aliena. Chiede “per cosí poco?”. Davvero non capisce, che mi basti “cosí poco”. Solo che quel poco é il nome di Dani Martín sulla tracklist di un disco in vendita in Italia. Quel poco é la sua espressione emozionata nel video in cui duetta con Tony Bennett. E queste, per me, sono le due righe iniziali di un libro ancora tutto da scrivere. I primi abozzi di quel disegno che cercavo di mettere insieme sin da quando passavo i pomeriggi a cercare su google italiani a cui piacesse El canto del Loco per invitarli a iscriversi al forum. O a contattare i festival musicali, le radio, le piccole sale segnalandone nomi e contatti. A stressare la Sony, pure. Perché no? 

Forse, in effetti, un'aliena lo sono. Anzi, probabilmente sono proprio un'idiota: diciamo le cose come stanno. Peró non ce la faccio, non oggi, a parlarvi giá della blogfest. Oggi c'ho la mente groupie, punto e basta. Quindi, se comprate “Papitwo” di Miguel Bosé, pensatemi. Se il ventitré ottobre comprerete “Viva Duets” di Tony Bennett, pensatemi di nuovo.

Quanto a questo video, devo dire che oltrettutto lui mi sembra bellissimo. Ecco. Sará per via del sorriso. Sará che sono orgogliosa come fossi sua madre. O magari sará che sono stridula. Sí, essere stridula ti porta anche a dire cose cosí.