sabato 29 dicembre 2012

Autocitazioni dal duemilacinque.


Chiudo un libro. Apro un diario. La vita, in fondo, è tutto un aprire e un chiudere di pagine.

Ci sono storie in cui ti rispecchi. C'è qualcuno che ha scritto di te,e nemmeno lo sa. E chissà di quanti altri ha scritto ancora! Perchè no, non sei così unica come credevi. Ma non è una delusione. Rileggersi in un'altra storia è sentirsi meno soli, meno alieni al mondo. Se pensi che c'è qualcuno che agisce e pensa come te non hai paura di sbagliare.

Nessuno sbaglia, siamo solo diversi. Tante storie da catturare su altrettanti libri”.




Uno dei miei tanti, vecchi, diari si apre così. 3 Settembre 2005, recita la data. Ed è oltremodo inquietante constatare che a vent'anni ero parecchio più saggia di ora. Comunque. Leggere di cose accadute anni fa, cose che nemmeno ricordi, è un ottimo surrogato di romanzo. L'ideale, finchè non mi decido a ritornare in biblioteca a sfoltire ulteriormente la mia wishing list di Anobii. Nello specifico, poi, la trama è bella densa. Chè il duemilacinque mica è stato un anno come gli altri. Nossignore. Io ho scelto di rivedermi nei ritmi serrati della transizione. Nell'ossessivo countdown verso quello che avevo deciso che sarebbe stato il mio ultimo concerto di Cesare Cremonini prima di allontanarmi dalla cerchia dei suoi fan. Era giunta l'ora di troncare alcuni rapporti, altrimenti non sarei cresciuta mai. Sapevo che avrei pianto, pure. Sapevo perchè. Sapevo, e so oggi più che mai, che era la cosa più giusta da fare. E mi rivedo ai primi anni dell'università. Al corso di spagnolo che inizia ad aprirmi mondi nuovi. Ai testi frammentati in lingua castigliana che, pagina dopo pagina, si fanno sempre meno zeppi di errori di ortografia. Parlo di nuove conoscenze fatte a lezione, nell'ultimissima riga di quei tanti fogli a quadretti. Senza sapere dove, di lì a pochi mesi – a pochi giorni, anzi – quelle nuove conoscenze mi avrebbero portato. A un disco. A un mondo. All'Erasmus. Al titolo di un blog. Senza sapere che tutto ciò, magicamente, avrebbe finito col dare nuovi sensi a quello stesso passato. In un disegno fin troppo perfetto per sembrare agli altri vita vera.

La ragazzina che rileggo in quel diario è una bella persona. Migliore di quella che è poi diventata. O per lo meno, così mi sembra ora. Sorrido del suo parlare di libri, con l'acceso fervore di una delle poche Passioni che non le è mai cambiata nella vita. Del suo scrivere a tarda notte, abbozzando storie, titoli e agghiaccianti profezie. Amava l'amore, quella ragazzina. In un romanticismo che riesce ancora oggi a risultarmi toccante. Con la tenerezza di chi sta a metà tra l'esser grande e il sentirsi ancora bambina. Era circondata di amici – pochi, però i migliori. Di feste, di una marea di sogni. E si perdeva, di tanto in tanto, nei deliri dei suoi viaggi mentali. A volte inventava storie per ogni sconosciuto che incontrava in treno. Microracconti comici su ipotetiche anime gemelle. Faceva autoironia (ma solo sulla carta) sulle sue stesse paranoie. Chè ne aveva tante, di paranoie. Tante, troppe, per ogni cosa. Lei era insicura da morire.


Per questo, piú di sette anni dopo, quella ragazza la vorrei abbracciare. Dirle di buttarsi, che non ha proprio niente da temere. Perché ancora non lo sa, quante belle cose ha in serbo per lei la vita. Quanti viaggi. Quante soddisfazioni. Quanti sogni realizzati. Cose che adesso, nel duemilacinque, le sembrano addirittura impossibili da immaginare. E di quante altre meraviglie avrebbe potuto godere, se solo avesse avuto il coraggio di mostrarsi com'era davvero! Lì, in quel momento, finchè era lontana dalla disillusione. Dalle invidie, dalle gelosie, da quel genere di sentimento bieco che ti fa star male il doppio: perché lo provi, e perché ti vergogni di averlo provato. Se solo fosse sbocciata prima. Nel duemilacinque. Quando le idee fluivano più fluide, senza chiedersi chi le avrebbe lette. Quando ancora non era invischiata in quella rete di pigrizia e rassegnazione che ogni tanto, più tardi, le avrebbe impedito di ballare  sul mondo con passi inventati da lei.

Io vorrei essere ancora in grado di crederci, che da qualche parte al mondo esiste la Persona Giusta. Di fantasticare sull'Amore, con la sua bella A maiuscola, col candore ingenuo che non mi sono accorta di aver perso. Quando, poi? Eppure, per quanto a rilento, in fondo poi tutti cresciamo.

Ma c'é una frase, in quel diario, che più d'altre mi ha colpito.

“Vorrei riuscire a diventare una donna sicura di sé”- diceva. “Allegra e sicura di sé, anzi. Perchè allora sì, che riuscirei a far innamorare”.

Mi fa impressione, perchè soltanto pochi giorni fa qualcuno mi ha definita esattamente così. Cioé, ha detto proprio “allegra e sicura di sè”, capite? Testuali parole. Mi ero del tutto scordata che era quello che desideravo. Allora mi chiedo se lo sono diventata davvero, o se è soltanto l'immagine che sono riuscita a dare. Ma forse già il fatto di chiedermelo dimostra che quella ragazzina, da qualche parte, è ancora viva dentro me. Viva e in completo torto, se non altro in questo.

Ché, almeno al momento, non credo di aver fatto innamorare nessuno. Non che, del resto, m'importi. Non che sia più una priorità.



O sì?

giovedì 27 dicembre 2012

App gratuite per filo-ispanici col cellulare in mano.


Una borsa in pelle nera. Capiente. Multiuso. Da concerto e da sera, in parti uguali. Le decolleté di cui tanto vi avevo parlato, col quasi-tacco-12 su cui nessuno crede che io sappia camminare. E poi dei trucchi fatti in casa. Un cappotto elegante da indossare alle prossime occasioni mondane. Insomma: di cose belle, il vecchietto barbuto me ne ha portate un bel po'.

Tra tutte, c'era pure uno smartphone di ultima generazione. Uno di quelli veri, intendo. Con la connessione wifi, le icone a scorrimento, e un design da vera donna in carriera. Uno di quelli con cui, anche dall'estero, in un paio di secondi hai già twittato la foto. Mi aspettava lì, dentro a un pacchetto piccolo, avvolto da strati di carta crepe blu.

Ora: il dato magari vi sembrerà irrilevante. Ma è servito a catapultarmi nel magico mondo delle app per android. Nonché, come diretta conseguenza, ad ideare questo post. Sì, perchè è bastato inserire la parola “Spagna” nell'apposito motore di ricerca per scoprire che la tecnologia non si è affatto dimenticata di noi. Dove per “noi” intendo tutti gli italo-spagnoli sparsi per il mondo, che lo siano per nascita o per vocazione; per diletto o per lavoro; per passione o per necessità.

Così, ho scelto di proporvi, a seguire, una selezione degli accessori che ogni filo-ispanico dovrebbe portare con sé sullo schermo del cellulare. Se ne conoscete altre, le segnalazioni sono benvenute. Basta che teniate a mente la sola, imprescindibile, norma dei Paesi in crisi: il download dev'essere gratis. Buona lettura. E, soprattutto, qué las disfrutéis!



Utility- In viaggio


Per quanto bene crediate di conoscere la lingua, c'é sempre la parolina che sfugge. Il lapsus improvviso. Quel concetto che sai bene come esprimere in uno dei due linguaggi (non necessariamente quello di nascita) ma che, lí per lí, proprio non ti esce nell'altro. Ecco perché un vocabolario a portata di mano é sempre e comunque una buona idea. Su Google Play Store se en trovano a migliaia, tutti a costo zero. Questo é uno dei piú votati dagli utenti.

Se, invece, preferite il mono-lingua, potete scaricare quello della Real Academia Española (RAE): senza dubbio il piú prestigioso e affidabile per parlare un castigliano senza macchia.


Per sapere che tempo fa e fará nel corso della vostra permanenza in terra di Cervantes, con previsioni aggiornate fino a 10 volte al giorno. Ci sono tutte le principali cittá.



Se, nonostante i tempi che corrono, vi sentite cosí ottimisti da voler mollare tutto e cercare lavoro nell'altra vostra Patria, quest'applicazione potrá senz'altro aiutarvi. Vi sono raccolte tutte le principali offerte pubblicate dalle aziende locali, divise per categorie e settori. In bocca al lupo.



Niente di meglio per mantenersi aggiornati sull'attualità: vi trovate più di 140 testate giornalistiche e 40 riviste di ogni genere. Come se non bastasse, l'applicazione vi dà la possibilità di condividere le notizie più curiose o interessanti su tutti i principali social network, oltre a quella di raccogliere in un'apposita lista-preferiti i quotidiani che leggete più spesso.


Per guardare in streaming sullo schermo del vostro cellulare le programmazioni delle principali emittenti televisive iberiche, sia nazionali che delle singole comunità autonome.

Se, invece, siete serie-dipendenti, qui potete seguirne gratis ben tre tra le più note in Spagna: Aida, Aquí no hay quien viva e La que se avecina.


Giochi/Intrattenimento


La primissima app che ho scaricato (beh, dopo l'antivirus e l'immancabile Instagram): un quiz in pieno stile “chi vuol esser milionario” con domande (in inglese) sempre aggiornate sulla Spagna a cui rispondere nel minor tempo possibile. Siete dei veri filo-ispanici? Provatelo qui!




Una serie di puzzle componibili online con le migliori immagini della nostra amata terra. Consigliato anche per i piú piccoli.


Raccoglie un insieme di video che vi illustrano come cucinare i principali piatti della gastronomia spagnola. Unico avvertimento: sono in inglese.


In qualitá di fan dovevo includerla, capitemi. Se come me amate la musica di David Otero (alias El Pescao) non potete perdervi questa sua app ufficiale: include link ai suoi video, ufficiali e non, e soprattutto ben due quiz con domande su di lui e sulle sue canzoni. Sicuri di saperne piú di me? Vi sfido! 

Per amanti del Flamenco


Studiate flamenco? Allora il download é quasi obbligatorio: questo metronomo virtuale vi aiuta a esercitarvi a tenere il tempo di tutti i principali “palos” (stili) del flamenco: dalla bulería al fandango, passando per il tango e l'alegria. Ci sono anche incorporate alcune “palmas”.


Ma se é sulle “palmas” (caratteristico battito delle mani) che volete allenarvi, é forse piú questa a fare al caso vostro. Ce ne sono per tutti i gusti, con delle linee guida da veri professionisti. Uno, , y...


Se, invece, vi sentite piú che altro dei provetti musicisti, grazie a questa app potete suonare la chitarra spagnola direttamente dal vostro cellulare.


Cajón

Qui, invece, potete esercitarvi col cajón


Per filo-ispanici “patriottici”


L'orgoglio spagnolo é talmente radicato in voi da voler palesare il vostro amore a tutti? Allora perché non scaricare l'Inno nazionale, e magari impostarlo come suoneria?

O magari fare sfoggio di una bella bandiera rosso-gialla che sventola mossa da un vento immaginario?



La migliore – e forse piú utile – tra le app patriottiche, tuttavia, resta a mio avviso questa. Insomma, vi sará senz'altro capitato di ritrovarvi al buio e dover utilizzare il cellulare come unica fonte di luce. Beh, é proprio pensando a quelle occasioni che é stata inventata l'ormai comunissima “torcia”. Ed é pensando a noi innamorati di Spagna che, oltre a illuminare, é stata dotata dei nostri colori, in un campionario che spazia dalla luce giallo-rossa alla bandiera rettangolare, passando addirittura per il campo di calcio con lo stemma della Selección nel mezzo. Imperdibile.


lunedì 24 dicembre 2012

In definitiva, Buon Natale.

Era qualche giorno fa, o forse soltanto ieri. Il concetto di tempo, in periodo di feste, sfugge sempre un po'. Comunque. Chiedevano, su erretielle, da quali piccole routine annuali fosse composto il nostro Natale. Cioè, loro in realtà dicevano “da cosa lo capite”. Come se non bastassero il calendario, le uscite discografiche e le duemilaseicento pubblicità a tema. Ma tant'è. Il punto è che ci ho pensato. Ci ho pensato a lungo.

Per me il Natale è colla e cartoncino mentre mi suona in testa Jingle Bells. E' l'agenda de il Piccolo infilata in attesa sotto alle pagine dell'anno che sta per finire. E' il cigolio del tavolo in salotto, che va ampliato per la cena. Le imprecazioni di mio padre: chè l'impresa, al primo colpo, non gli riesce quasi mai. Natale è l'odore del brodo. La maionese sul cotechino. Il Kren (scusate, rafano) piccante portato da mio nonno, assieme a una bottiglia di rosso di cui usufruiremo solo in tre. E' l'eterna partita a Risiko in cui non riesco mai a conquistare la Spagna. E le pedine rosa, giù le mani, sono mie. Ancora, è l'accurata scelta della colonna sonora per la sera. Ché dev'essere composta da dischi usciti quest'anno. O almeno, da canzoni che in qualche modo ne siano state rappresentative. Poi nessuno ci presta attenzione. E “tieni il volume basso”; e “c'è da chiacchierare”. Però continua a riempirmi di inspiegabile  soddisfazione. Natale è mia nonna che se le sente perchè ha dimenticato a casa gli occhiali. La gattina che gioca coi nastri dei pacchetti, nel miagolio inquieto di abitudini spezzate. E' il dolce che da anni m'incarico di preparare. Quello che stavolta rimando a Santo Stefano, colpa di un surplus di panettoni e raffreddore. Quest'anno, sgradita new entry, Natale ha anche il sapore acre di un'aspirina. Eppure ci riesce lo stesso, a significarmi felicità.

Pigrizia e felicità.

Pigiama, abbuffate, e felicità.

Famiglia e felicità.

E infine occhi con la forma dello schermo del pc. Stremati dall'assemblaggio di immagini, nel montaggio di quei video di cui vi parlo da un po'. Se mai foste curiosi di vederli, eccoli qui. Uno scanzonato, pieno di allegria: tradizione di un fanclub. L'altro più formale, artistico, commissionato di apprezzamenti dalla solita Galleria. Una cosa, però, l' hanno in comune: il riassunto di un anno. Un anno che per me – lungi dal timore di parlare troppo presto – è fino ad ora stato eccezionale.

Non importa quale preferiate. Se vorrete vederli oppure no. In ogni caso, a tutti voi, auguri.




sabato 22 dicembre 2012

La prima presentazione non si scorda mai. Forse.


Cinque stelline su Anobii. Svariati commenti entusiasti. E un Cardo battezzato Riccardo, in pieno stile Kinder Sopresa. Non chiedete. A conti fatti, io il bilancio lo riassumerei così.

Anche perchè, se proprio devo essere sincera, i frammenti di ricordi adesso non li so ordinare. Sono flash confusi. Immagini orfane di montaggio. Sovrapposizioni spazio-temporali di emozioni forti. Soprattutto, s'è parlato troppo bene del mio blog per non avere neanche un po' d'ansia da prestazione.

E' che Giovedì è stata una sbornia colossale, ecco la verità. E certo è strano a dirsi, visto che il Prosecco è rimasto una mia illusione. I vuoti di memoria, tuttavia, io me li so spiegare soltanto così.

Ché per quanto mi sforzi non ci riesco, a tirare le fila del mio stesso intervento. Cioè, so di aver menzionato l'evoluzione del personaggio di Penelope. Di aver pensato a Cinzia parlando del Fanclub di Ulisse. Credo anche di aver accennato all'importanza del suono. Perchè la musica, per me, c'è sempre e ovunque: figurati se manca dentro alle parole. Ricordo pure di essermi sorpresa per la risata corale su quell' “Omero, scusa” che apre il libro. Di aver concluso che è proprio una risata il migliore dei regali. Però dopo. Per il resto. Boh.




Sono polaroid ancora in fase di sviluppo, come quelle di una notte brava. Di Grace con in testa un cappello non suo all'ingresso del Liceo di Malaga. Avevo già trangugiato troppi chupitos al bar di fronte. Eppure non ho idea del perchè mi torni in mente proprio ora.

Una sbornia, indiscutibile. Sì, sì. A dire il vero, anche i postumi me li sto ancora trascinando dietro. Quelli di Giovedì, intendo. Non quelli dell'erasmus. Cioè, un po' anche loro. Ma insomma...il fatto è che ti ingannano. Ti ingannano sempre. Dicono che la prima volta non si scorda mai, più o meno in tutti i campi. Ma la prima presentazione del mio primo libro non è che un vortice colorato di puntini di sospensione. Avrei avuto bisogno del video, accidenti. Sarebbe stato necessario. Possibile che l'auto di chi se ne sarebbe dovuto occupare non potesse scegliere un'altra giornata per andare in panne? Più che altro, per quale astruso motivo tutte le auto e tutti gli elettrodomestici si rompono sempre prima di Natale? C'entreranno i Maya pure lì? E perchè, se le foto le fanno degli uomini, non si riesce ad avere una visuale intera del mio bel vestito nuovo? Capirete, son domande che una si pone.

Comunque. Una scoperta l'ho fatta, Giovedì. Ed è che se sono emozionata mi trema leggermente l'interno della guancia sinistra. Giuro che non me ne ero mai accorta, prima. Anzi, magari non avrei dovuto scriverlo. Ché adesso starete tutti lì a dirmi “ah-ah, ti sei emozionata!” quando invece avrò freddo o un principio di Parkinson. E vallo tu a spiegare. Ma vabbé.

Ad ogni modo emozionata non lo ero poi molto. Non quanto mi sarei aspettata, almeno. Mi sembrava tutto naturale. Tutto in famiglia. Complici, forse, anche le facce note. Facce che non rivedevo da un po'. L'amica d'infanzia. La cugina. Il compagno di classe delle medie, anche lui secchione quanto a temi in italiano. E poi la mia accompagnatrice ufficiale ai concerti in Italia,c'era pure lei. L'unica ad essersi accorta del mio bracciale-groupie, ormai eletto a portafortuna ufficiale. In fondo è nei ringraziamenti, il tipo “coi trattini in basso a incorniciargli il nick” . Anche se presumibilmente non lo saprà mai.

Ricordo che mi scappavano sorrisi, ogni volta che la porta si apriva sui loro volti. E poi ricordo che, come sempre, nel casino dei miei cassetti era improbabile trovare un paio di collant. Ricordo che si poteva avvertire - sarebbe bastato solo un po' più di silenzio – il rumore d'ingranaggi provenirmi dal cervello. Le copie di “#Odissea” sparivano dal banco. Una dopo l'altra. Tra banconote per cui calcolare il resto e dediche scritte via via sempre peggio. Di sicuro, in modo sempre meno originale.

Ricordo che in qualche momento, mentre ci pensavo, sono riuscita anche a rovinarmi lo smalto. Quello che stavo asciugando in movenze pseudo- flamenche mentre Riccardo Il Cardo faceva il suo ingresso trionfale. Ho visto la scia viola barra bordeaux trasformarsi in grazioso ghirigoro sul nylon strappato di un'altra confezione. Poi ho scoperto che è difficile, camminare sui sampietrini col tacco alto e uno scatolone in mano. Che puoi rischiare di addormentarti sopra a un gustoso risotto, se c'hai il calo di tensione. Che la torta sacher, con la glassa morbida, è più buona. E la "mia" era pure bella, ammettiamolo. Stupenda, con la doppia dedica a tema.





Ricordo l'allestimento, ancora. Lo striscione vagamente megalomane da portarsi in tour per ogni prossima occasione. La sorpresa di trovarci il mio nome scritto in grande. La meraviglia. La novità. Il ciondolo a forma di quadrifoglio che già si appresta a brillarmi addosso.



Ma soprattutto ricordo – e questo credo che non lo scorderò mai – il braccio alzato di una donna sconosciuta.

“Mi hai talmente incuriosita”, ha detto, “che ho lasciato a casa due figli e un marito per venire qui ad ascoltarti”. Ha aggiunto che nel mondo c'è bisogno di ironia. Che l'ironia può derivare solo dall'intelligenza. E che, proprio per questo, m'augura ogni bene.

Stavo ancora soppesando nella testa le sue parole, quando un altro sconosciuto, uno col nick “Ulisse da Troia” ha postato su twitter la foto del mio libro.


“Sto morendo dal ridere, ti giuro”, mi ha poi detto, al di là di inevitabili battute.

E, nella concatenazione di episodi, in una vanità che spero non si protragga troppo, ho tirato un sospiro di sollievo. Voglio dire: finalmente ho dei riscontri. E, incredibile a dirsi, sono tutti positivi. 

Quindi adesso sì, che posso concentrarmi sui video di Natale.



mercoledì 19 dicembre 2012

Il "Trailer" della Vigilia.


Ho impacchettato (quasi) tutti i regali di Natale. Abbozzato una scaletta. Inoltrato inviti ed attaccato locandine. L'odore di parrucchiera é ancora incollato alla mia messa in piega perfetta, mentre ne constato l'improbabile resistenza alle due ore di flamenco di stasera. Pazienza. Non era comunque il caso di rimandare. Oggi, alla vigilia del grande evento, con i primi articoli già in mostra sullastampa locale, direi che è giunto il tempo dell'anteprima. Anzi, sapete cosa? Magari scomodo anche l'originale.

Allora questa é l'Odissea di Omero. Libro Nono. Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti per il catalogo Einaudi.

L'Odissea, come l'ho ridotta quest'estate. 


[…] Ma quando due volte tanto di mare avevamo percorso,
ancora al Ciclope parlai: intorno i compagni
con parole di miele mi trattenevano, di qua e di là:
“Sciagurato, perchè vuoi provocare l'uomo selvaggio?
Proprio ora scagliando un bolide in mare, ha ricacciato la nave
a terra, e credevamo ormai di morire.
Se ancora ti sente parlare o gridare, fracasserà le nostre teste e la nave,
con qualche scheggione di roccia; tanto tira lontano!”
Così dicevano, ma non persuasero il mio magnanimo cuore,
e gli parlai di nuovo con animo irato:
“Ciclope, se mai qualcuno dei mortali ti chiede
il perchè dell'orrenda cecità del tuo occhio,
rispondi che il distruttore di rocche Odisseo t'ha accecato,
il figlio di Laerte, che in Itaca ha casa”.
Così dicevo: e con un gemito mi rispose parola:
“Ahi! Dunque un'antica profezia mi raggiunge.
Visse qui un indovino nobile e grande,
Télemo Eurímide, che nel vaticinio eccelleva,
e vaticinando invecchió tra i Ciclopi.
Lui mi predisse che tutto questo m'avverrebbe in futuro,
che da Odisseo sarei privato dell'occhio.
Ma sempre un eroe grande e bello aspettavo
che qui venisse, vestito di forza grandissima.
Invece un piccoletto, mingherlino, da nulla
m'accecó l'occhio, dopo che m'ebbe vinto col vino.
Ma vieni qui, Odisseo, che ti faccia il dono ospitale,
e di darti il buon viaggio preghi il glorioso Ennosígeo.
Io sono suo figlio, d'essermi padre si vanta:
lui, se vorrá, potrá guarirmi, o nessuno
dei numi beati e delle creature mortali.
Diceva, e io replicai, rispondendogli:
“Cosí della vita e del fiato t'avessi potuto privare
e mandarti a finire nella casa dell'Ade,
come l'occhio non ti guarirá l'Ectosíctono “.
Cosí parlavo; allora a Poseidone sovrano
alzó voti, stendendo le mani al cielo ricco di stelle:
Ascolta, o Poseidone che cingi la terra, chioma azzurra:
se davvero son tuo e mio padre ti vanti,
dammi che in Patria non torni Odisseo distruttore di rocche [...]”

E questo é lo stesso episodio, nel capitolo 4 della mia #Odissea. Edita da La Caravella. Acquistabile qui.

[…]

Odisseo @Ulisse
@Polifemo sai le cose orribili che hai fatto, psicopata? Beh, non le hai fatte a uno qualsiasi ma ad
Ulisse.Sorpresa! Sì,quello di Troia.

Odisseo @Ulisse
@Polifemo e ho intenzione di rilasciare un'intervista parlando in dettaglio di quanto successo. Spero tu
sia pronto per la gogna mediatica.

Ulisse Fan Club Ufficiale @ulisse_fans
@sailingman @ulisse wow!! Sei sempre più un geniooo!!!

Marone d'Evanto @Marone
@ulisse @polifemo Cose orribili? Ma come? E il vino?!

Odisseo @Ulisse
@Marone @Polifemo quello gli è piaciuto un sacco. Di fatto se siamo riusciti ad accecarlo e fuggire è
stato perchè era ubriaco. Ancora grazie!

Marone d'Evanto ha aggiunto ai preferiti il tweet di Odisseo.

Menelao @Menelao_Sparta
@ulisse @Marone caspita, amico, certo che non ti fai mancare niente, però...mai pensato di scrivere
un libro?

Polifemo @PolifemoCiclope
@ulisse sono n amico di Plfmo, glio letto il twet. Dic e che 6 solo un cydardo, che ti sei aprogffito della
sua sbornia

Polifemo @PolifemoCiclope
@ulisse Ps: scusa se facio erori ma nom e fcile scrivvere se vedi cn un ochhio solo.

Polifemo @PolifemoCiclope
@ulisse dce anche che credva che fssi più alto,invce si un tappo com il fi sico racchiticvo e che tanmto
l'ochio gariròà

Odisseo @ulisse
@PolifemoCiclope ah ah, ma ci crede davvero? Sarai cieco a vita, caro mio,rassegnati. Niente più
twitter. Quanto vorrei averti ucciso..!!

Sailing Man @sailingman
@ulisse dai, lascia perdere!! Non ne vale la pena!

Polifemo @PolifemoCiclope
@ulisse spèero che tu no'n tor4ni a cawsa mai. Pregherrùò perchè npm accadaq.



Se lo vorrete vi aspetto domani, Giovedì 20 Dicembre, alle ore 18.30 presso la Galleria D'Arte La Fortezza di Gradisca d'Isonzo. Avrò i capelli lisci, un bel vestito, ed una buona dose di isteria.

lunedì 17 dicembre 2012

Patate fritte, limone e pepe.


Nuove frontiere della nostalgia. Ricordi che si smuovono assieme ad una busta di patatine San Carlo. Di quelle che afferri dalla dispensa in un attacco di fame. Ché dai: oggi te la meriti, la dose quotidiana di schifezze. Oggi che sei cresciuta come donna comprando il primo tacco 12 di tutta la tua vita. E hai scoperto – robe da matti!- che ci riesci pure a camminare.



Di botto ti riportano all'estate, quelle patatine. Il primo “crock” é già una strada con troppi tornanti. Il sole inclemente del Maggio murciano che ti bacia la faccia oltre il finestrino del bus. La nausea montava, un kilometro dopo l'altro, nello stomaco in subbuglio anche per l'emozione. Da Cartagena a Mazarrón, da Mazarrón a Lorca. Verso un altro concerto. Verso uno degli abbracci piú belli che, come poi tutto, ti dovevi sudare. Crock.



La marca era un'altra, é ovvio. Eppure lo rivivi ancora, il senso di stupore. Un chiringuito sulla spiaggia di Águilas. La pausa dovuta prima dell'ultimo treno. Te l'avevano portata, quella busta di patatine, assieme a del pepe nero e ad una fetta di limone. E meno male che c'era Inma, altrimenti saresti ancora qui a chiederti perchè.

Il fatto é – ti aveva spiegato – che nella zona di Murcia le patatine é usanza mangiarle cosí. Rovesci il sacchetto in un piattino, ci spremi sopra il succo di mezzo limone, e poi una spruzzata di pepe.

“Provale, prima di dire 'che schifo'”, mi aveva anticipata la mia amica.

Crock, cosí ho poi fatto. Certo che son strani.  Ma “che schifo”, non l'avrei pensato piú. Strano, quanto possa sorprenderti l'insolito. Strano, che mi venga in mente proprio ora.

A quattro giorni da un evento importante. Con la testa gonfia di idee regalo, e il portafogli giá alleggerito un   bel po'. Chissá come é nata, quell'usanza, poi. Chissá a chi é venuta in mente per primo. 

Comunque sia, la morale é una soltanto: se vedete qualcuno spargere limone e pepe su delle patatine in busta, o é di Murcia o é un filo- ispanico in evidente crisi d'astinenza. In ogni caso, insomma, qualcuno con cui vale la pena attaccare bottone. 

venerdì 14 dicembre 2012

En Busca del Sonido del Viento, Episodio II.


“En busca del sonido del viento” è uno di quei progetti a cui, per qualche motivo insondabile, il grande pubblico non ha attribuito il giusto valore. Strano. Soprattutto se si pensa che a editarlo – a volerlo, più che altro, e volerlo fortemente – è stata la Sony. Una delle etichette più mainstream che esistono. Una di quelle che, quanto a obiettivi commerciali, non sbagliano il colpo quasi mai.

Eppure.

Mi dicono, e l'ho visto coi miei occhi, che quei dvd di splendida fattura sono sempre più difficili da rintracciare nei negozi di Spagna. Forse, abituati ai prezzi che da straniera considero irrisori, quella ventina d'euro pare poco giustificabile. O magari li confonde l'incapacità di incasellarli dentro a una categoria specifica, chissà. Chè in fondo non sono documentari di viaggio, anche se il loro intento è far conoscere culture. E non sono nemmeno concerti, per quanto mostrino della gente che suona. Forse, semplicemente, neanche un collosso come la Sony riesce a trovare appoggi sufficienti, quando la causa vale la pena davvero.

Resta il fatto che En Busca del Sonido del Viento vanta una regia impeccabile (Nahuel Lerena è sempre Nahuel Lerena!). Un packaging da amanti dell'oggettistica. In formato A4. Con un laccio vintage a stringere un libro su cui foto, disegni e testi si compongono a formare un vero e proprio diario di bordo. Ecco, magari confonde anche questo: è un libro o un video? La gente guarda sempre con sospetto tutto ció che non sa definire. Ma, soprattutto, En Busca del Sonido del Viento vanta la base di un'idea a dir poco geniale.



Quella che doveva essere inizialmente una trilogia, e che almeno per il momento si limita invece a due soli esemplari, unisce di volta in volta cinque musicisti provenienti da Paesi diversi. Facce note. Affermate. Emblemi di generi distinti che, però, rimangono pur sempre emblemi. Tutti vengono spediti, dall'alto del loro status symbol, in qualche Paese dell'America Latina, a conoscere culture indigene a rischio di estinzione. Persone che vivono in capanne sperdute col tetto cosparso di ragni. O, magari, su di una montagna, appartate dalla civiltà occidentale. Si tratta per lo più di gente povera. Emarginata. Ignorata dal Governo e dalle autorità. Di piccole comunità le cui visioni della vita, società e valori, in quasi nulla coincidono con quelle a cui siamo abituati noi. Dall'incontro tra realtà così diverse nascono dibattiti e conversazioni quanto mai interessanti che, in fase di montaggio, si intervallano all'esecuzione live di alcuni tra i brani più conosciuti dei musicisti protagonisti. Canzoni la cui essenza si modifica, lontano dai palchi, dalle luci e dagli amplificatori. Brani suonati col solo ausilio di una chitarra, nella cornice della natura più selvaggia. Collaborazioni che nascono inaspettate, davanti agli occhi umidi di qualche donna che neanche sa chi sono i Rolling Stones.



Entusiasta del primo episodio, ieri ho finalmente inserito il secondo dvd nel lettore del salotto. E, se devo essere sincera, m'è piaciuto un po' meno. Forse ha a che vedere con il carattere stesso dei Mapuche, la comunità indigena al centro di questo secondo viaggio argentino. Gli occhi bassi, si sa, non facilitano mai un dialogo. Così, tutto m'è sembrato più forzato. Meno naturale. I musicisti stessi non sembravano a proprio agio come i cinque fortunati della prima “missione”. Mancava, per capirci, un Neto García che facesse facce buffe su di un pullman. Un (e va bene, cedo) Dani Martín che quasi litiga con Ana Cañas nell'incarnazione del conflitto tra idealismo e concretezza. Una Natalia Lafourcade al centro di un'alleanza al femminile. Ci mancava un po' di vita, tutto qua. Di vita vera. Dove con “vera” intendo spontanea. Nei suoi alti, nei suoi bassi, nei peró.

E tuttavia, se escludiamo proprio Dani Martín, questo secondo episodio mi é piaciuto piú del primo per la scelta musicale. Oltre alla stupenda versione corale di “Eres Para Mí” di Julieta Venegas (che non a caso fa da sottotitolo), ho scoperto Luna Nueva di India Martinez e ripreso ad adorare GiraLuna dei Sidonie. Ve le riporto tutte e due di fila. Ed é un augurio al buon ascolto, certo. Ma anche un invito ad apprezzarlo, nella vita, quello che non sapete definire. Ché alla fin fine sono quasi sempre le cose indefinibili a rivelarsi in ogni senso le migliori.



giovedì 13 dicembre 2012

Meno Sette [Cose che la gente non dice]


Ci sono cose che la gente non ti dice. Per esempio, che organizzare la presentazione di un libro rischia seriamente di portarti alla follia. Insomma: tu te ne stai lì, ad aprire scatoloni con le mani tremanti, quasi che il Natale sia arrivato prima. Soppesi tra le braccia le novanta volte in cui il tuo sogno adesso occupa spazio sopra a qualche scaffale. Bello. Plasticato. Con quella foto in cui sorridi stampata su fondo blu in quarta di copertina. Era quello che volevi, no? La penna scivola da Dio, sotto alle prime dediche. Inchiostro che s'accoppia con la carta bianca. E sei davvero, al cento per cento, convinta che oramai sia tutto in discesa.



Sbagliato. Perchè nessuno ti ha informata. Nessuno te l'ha detto, che dovrai passare le settimane seguenti con l'orecchio incollato al cellulare. Sfoglierai l'agenda immaginaria su cui negli anni hai radunato i tuoi contatti. Ti farai invischiare in una rete potenzialmente infinita fatta di amici di amici di parenti del cognato della prozia della vedova del fioraio del cugino dell'ex fidanzata del marito della figlia di qualcuno. Finchè, credendo di comporre il numero di un'affermata scrittrice locale, finirai col chiamare un call center vodafone. Che, ovviamente, si affretterà a ricambiare un paio d'ore dopo. Quando ormai avrai già dimenticato l'accaduto e indosserai il piumone in procinto di uscire. Il rumore di fondo sarà talmente forte che, lungi dal riconoscere il messaggio automatico, ti sembrerà di sentir parlare una donna in un rumeno fluente. O, comunque, un qualche strano dialetto dell'Est. Ripeterai per quattro volte “ha sbagliato numero” in cadenze sempre più disperate, prima che un “per informazioni, digitare uno” ti riporti sulla retta via. E allora, di nuovo, sbatterai la cornetta sulla faccia immaginaria del TeleMarketing Impersonale. Digitando, proprio al massimo, un sonoro “'fanculo”.



Nessuno te lo dice, che a una settimana dal Grande Evento infilerai nel tuo borsone tattico quella che credi essere la T-Shirt di Diablito comprata un inverno a Madrid. Salvo poi accorgerti, nello spogliatoio della scuola di Danza, che in realtà si tratta della tua canottiera più scollata. E ovviamente non ricordi se oggi ti sei depilata oppure no. Così, nel dubbio, finisci per farti un'ora e mezza di flamenco con addosso la felpa e il collo alto. Col risultato che, dopo circa un paio di minuti, la tua carnagione è molto simile a quella di un pomodoro maturo. Se non altro, le calorie di quei deliziosi biscotti dell'IKEA ti stanno senz'altro scivolando via di dosso nel sudore. Bisogna pur trovare un lato positivo,no? Anzi, a dirla tutta, in realtà stai anche ballando un po' meglio del solito. Il che ti porta alla conclusione logica che la chiave di tutto sta nell'auto-combustione.



Comunque. Nessuno ti dice che in quello stesso spogliatoio, proprio mentre indossi la dannata felpa, una madre al tuo fianco veste la sua bambina.
“Appena la signora finisce di cambiarsi spostiamo la panca, così stiamo più comode”, la senti dire con voce melensa. Ci metti un po' a realizzare. Sta parlando di te. Ha detto SIGNORA, e sta parlando di te. Respira. Inspira. Respira. Ti giri di botto, regalandole il meglio riuscito tra i tuoi troppo rari sguardi omicidi. Vorresti spostargliela tu, quella panca. Subito. Con un gesto veloce, mentre la sua borsa è ancora bella adagiata lì sopra. Immaginare lo specchietto da trucco e il cellulare costoso ruzzolare in mezzo alle urla sul pavimento, basta già da solo alla soddisfazione. Ma insomma. Ho ventisette anni, per Dio! Ok, ventotto tra poche settimane. E vabbè che ho due occhiaie da far spavento a un panda, vabbè che son scoppiata a piangere di crisi isteriche troppe volte in due giorni, concedo pure l'alibi dell'ultimo filo di rossetto che ha recentemente abbandonato le mie labbra. Però, anche così, SIGNORA?!
Nessuno te lo dice, che il trauma di quell'appellativo non ti abbandonerà mai più. In tutta la tua vita, voglio dire. Mai più.

Per non parlare di quelli che si aspettano una copia del libro in regalo. Magari non te lo dicono apertamente, d'accordo. Eppure lo capisci. Dal linguaggio non verbale. Dai tuoi sensi di colpa. Dalla conseguenza di tutti i sentito dire. E dovrebbero fare un corso, per spiegarti come agire con tatto. Come far capire ad amici e conoscenti che, anche se lo vorresti, proprio non lo puoi fare. Che quelle copie non ti sono piovute addosso come manna dal cielo. Non funziona come i cd delle pop star, nossignore. I libri in tuo possesso te li sei pagati fino all'ultimo centesimo. E' un investimento che avrà ragion d'essere solo finchè li vendi e rientri nelle spese. Ché per ognuno di quelli che acquisteranno, a te verrà in tasca qualcosa come un euro e venti, forse due. Che non si tratta di diventare ricchi. Non si tratta di avarizia. Macchè. Si tratta semplicemente di rientrare nelle spese. Di DOVERLO fare per non ridursi a vivere al riparo di un ponte. E però nessuno riesce mai del tutto a vederla così.

Insomma: non ti hanno avvisata, che saresti arrivata a un punto in cui il tuo unico desiderio sarebbe stato passare 24 ore senza che qualcuno ti parli del tuo libro. E, al contempo, che tutti non facessero altro che parlarne. Che parlare dei CONTENUTI, però. Voglio dire: qualcuno dovrebbe averlo letto, ormai, giusto? Oltre a mio nonno, intendo. Che dopo aver riso a crepapelle sulle battute del primo capitolo s'é perso nel linguaggio a lui estraneo dei Retweet e i Follow Friday. Per concludere nell'unica, apocalittica, sentenza a lui possibile: “Ciò, devi esser bel, ma no go capì un casso”. Ecco. Intendo, qualcuno un po' più nel target, l'avrà letto? Gli sarà piaciuto? Perchè nessuno mi dice niente? Io voglio sapere. Cioè...credo. Se mi dicessero che fa cagare, non so mica se lo vorrei sapere. Probabilmente sì, ma non adesso. Ne andrebbe troppo della mia autostima.

E poi c'è ancora da far tutto. I comunicati stampa. Gli inviti. Il buffet. C'é anche da andare dalla parrucchiera: quel luogo metafisico da cui inevitabilmente esci rafforzata in due convinzioni: 1) sei del tutto disinformata sul novanta per cento dei nomi astrusi che popolano i giornali di gossip; e 2) hai troppi capelli. Troppi, sì. Perchè con la tua chioma leonina ci si mette una vita, a rinnovare le meches. Il che comporta la sottomissione all'odore di amoniaca per un periodo di tempo troppo lungo per il superolfatto della fase pre-mestruale. Capiamoci, negli ultimi giorni sono stata sul punto di vomitare, nell'ordine: per il deodorante per ambienti appena spruzzato dalla commessa di Terranova, per quello del formaggio grana probabilmente scaduto, e persino per quello della carta inchiostrata di un DVD (manco a dirlo) comprato a Madrid. Non posso farcela, con le meches. Davvero. Anche perchè, possibile che nessuno pensi mai a noi povere orbe? Ovviamente gli occhiali te li fanno togliere. Ma io senza occhiali non ci vedo un tubo. Quindi non posso leggere. Quindi mi tocca, alternativamente, annoiarmi o...indovina? Parlare del libro.



Ho cambiato idea: hanno ragione i Maya. Ché io non so per gli altri, ma almeno per me il mondo finisce di sicuro il 21. Distrutta dal calo di tensione, scaglierò finalmente il telefono dalla finestra e mi butterò sul letto intenzionata a non alzarmici per 12 ore almeno. And that's all Folks.  

lunedì 10 dicembre 2012

Italo- Spagnola Awards 2012 (Macchianera mi fa un baffo)



Io davvero non lo so, per quale strano giro del Destino gli eventi importanti della mia vita si concentrino tutti nel mese di Dicembre. Sempre che poi si possa considerare “importante” il trasferimento di un blog su un'altra piattaforma. Ma tant'é.

Il punto é che lo scorso 5 Dicembre ho compiuto il mio primo anno su Blogspot. Applausi. E, anche se – al solito- ci arrivo in ritardo, ho deciso di festeggiare con dei premi. Sí, insomma: ci sono i Macchianera Awards. I tweet awards. Gli after awards. I Vendommerda Awards. I Pinco Pallino awards. Per quale motivo non dovrebbero esistere anche gli Italo-Spagnola awards?

Appunto.

Intendiamoci, non é che si vinca niente. A parte (forse) la gloria, e una targa virtuale che devo ancora mettermi a creare. L'obiettivo é piú che altro quello di far conoscere in modo interattivo altri siti, account twitter o pagine facebook fondate sull'unione tra i nostri due Paesi. E al contempo, a livello piú egoistico, cercare di capire quali cose da me scritte nell'arco di quest'anno vi siano piaciute di piú.

Giá. Perché il questionario, come potrete vedere, si compone di un totale di 13 categorie. Le prime 8 rimandano, in modo generale, al mondo degli itañoli ( o italo-spagnoli) dentro e fuori dal web. In questo senso potrete esprimere la vostra preferenza in merito all'evento italo-spagnolo dell'anno, al miglior vip italo-spagnolo su twitter, al miglior sito italo-spagnolo etc. Le ultime 5 categorie, invece, si limitano a questo blog, chiedendovi quale sia stato il post o la serie di post che avete maggiormente apprezzato.

Votare é semplicissimo: basta cliccare qui, scegliere i vostri preferiti, e al termine cliccare il tasto verde in basso a destra su cui leggete “finish survey”. Vi verrá poi chiesto, in inglese, se volete creare anche voi un sondaggio online. Potete tranquillamente ignorare la richiesta e chiudere la finestra: il voto sará a quel punto giá stato registrato. Il prossimo 10 Gennaio saranno decretati i vincitori.

Ci tengo a specificare che il criterio di scelta dei siti web e account twitter in nomination é basato sull'indice di attivitá nell'arco dell'anno 2012 e sulla possibile limitatezza delle mie conoscenze. Insomma: puó essere che qualche sito stupendo sia stato escluso semplicemente per il fatto che, al momento della creazione del questionario, io non lo conoscevo. Scusatemi: non sono wonderwoman. Sono comunque benaccette ulteriori segnalazioni per l'anno prossimo.

Quanto ai miei post, sono in nomination i piú letti di ciascuna categoria, da statistiche di blogger.

Votate numerosi, e...buon italo-spagnolismo a tutti!