martedì 26 febbraio 2013

"Solo due fiocchi".


Promemoria: mai viaggiare a Febbraio. O, quantomeno, evitare di pronunciare con tono spavaldo che “tanto son solo due fiocchi” appena scesa alla stazione di Mestre. Cristiddio, quand'è che imparerò dalle esperienze? Chè, due ore dopo, la pista del Marco Polo è sotterrata da una coltre di neve. Non meno di cinque centimetri, di cui osservo l'incremento con aria via via sempre più preoccupata. C'hanno un bel da fare, tutte quelle macchinine. Salano. Spalano. Lampeggiano d'arancione, a tema con i display. Ed è un mantra di Delayed. Dling Dlong. Turisti inglesi che scattano foto a tutto spiano. Probabilmente invano, visto il riflesso dei lampioni sul vetro. Ma contenti loro... L'autobus che dovrebbe condurci all'aereo, nel frattempo, tarda ad arrivare. L'hostess, al gate di imbarco per Parigi Orly, ostenta sorrisi autentici quanto una moneta da 6 euro. La vedo che è tesa. Ne osservo l'andirivieni sbilenco su un tacco dodici che sono quasi certa leverebbe volentieri. Ne leggo il labiale. “Non mi risponde al telefono, non so dove accidenti sia”. Il caos. Una coppia di argentini, nella beata ignoranza di una lingua straniera, chiacchierano tranquilli del più e del meno. La giovane si riattacca al telefono. Guarda oltre la vetrata. I fiocchi, quei maledetti due fiocchi, scendono intanto sempre più copiosi.



Mezz'ora dopo, il suo sollievo annuncia metallico l'inizio dell'imbarco. Tre quarti d'ora dopo, sto imprecando mentalmente contro i due coniugi francesi che il destino ha scelto come miei vicini di sedile. Disarmante, la loro flemma. Dieci minuti buoni per sbottonarsi il cappotto, non so se rendo l'idea. E poi via, a piegarlo minuziosamente prima di riporlo nella cappelliera. Manco dovessero esporlo su una mensola de La Fayette. Keep Calm, della serie. Keep Calm. Anche se, a causa della loro lentezza, sto drammaticamente bloccando tutto il traffico di passeggeri alle mie spalle. Qualcuno, rimasto troppo indietro per varcare la soglia di quel boeing surriscaldato, accuserà probabilmente i sintomi di una polmonite. E maledirà me. Che sto maledicendo loro. Che staranno maledicendo...boh, forse il cappotto che non si piega bene.

Un'ora dopo, una nube di antigelo ci avvolge accompagnata da un rumore assordante. Sentite scuse dallo staff che – naturalmente – non parla italiano. “It's for your safety”, giá giá. Ma intanto ho già speso cinque euro in sms internazionali, e perso in modo inevitabile l'ultimo bus diretto a casa di Céline. Due ore dopo, indovinate? Sarò ancora ferma lì. Sempre più rassegnata, a chiedermi quanto diavolo possa costare un taxi. Alla faccia dei soliti due fiocchi.

L'annuncio del decollo imminente arriva come un sollievo inaspettato. Un calo di tensione emotiva porta a galla una stanchezza che non sapevo d'avere. Sì, insomma, m'abbiocco all'istante. Ma proprio di brutto, eh? Credo di sognare qualcosa di strano in merito alla tour eiffel e gli eschimesi. In ogni caso, a risvegliarmi è la voce del comandante.

“Siccome l'aeroporto di Orly chiude alle 23.30, potremmo essere costretti ad atterrare a Charles de Gaulle”.

Soppeso mentalmente le parole.

Magari ho capito male.

Aspetta, ora lo ridice in francese.

Non che lo capisca, il francese.

Ma, ecco...quelle due parole...

Orly, aeroport, fermé, charles de gaulle.

Merda. Merda. Merda.

Ho un'immagine nitida della mia amica, intenda ad aspettarmi in un terminal deserto metre io, in terra ostile, cerco di capire come accidenti raggiungerla. A peggiorare il tutto, la hostess scuote le spalle. Mica lo sa, se ci concederanno i trasporti da Charles de Gaulle ad Orly. Chiudo gli occhi. Forse, se mi riaddormento, gli eschimesi mi salveranno. O forse no. In ogni caso...

“Comunque dovremmo riuscire ad atterrare alle 23.30 in punto ad Orly”, insiste il comandante. “Farò quanto in mio potere per riuscirci”. Ed, immancabilmente, diventa il mio eroe.

Perchè sì, il taxi mi costerà effettivamente più del volo low cost; ma alla nostra destinazione originaria, alla fine, ci arriveremo. Dopo un volo durato un'ora scarsa, anziché l'ora e mezza annunciata. Dopo una discesa a perdifiato che mi renderà sorda fino al mattino seguente. Dopo un trionfale “visto? Tutto è possibile!” a cui quel brillante Shumacher dei cieli affibbierà un tono tra il fiero e il divertito. Ad accompagnarlo, gli applausi dei miei vicini di posto, che non hanno battuto ciglio durante tutta la durata del viaggio. Salvo scomodarmi cinque volte per andare al bagno, ovvio. Dannazione, è così difficile tenerla per un po'?

E quindi, niente. Fate caso a me: non viaggiate a Febbraio. Perchè poi potreste ritrovarvi nello spiazzo di Les Invalides, sferzate da un vento siberiano, a ricordare da vicino i 13 gradi sottozero di una Vienna cancellata dai punch. Sarete talmente sconvolte da chiedervi chi mai ve l'abbia fatto fare, di uscire a far del turismo. E inizierete a dubitare della reale esistenza di quei tizi vestiti da M&M's che ballavano il Gangnam Style fuori dall'Hotel de Ville. Meno male che gli ho fatto un video. Altrimenti avrei probabilmente optato per l'auto-ricovero modello Perception. O l'elettroshock d'ispirazione Homeland. O...sì, va bene, guardo troppe serie. Che poi speravo di incontrare il collega figo di Jo, ma rien de rien.

Resta il fatto che poi, in quello spiazzo di Les Invalides, ti viene in mente di farti fare una foto. Ci metti tre anni, a scegliere la preda. Chè quelli sono troppo anziani. Questi qui vanno di fretta. Questi hanno l'aria un po' troppo sconvolta, e quest'altro sicuro che poi attacca bottone. Finalmente trovi quello giusto, un tizio solitario col cappello di lana ben calato sul cranio. E allora un nuovo dubbio inizia a farsi strada in fondo alla tua mente assiderata. Sei in compagnia di due francesi, tra di voi comunicate in spagnolo, e in giro sono tutti turisti. Quale lingua usare? Dopo un veloce referendum si decide per l'inglese. Audrey parte in quarta.



“Excuse me, cold you ta...”
“Qué queréis, una foto, no?”.

Ecco, appunto.

“Sí, gracias! Qué guay, eres español! De dónde?!”
Barcelona, y vosotras?”
No, noi siamo di qui.”
Sullo sguardo del tizio cala un'ombra di (neanche troppo) malcelato scetticismo.
Sí, ma io invece sono italiana.”
Comunque tra noi parliamo in spagnolo”
....”
.....”
Beh, niente, vi faccio la foto”.
Giuro che si vede proprio, che c'ha voglia di scappare urlando.

Due scatti per sicurezza. La sua cartina che gli sfugge dalle mani. La catena delle maledizioni inevitabilmente sul punto di coinvolgere anche lui. Poi ci saluta in catalano. Adeu. Tanto per.

Solo due fiocchi”, insomma. Peró, dai, ne é valsa lo stesso la pena. In fondo ho reincontrato un'amica dell'Erasmus che non vedevo dal 2009. Ho riassunto in cinque minuti le mie vicessitudini degli ultimi tre anni davanti ad un caffé – visto il freddo- viennese. Ho respirato un po' di Spagna nella sala di circense memoria che ospitava il concerto degli Estopa. Sopportato un ubriaco molesto. Scoperto che David, dal vivo, é caruccio mica poco. Anche se, di questo, parleró in un post apposito. Voglio dire, del concerto. Non della sua scarsa fotogenicitá.



Mi sono fatta anche quattro risate al pensiero di chi spende la bellezza di 30 euro per un piatto di spaghetti pomodoro e basilico soltanto perché il ristorante é quello di Armani a Saint Germaine. Ah, e poi ho rischiato di firmare il mio libro nel caffé dei letterati piú storico della cittá. Dove le file per cercare un tavolo arrivano fin fuori e di bohemienne non c'é piú niente, visto il prezzo del caffé. Ci sono entrata. Ho guardato il menú .Sono ri-uscita. Poi ho fotografato la frase piú azzeccata del mondo sull'edificio di fronte, pensando che il mio Ulisse, se avesse preso l'aereo, avrebbe avuto un viaggio tipo il mio.



Non viaggiate a Febbraio. Ma, se proprio dovete, siate almeno pronti a riderci sú. Perché con tutti 'sti aneddoti, se mai avró nipoti, sono certa che non si annoieranno mai. 

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