sabato 29 giugno 2013

Una mente malata.


Situazione: due sdraio posizionate sotto il sole. Due persone. Un iPod. 

- Guarda che ti son cadute le cuffie per terra. 
- Ah, grazie. 
- ...che poi te le rimetti sú e ti trovi i quadrifogli nelle orecchie. UUUUHHHH! 



Con uno scatto felino, la ragazza col costume rosso si mette seduta. I movimenti affrettati di una nevrotica, inizia a sondare con affanno nel contenuto di una piccola borsa bianca. Poi, finalmente, trova il cellulare. Lo afferra. Sospira di sollievo.

- Oh, che succede? 
- I quadrifogli nelle orecchie! E' un'immagine bellissima! Me la devo segnare AS-SO-LU-TA-MEN-TE!
- …
- Cioè, puó diventare una metafora per qualcosa. “Io che ho quadrifogli nelle orecchie”! Wow!
- Sí, non che abbia molto senso...
- Ma non importa! Suona bene! Il senso poi si trova, basta costruirci un contesto attorno! 
- …
- Per esempio, potrebbe voler dire che...ehm... che...
- …
- Ci sono! Che le mie orecchie sono fortunate perché possono ascoltare la sua voce! Oddiooooo, é anche romanticissimo! 

Esaltata, la tizia col costume rosso si rimette a dormire. 

Decisamente, a me il sole fa male. 

venerdì 28 giugno 2013

Appuntamento alla Lovat.


Luca Bianchini, urge ribadirlo, è autore di alcuni tra i miei personali libri-cult. Tra i suoi meriti, quello di creare i personaggi con le manie più contagiose nella storia della fiction. Tra le sue colpe, il fatto che io non riesca più ad evitare di leggere l'ultima riga di un romanzo prima ancora di averlo iniziato. Quella di “Io che amo solo te”, ad esempio, è: “non avrebbe mai voluto vederli salire in macchina e tornare a casa”. Cioè, più o meno la stessa sensazione che ho avvertito io chiudendo il libro. 

Ma Luca Bianchini, al di là delle recensioni (ne ho scritta una su Anobii, se proprio vi interessa), è soprattutto una bella persona. Ecco perchè, se capita a Trieste, cerco di non perdermi le sue presentazioni. Il nostro, ormai, è un appuntamento scandito dalle uscite editoriali. Un rituale di penne, di orecchie e di firme consumato a scadenza biennale tra gli scaffali affollati della libreria Lovat. E, non si sa come, riesco sempre ad uscirci con un grande sorriso. 



Sarà che gli ingredienti sono ancora gli stessi: una parlantina fluida, un'umanità fatta di dubbi ed ansie, e quell'innato talento nel trattare con le persone. Nel farle sentire speciali, tutte. Anche se solo per il tempo di un autografo o una foto. E, tra la consegna di un cornetto portafortuna e una battuta sovrastata dal megafono, ancora mi stupisce che, ogni volta, si ricordi di me. 

E poi c'è il pubblico, quello che riempie le sedie. Volti di età e abitudini diverse che, più che seguire lo scrittore, sembrano essersi materializzate dalla sua stessa penna. Come i suoi personaggi, sono divertenti e appena un po' sopra le righe. Umanissimi, a tutto tondo, eppure caratterizzati in un unico tratto distintivo. Come ai suoi personaggi – inevitabile – ti ci affezioni sempre un po'. 

Prendi la signora seduta alla mia sinistra, per esempio. Quella che parla con spiccato accento triestino e c'ha la fissa degli oroscopi. Non legge libri,  afferma con insolita fierezza. Per Bianchini, tuttavia, farà un'eccezione. Sì, perchè lei c'è venuta due volte, in libreria. E “go dito, orca ciò, go sbaià giorno”. Chiede come vive il suo essere acquario, perchè se uno è acquario si vede da lontano, dai. Chè lei è dei Pesci, 'ste cose le sa. 

O prendi, magari, il ragazzino sedicenne. Quello che si sveglia ogni mattina ascoltando Colazione da Tiffany, su Radio2. “E continuerei ad ascoltarla, se non mi toccasse andare a scuola”. La sorella, in virtù di quelle levatacce, odia la voce che oggi s'è rifiutata di venire ad ascoltare. 

C'è anche un ragazzo piuttosto carino. Mi si palesa davanti per una frazione di secondo, diretto a tutt'altro settore. Sbircio velocemente. Narrativa italiana? Straniera? Umorismo? Naa, per me c'ha la faccia da Thriller. O noir. Se magari cercasse qualche biografia di musicista, invece? A vederlo, potrebbe suonare in una band. In ogni caso, lui non è qui per ascoltare Bianchini. Ragion per cui lo perdo di vista quasi subito. 

Peccato. Innamorarmi in una libreria, tra i miei sogni di romanticona, si colloca al terzo gradino del podio. In concreto, dopo la scintilla scoccata in aeroporto e quella che fa galeotto un qualsiasi  concerto pop-rock. In effetti, ora che ci penso, ci starei bene anch'io, in un libro di Bianchini. 



La storia di leggere l'ultima riga, comunque, non è poi così male. Tanto per dirne una, mi ha appena permesso di apprezzare una finezza non da poco anche nell'ultimo successo di Dan Brown. Perchè, se l'Inferno di Dante Alighieri si conclude con “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, il suo, d'Inferno, finisce così: “Fuori, nell'oscurità appena scesa, il mondo si era trasformato: il cielo era diventato un arazzo scintillante di stelle”. 

E non mi direte che è un caso. 

mercoledì 26 giugno 2013

Il mondo surreale dei saggi di danza.

Revival. Deja vù. Trauma infantile. Chiamatelo un po' come volete: resta il fatto che oggi essere qui mi sembra strano. E per oggi, in realtà, intendo Domenica scorsa. Per “qui”, la pavimentazione in sampietrini che mi ha fatta desistere dal tacco. Quella in cui sembra raggrupparsi l'unico, chiassoso, esempio di umanità residua. Chè ha aspetto post-atomico, oggi, Monfalcone. Il sole impietoso disegna contorni troppo nitidi all'edificio bianco del teatro. Tutt'attorno, serrande abbassate. Qualche abitante del Bangladesh a bordo della solita bici. Un'improbabile comitiva di ultra settantenni in costumi folklorici a farmi sospettare d'allucinazioni. Non posso fare a meno di notarlo: indossano calzini in lana. In lana, capite? Ora che, dal termometro, mi stanno deridendo più di 35 gradi.



Non può essere vero. Dai, sto senz'altro male. Malissimo. In effetti, credo che potrei svenire da un momento all'altro.
Al solo pensiero mi fermo un secondo, prima di attraversare la piazza. Mi godo gli ultimi due centimetri d'ombra che qualche cornicione sembra essere in grado di concedermi. Un soffio d'aria troppo delicato per darmi refrigerio, eppure sufficiente a distruggere ciò che resta del mio defunto chignon. Impreco, e già mi sono pentita. Di tutto, a dire il vero. Di aver accettato di ballare anche stasera. Di essermi svegliata troppo presto. Di non aver accettato quel passaggio in auto al grido di “una passeggiata la faccio volentieri”. Brava scema. Potevo anche pensarci, che i negozi erano chiusi. Sospiro di imprecazioni mute, gli occhi che si abbassano in direzione delle balze a fiori. Ecco: della mia mise, almeno, sono soddisfatta. L'ho sempre amato, questo vestito. Almeno quanto amo i ricordi a cui mi trasporta, a un entusiasmo che mi sembra ogni giorno più lontano. Alle goccioline d'acqua nebulizzata al Café e Tea di Plaza Colón. Al pezzo di cavo che ancora conservo, cuffie degli Studios Monteprincipe, furgoncini semi-blindati, le note a luci soffuse di una canzone che amo.

Perché é cambiato tutto? Perchè sono cambiata io?
Basta, la devo smettere di pensarci. In fondo é solo questione di trovare qualcosa che ti restituisca quel sorriso. Una copia imperfetta di sensazioni leggermente piú mature. E' questione di star bene, e io é ormai da un po' che ho giá capito come fare. Quando poi cambieró la suoneria del cellulare, saprete tutti che l'avró accettato.

Fine delle paranoie, allora. Punto e capo. Uno di quei modi, in fin dei conti, é anche ballare. Anche se non sono agitata. Anche se rischio di addormentarmi ogni volta che il mio sedere incontra superfici piatte. Tipo il gradino- premessa alla porta di un bar.

Ché ho attraversato, finalmente. Ho salutato frettolosa qualche faccia famigliare, posato a terra la mia aria disfatta, una borsa da mare, una bottiglietta d'acqua ormai giá vuota a metá. Poi, sono stata inghiottita da un'orda di bambine iperattive. Non so se mi causino piú tenerezza o irritazione, a dire il vero. Certo, mi ci rivedo. I saggi delle scuole di danza, si sa, sono sempre stati un mondo a parte. Io ero come loro, probabilmente. Correvo con le amichette, in attesa che una porta si aprisse. Nervosa. Adrenalinica. La disperazione di una madre. Sono carine, in effetti. Tutte con i loro chignon, in condizioni di molto migliori del mio. I tutú giá indossati a metá, qualche trucco chiuso in un beauty case. I sorrisi di chi, per un giorno, sa di essere al centro dell'attenzione. Sto per optare per la tenerezza, quando due di loro si avvicinano chiamandomi signora.

E basta a farmi cambiare idea.

Comunque, sono un po' ingiusta. Ché, con tutta 'sta premessa, starete pensando che lo spettacolo di Monfalcone sia stato uno schifo. Che ve lo stia raccontando per lamentarmi, magari, che ne so. Invece. Il punto é che é sempre la stessa storia: quanto meno mi aspetto, piú mi diverto. Quanto piú voglio rinunciare, piú mi rallegro, invece, di aver accettato. Nonostante il mal di testa dovuto a quelle urla stridule. Nonostante i camerini improvvisati, dove ogni strip tease sembra a beneficio dei pompieri di passaggio; e i bagni in cui rifugiarsi puzzano di cadavere in stato di avanzata decomposizione.



Insomma, nelle mie limitazioni ballo bene. Penso meglio di quanto non abbia mai fatto. E' come se la musica mi avesse finalmente posseduta. Se il concetto di
ultima esibizione dell'anno bastasse da solo a riempirmi d'adrenalina. Ma non é soltanto questo. Anzi. Come sempre, nella prospettiva di un palco, il palco in sé é quello che importa di meno.

E io, di Domenica, ricordo le chiacchiere al bar, davanti a bottigliette tutte uguali di tea freddo. Gli occhi che prendono a lacrimarmi inarrestabili, colpa di sbalzi termici e residui di trucco. Cristina che scatta foto. Io che sembro disperata. Cristina che scatta altre foto. E un tizio che ci guarda, vistosamente perplesso di fronte a quel quadretto surreale: sei donne, in una via del centro, posano per uno scatto in pose flamenche. Una di loro, la piú stramba, ha i lacrimoni evidenti sulle guance, e forse pure i moccoli al naso. Immagino la faccia della moglie, quando gliel'avrá raccontato.

In effetti sarebbe gentile, da parte nostra, andare a trovarlo in manicomio.



Comunque. Sará stato anche strano, ritrovarsi in quel teatro dopo tutti questi anni. Al saggio di una scuola di danza, di quelli lunghi tre ore che tanto detestava mio padre. Strano, sí, decisamente. Ma “strano” - ormai lo so – non vuol mai dire brutto o inopportuno. Strano vuol dire spassoso, anzi, nella maggior parte dei casi.

Tra l'altro, due bimbe mi hanno dato la manina, prima di uscire per i saluti finali.
“Che bella che sei!”, hanno detto in coro.
E' stato il riscatto meglio riuscito dell'intera categoria infantile.


giovedì 20 giugno 2013

Turismo in Musica: i videoclip girati a Mallorca

Ormai dovreste averlo capito, che ho voglia di vacanze. Oddio, a dire il vero ne ho anche di concerti, di smalto rosso a pois bianchi, di bayleis coi cubetti di caffè ghiacciato e di trovare un modo per continuare l'incipit stupendo che mi è venuto in mente l'altra notte. Ma forse è meglio fare un passo per volta. Quindi, dicevo, ho voglia di partire. Scappare. Crogiolarmi in un beato far niente tra sole, mare e tutt'al più qualche mojito. E nel celebrare il fatto che – gaudio e tripudio! - un volo economico sono poi riuscita a trovarlo anche in pieno Agosto (leggesi VadoaMálagaVadoaMálagaVadoaMálaga), ribadisco il concetto facendo venir voglia di mare pure a voi. Beh, questo é l'intento, almeno. Perché, nel riciclare un'altra delle mie rubriche storiche, oggi scelgo di presentarvi Mallorca attraverso i videoclip che lí sono stati girati. La sorpresa? A quanto pare lo scenario piace particolarmente ai musicisti svedesi... 

Lacrosse- You can't say no Forever


Eccone un esempio. Qui, intento a rappresentare la scelta musicale di Estrella Damn in uno degli spot della mitica campagna “Mediterráneamente”. Credo anche di averne giá parlato, a suo tempo. Solo che – abbiate pazienza! - adesso sono troppo pigra per andare a cercarne le prove. Il fatto é che 'sto video, a me, é sempre piaciuto non poco. Condensando in pochi minuti tutto lo spirito dell'estate, ci porta a scoprire la Serra de Tramuntana, dichiarata non poi da tantissimo Patrimonio dell'Umanitá. Di essa si apprezzano le curve serpeggianti e la spiaggia di Formentor, il panorama mozzafiato di Deía, le feste popolari di Banyalbufar e, come se non bastasse, anche uno degli angoli forse piú affascinanti di tutta l'isola: il Torrent de Pareis. E il  bello é che Estrella Damn, quando sceglie di girare uno spot, lo fa anche a beneficio del turismo locale. Per questo, oltre ai paesaggi in sé, il montaggio non ha risparmiato alcuni dei simboli caratteristici di Mallorca. I costumi tradizionali da “pagés”, i maialini neri e le terrine in terracotta usate al posto dei piatti sono soltanto alcuni tra quelli che i piú esperti conoscitori dell'isola riconosceranno senza fatica. A mó di post scriptum, urge dire che il protagonista del clip non é brutto per niente. 





Ve la ricordate Lisa? Ecco, nemmeno io. Stando a Wikipedia, peró, nel 1998 aveva vinto Sanremo con una canzone intitolata “Sempre”. E sembra essere (stranamente) una delle poche italiane ad aver girato un videoclip a Mallorca. Per la precisione nella sua capitale, Palma. Riporto il dato piú per dovere di cronaca che altro: le riprese quasi esclusivamente d'interno, in realtá, non lasciano apprezzare della cittá nient'altro che un po' di mare. 

El Pescao – Si me pusiera en tu piel. 


Con David Otero il discorso cambia. E suppongo sia anche inutile dirvi quanto io adori ogni singolo aspetto di questo videoclip e del relativo brano. Tanto per cominciare, é lodevole la finalitá per cui entrambi sono stati creati: quella di incentivare la pratica di discipline sportive da parte di persone diversamente abili. Per questo, il filmato ospita alcuni campioni olimpici e paralimpici ed altri volti noti dello sport spagnolo che hanno scelto di aderire al progetto. Riconoscerete senz'altro Jorge Lorenzo, solo per nominare il piú mediatico. Tutti loro ci conducono alla scoperta di Palma de Mallorca sullo sfondo di note accattivanti che non possono evitare d'infondere allegria. Tra gli scenari spiccano il Paseo de Mallorca (percorso da David in bicicletta secondo gli itinerari per il ciclo-turismo piú classico), la famosa Catedral de la Seo, il centro storico e il Paseo Marítimo; senza dimenticare il Castillo de Bellver e il Paseo del Portixol. 






Se c'é una cosa che ho scoperto, in queste mie ricerche musicali per il blog, é che Jamiroquai, a quanto pare, é un filo-ispanico convinto. Per Loove foolosophy, una delle sue hit forse piú conosciute a livello mondiale, ha ceduto al fascino dell'isola baleare. A dividere con lui scene alla James Bond c'é la top model tedesca Heidi Klum. 


Ed ecco qua un altro svedese. Ve l'anticipavo, no? Basshunter (all'anagrafe Jonas Erik Altbeg) é uno dei piú quotati produttori di musica dance. Per questo video ha scelto, presumibilmente in quest'ordine, l'attrice porno norvegese Aylar Lie e la Mallorca piú festaiola e turistica. La voglia d'estate che miravo a infondervi, a questo punto, dovrebbe giá essere arrivata ai vostri massimi storici. 

Blank & Jones with Cathy Battistessa – Happiness. 


Sonoritá un po' chill out per quello che é probabilmente il ritratto piú completo dell'isola che sia mai stato realizzato in formato videoclip. Il viaggio dei due protagonisti é documentato con estrema precisione, dall'aeroporto di partenza alla visuale di Mallorca dal finestrino dell'aereo; dai primi scorci idilliaci on the road all'ingresso in hotel; dalle specialitá gastronomiche al mare turchino... insomma, non manca nulla. Neppure – manco a dirlo – la classica festa in discoteca, a culmine della felicitá cui fa riferimento il titolo. Bello, davvero. 




Inna- Un Momento (feat Juan Magan)

Le tematiche della festa in barca e del giro in bici sul Paseo Marítimo sembrano essere un must di Mallorca, almeno se si giudica dai videoclip. Le ritroviamo anche in questo di Inna, unite ad una briosa passeggiata in una delle vie piú centrali di Palma, Calle Jaime II.  







Ormai é chiaro: é soprattutto la scena dance a prediligere l'isola come scenario. Vi lascio con l'ennesimo esempio, e con l'ennesimo svedese. Per la veritá, Mallorca si apprezza in qualche scorcio soltanto nelle prime inquadrature, per poi lasciare spazio alla quasi totalitá di scene d'interni. Ancora una volta, peró (come giá per Lisa), non potevo escludere il filmato dalla mia urgenza di completezza informativa. 

domenica 16 giugno 2013

I trucchi per prenotare un volo al minor prezzo possibile.

Carnagione color rosa porcellino, in alcune parti tendente al bordeaux. Copricostume rosso, quello che amo tanto, coi pizzetti sullo scollo e i suoi ricordi della Grecia. Uno stato di semi-incoscienza come naturale strascico ad un intero weekend passato al sole. Ebbene sí, gente, è proprio tornata. E' la stagione dei solari che offendono in fattori protettivi “6 bassa”; e giuro che 'sta cosa a me fa ridere davvero. E' tempo di allenarsi nel posizionamento strategico delle piastrine anti-zanzare. Tirar fuori i ventilatori dagli imballi plasticati. Rotolarsi invano nel letto in cerca di refrigerio, perchè senza lenzuola non sono mai stata in grado di dormire. Sul serio, è arrivata. L'estate, dico. La gioia. La salsedine. Ma soprattutto, la voglia matta di progettare vacanze. Guardare foto, immaginare circostanze, cercare una risposta alla domanda “che farai?”. E io lo so, che in questo non sono l'unica. Per questo vi giro una specie di tabella trovata per caso. Perfetta per gli squattrinati come me, lllustra i trucchi per risparmiare al massimo al momento di prenotare un volo. Tipo quello con cui cerco di non svenarmi nell' andare alla feria di Málaga, giusto per capirci. 





Dice, la tabella, che confrontando le opinioni di un noto economista con quelle delle principali compagnie aeree, il miglior momento per comprare un biglietto risulta essere a cavallo  tra le 8 e le 6 settimane prima del decollo. Il consiglio é, quindi, di iniziare a consultare i prezzi con molto anticipo, ma di non avere fretta di comprare subito. I posti economici iniziano ad apparire non prima che manchino quattro- cinque mesi al volo.

Tra le altre curiositá, il fatto che i prezzi dei viaggi aerei arrivino a cambiare in media tre volte al giorno, e che il giorno piú caro per volare é la Domenica. Nella settimana del volo i prezzi si impennano, e si arriva a pagare fino al 40% in piú il giorno della partenza.

Interessante anche sapere che la maggior parte dei biglietti scontati viene messa online nei primi giorni della settimana (Lunedí o Martedí, aggiungo in base alla mia esperienza personale, e tendenzialmente in orario lavorativo , per quella punta di bastardaggine tipica degli interessi del marketing).

Si segnala, inoltre, che i periodi di alta stagione fanno eccezione a tutte le regole: in quei casi, il posto in aereo va assicurato il prima possibile. Insomma, Carpe Diem. Alla facciazza mia, della Feria, e di quest'insana predisposizione al “sí, sí, va beh, guardo domani”. Complimentoni, Ilaria. 


giovedì 13 giugno 2013

I look ispirati ai dischi: Belgrado!

Vi mancava, la mia rubrica modaiola? Perchè a me sì, parecchio. In fondo ve l'ho detto, che assemblare outfit mi diverte un bel po'. Così, nel riportarla in voga, scelgo di chiudere la mini-serie dedicata ai componenti de El Canto del Loco. E dopo gli outfit plasmati sui primi lavori solisti di Dani Martín e David Otero, oggi ve ne propongo uno ispirato al debutto dei Belgrado. Perché forse non lo sapete, ma dietro al terzetto di Santander c'é Chema Ruíz, bassista della band madrileña che un giorno di molti anni fa ha pensato bene di cambiarmi la vita. Assieme a lui, Mario de Inocencio ed Inés Pardo si sono imbarcati nel 2011 in un'avventura in bilico tra pop ed elettronica. Fresca, spensierata, e tutta da ballare. Non troppo fortunati a livello di promozione e visibilità mediatica, oltre che penalizzati dall'impossibilità di una collocazione (sono commerciali o indie?) sono -ahimè- spariti in fretta dalle scene musicali. Il loro album d'esordio, tuttavia, resta una colonna sonora particolarmente adatta alle giornate estive.

L'outfit ad esso ispirato ha per assoluto protagonista un mini-dress che richiama colori e forme psichedeliche della copertina. Quello che vedete nell'immagine è di Alexander McQueen (740 euro, tanto per gradire), ma sono certa che basti cercare un po' in giro per trovare delle varianti accettabili. L'importante, alla fin fine, è giocare - ancora una volta - sui colori chiave dell'artwork: il verde e l'arancione, soprattutto. E verdi sono , infatti, anche gli accessori: dalla pochette alle scarpe col tacco borchiato, ispirate da vicino al look sfoggiato dalla cantante Inés Pardo in svariate occasioni promozionali. La fusciacca, con il motivo delle foglie, richiama un'altra delle tematiche chiave delle foto e dei videoclip dei Belgrado, spesso e volentieri immersi in prati verdi e scenari naturali in stato variabile di cura o abbandono.


Il tocco in più? I gioielli, che insistono sulla figura geometrica del triangolo, proprio come il booklet e l'incisione sul cd. Ecco: ora siete perfette per una serata in discoteca a ballare Juliette, Yo quiero Verte Danzar o La Ciudad. 


Music Inspired-belgrado

Music Inspired-belgrado di luna84 contenente geometric jewelry


PS: Vi ricordo che tutti i look proposti in questa rubrica saranno via via raccolti anche sulla mia apposita bacheca di Pinterest, a questo link

domenica 9 giugno 2013

Soleá por Bulería (flash da uno spettacolo)

Se le prove generali vanno bene, lo spettacolo non lo farà. E' matematico. Inconfutabile. Verificato troppe volte per non aver chiaro sin dalle quattro del pomeriggio che la mia performance non sarà poi 'sto granchè. Eppure, neanche dei pasticci oggi mi importa molto. E' che il giorno del saggio di flamenco, a me, piace comunque. Sempre. A prescindere. Ben al di là di come vada o non vada. Mi piace dal momento del ritrovo in un piazzale asfaltato. Il sole cocente a sciogliere i nervi in una sonnolenza collettiva. Lo chignon basso, ahimè, già da rifare. E poi i discorsi su pranzi lesinati e leggeri. Trangugiati in fretta, troppo presto, controvoglia, mentre in testa ti ti martella un brano di Serrat.





Oggi, per la prima volta da due giorni, la spazzola non ha trovato rimasugli di forcine tra i capelli. Ed io ho capito che ve lo volevo raccontare. Sì, insomma, dire dei problemi, chiusi in casa a doppia mandata almeno cento universi più in là. Lontani da questo mondo meraviglioso dove tutto è bello ordinato in scafalature da dodici tempi l'una. E, sulla porta di un camerino a caso, qualcuno ha aggiunto in fucsia la parola “Triana!”. Mi viene voglia di partire, adesso, ancor di più. Mentre le immagini di un'Andalucía da cartolina accompagnano in un video i versi di Antonio Machado. E le note delle sevillanas mi ricordano la feria, la voglia di far programmi, il vestito da scegliere per muovere i miei passi in Calle Larios. Tornare alle origini, al cartello con sú scritto Calle Nueva (qué borrachera, qué borrachera), all'Erasmus, alla parte migliore di me. I fiori arancioni in testa, immagine dell'allegria. Ecco, anche di questo vi volevo parlare.

Della confusione intrinseca dei ritmi. Della Soleá por Bulería ripercorsa nella mente sulle note di Ehi Jude trasmessa da Virgin Radio. E poi delle movenze Dance abbozzate nei corridoi del retropalco, per smorzare la tensione, sul sottofondo di una bulería. Incrociare uno sguardo perplesso. Giustificarsi in un “ormai sto delirando”, e scoppiare a ridere di vero cuore.



Perché del saggio di flamenco, alla fin fine, a me é soprattutto questo che rimane. La socializzazione facilitata da una vicinanza forzata. I gossip da camerino. Il buen rollo e i mucha mierda urlati a squarciagola non appena le lancette si avvicinano alle nove. Restano il prima e il dopo, piú che il durante semi-inconsapevole in cui batti i piedi su quel palco. E ci sono solo il legno. I piedi. Il tuo occhio reso orbo da un faro troppo accecante e i tanti altri occhi funzionanti che, anche un po' a causa di questo, non vedrai mai.

Applausi.

Restano i momenti epici. Quelli da cui é facile estrapolare aneddoti di impronta vagamente leggendaria. Tipo le note di Funiculí Funiculá, rivisitate in chiave flamenca, al centro di una crisi nelle prove generali. I dialoghi tra miopi, e “non mi fare cenni, perché non ti vedo”. O l'avvenenza di quel tecnico di palco (audio? Luci? Francamente non ne ho idea) che mi fa capire, in un risveglio ormonale, che alla faccia del clima l'estate é vicina. Allora é tempo di mangiar ciliege, di dormire su una sdraio con le cuffie nelle orecchie e il tuo costume rosso uguale uguale a quello della tipa della Kellogs.

Ecco: é per tutto questo, per quest'allegria incontenibile, che vale ancora e sempre la pena ballare. E a mó di post scriptum sono lieta di dirvi che forse mi sbagliavo. Che forse neanche quell'altra, di passione, é finita come credevo. E' bastato ascoltare una canzone. Innamorarmente perdutamente. Premere di nuovo play.




Ho comprato un biglietto per andare a vedere Dani Martín a Barcellona, il prossimo 20 Dicembre. Forse, alla fin fine, non cambieró mai.  

mercoledì 5 giugno 2013

75 consigli per diventare una twitstar

E va bene: il post é un po' nerd, e forse non fará ridere tutti. Se, peró, avete qualche – pur vaga- esperienza col mondo dei cinguettiii, assicuro che vi ci divertirete da morire. La versione originale é stata pubblicata sull'edizione spagnola di GQ, e potete consultarla a questo link. Qui, mi limito a tradurla per i non ispanoablanti, convinta che davvero ne valga la pena. Ah! E ringrazio Anto, l'amica spagnola che me l'ha fatta scoprire.

75 consigli per diventare una twitstar

Guida rapida a Twitter per novellini ambiziosi.


Non sapere cos'é Twitter nel 2013 dovrebbe essere motivo sufficiente perchè chiunque ti circondi pensi tu sia stato cresciuto in mezzo ai lupi. Perché, in meno di un lustro, questo social network é diventato lo strumento perfetto per fare amici, informarsi, rimorchiare, raccontare barzellette, mettersi d'accordo con mezza Spagna per accamparsi in una piazza, inventare pettegolezzi e addirittura rovesciare dittature.


Il suo funzionamento, per quanto apparentemente semplice, nasconde molti piú misteri di quelli che il novellino potrebbe prevedere; ma una volta dominato con maestria, puó far sí che un ragazzo di Villanueva de los Corchos, provincia di Zamora, con i brufoli, una nuca indurita dagli schiaffi dei compagni di scuola e un po' asociale sia diventato un leader delle masse a cui piovono addosso fan, offerte di lavoro, bigliettoni da 500 euro, sassi, reggiseni e persino proposte indecenti. E' una twitstar. E anche tu puoi esserlo. Per questo su GQ ti presentiamo la guida definitiva: 75 consigli che faranno sí che ti trasformi in twitstar senza esserti neppure ancora iscritto a Twitter. Prendi nota.



FUNZIONAMENTO DI BASE.

1. Hai 140 caratteri da usare. Ricorda, hai il potere di modificare il tuo messaggio, non la grammatica castigliana.
2. La @ iniziale dei nomi é muta, come l'acca o tua madre quando ha conosciuto la tua nuova fidanzata cubista di Torremolinos. 
3. La Timeline (TL) é dove vedi cosa scrive la gente che segui. La parete di un bagno pubblico, in pratica, ma piú raffinata. 
4. Se vuoi scrivere a qualcuno, gli fai una menzione. Per farlo, metti la @ e il suo nome all'inizio della frase; per esempio @tizio, ciao! 
5. @tizio non é un utente che io conosca. Non stressatelo. 
6. Non scrivere neanche a qualcuno “ciao”, é un po' da loser. 
7. Puoi anche non mettere il suo nome all'inizio del messaggio, e lo leggerá chiunque ti segua. Sempre che giá ti segua qualcuno. 
8. Puoi vedere chi ti ha scritto cliccando sulla finestra “connetti”, ma non é consigliabile che tu lo faccia nei primi 5 mesi. Non senza Prozac, almeno. 
9. I DM (altrimenti noti come MD o messaggi diretti) sono messaggi privati tra utenti. 
10. La principale funzione dei DM é criticare altri utenti o spettegolare. 
11. Servono anche per passare a qualcuno il tuo numero di telefono, e cosí spettegolare ulteriormente su Whatsapp. 
12. Non puoi mandare un DM a qualcuno che non ti segue, quindi lascia in pace @BarRafaeli. 
13. Con il tasto Retweet tutti i tuoi fans vedranno quel tweet che a te ha fatto tanto ridere, anche se non seguono la persona che l'ha scritto. 
14. Magari a loro non fará tanto ridere, attento; ma di questo parleremo dopo. 
15. Il tasto FAV serve, principalmente, per dare una pacca sulla spalla o per ricordare in un futuro quel determinato tweet. Quest'ultima cosa non avviene mai. 
16. Un hashtag ha davanti a sé un cancelletto (#) e serve per raggruppare tweets che parlano di una stessa cosa, anche se i loro creatori non si seguono tra loro. I piú popolari sono i Trending Topics. 
17. In realtá servono solo per parlare di Justin Bieber o degli One Direction. 
18. I bots sono account robot che lanciano pubblicitá su twitter. 
19. I bots are made for walking. 

PREPARATI A TRIONFARE



20. Se vuoi andare sul sicuro, scegli un avatar in bianco e nero di un attore classico. 
21. Se metti una foto della tua faccia, devi essere bello e la foto dev'essere artistica. 
22. Artistica non vuol dire che devi apparire nudo. 
23. Puoi anche mettere una foto di House. 
24. O di Brad Pitt in Fight Club. 
25. Il tuo nome utente dev'essere di una sola parola. Non mettere il tuo nome, né la tua data di nascita, né la tua etá e men che meno il tuo indirizzo di casa, perché non ci sta. 
26. La tua bio dev'essere una sola frase, il piú corta possibile e senza che ti definisca come un appassionato di qualcosa. 
27. Non va bene per la tua immagine pubblica neanche che tu sia “cittadino del mondo”. 
28. Se vuoi mettere il tuo curriculum, creati un profilo su Linkedin, non cercare di mettere tutto su twitter o non ti seguiranno manco i bots. 

ARGOMENTI SU TWITTER. 

29. A nessuno interessa cosa mangi a colazione. 
30. A meno che non mangi bambini. Forse quello potrebbe interessare alla @polizia. 
31. La gente che non é seguita da nessuno (da qui in poi: “pochifollowers”) é solita dare il buon giorno e il benvenuto alle stagioni. 
32. Ci sono 52 lunedí all'anno. Tutti sono uno schifo. Il resto del mondo lo sa giá. 
33. Ogni tanto piove. E' un fenomeno atmosferico curioso, ma che tutto il mondo soffre. Non sei Roberto Brasero. 
34. Puó anche essere che faccia caldo. Non serve che lo commenti, ma se twitti “ONDATA DI CALORE” puó essere che la gente inizi a pensare che tu sia un figo. 
35. I reality shows sono il combustibile di Twitter. Se vuoi avere argomenti di conversazione che portino molte interazioni, non puoi perdertene manco uno. 
36. Anche dalle notizie di Antena 3 vengono fuori tweets molto popolari, soprattutto da quelle trasmesse dalla metá del tg in poi. 
37. A chi non piace una fiera delle tapas a Huelva? 
38. Qualunque tema da monologo puó diventare un tweet popolare. 
39. Tweets su come foderare una trapunta o sulle chiamate del 1004 possono spianare la tua strada verso il successo su twitter. 
40. Va alla grande lo humor nero, anche se dovrai rassegnarti al fatto che ti piovano addosso piú sberle che a Bill Gates a scuola. 
41. It gets better. 
42. Sono anche molto popolari i tweets con conversazioni fittizie e umoristiche. Fanno molto 2010, ma continuano a funzionare, come gli occhiali wayfarer. 
43. Qualunque cosa, per irrilevante che sembri, puó diventare un buon tweet se la racconti in modo spiritoso. 
44. Non tutti sono spiritosi. 
45. Se non sei spiritoso fuori da twitter, non lo sarai nemmeno su twitter. Fattene una ragione. 
46. Scrivi a proposito di argomenti di attualitá. Il tempismo é molto importante su twitter e le mode passano piú veloci di uno spacciatore in un rave. 
47. I padri e i nonni sono una fonte inesauribile di ispirazione per tweet di qualitá. 
48. “Creiamo un Trending Topic”, forse non é tanto una bella idea come ti sembra. 

RAPPORTO CON ALTRI UTENTI. 



49. Seguire famosi é molto da “pochifollowers”. 
50. Tranne seguire @eva_hache, che é molto simpatica. Ciao Eva!
51. Cerca gente con interessi simili ai tuoi e scrivile apportando qualcosa ai suoi tweet. 
52. “ahahahah” non é apportare. 
53. Neanche “Amen” é apportare. 
54. Chiedere a qualcuno che ti segua é l'equivalente di gridare a una bella tipa “baciami” in una discoteca. Devi conquistartelo. 
55. Tra l'altro, é molto da sfigato. 
56. Gli sfigati non arrivano ad essere twitstar. 
57. Piú di cinque menzioni al giorno a una persona che non ti segue é stalking. 
58. Meno di cinque menzioni al giorno, ma avere il suo avatar stampato e appeso a tutte le pareti della tua stanza é comunque preoccupante. Stalking non lo so, non sono mica avvocato. 
59. La gente in genere capisce i tweet che lei stessa ha scritto, non serve che glieli spieghi. 
60. Non si risponde ai tweet di persone che non segui che non sono rivolti a te. Fuori dal contesto potresti essere preso per un imbecille. 
61. Puó anche darsi che tu lo sia e semplicemente lo dimostri al mondo. 
62. Questo secondo caso é parecchio peggiore. 
63. Si dice “unfollowback” quando un utente che ti seguiva smette di seguirti e immediatamente smetti di seguirlo anche tu. 
64. L'unfollowback é il “beh, se tu sei arrabbiato, adesso mi arrabbio io” virtuale. Proprio di un bambino di 7 anni. 
65. Un bambino di 7 anni non deve usare twitter. 

FAV e RETWEETS

66. I Retweets, come l'amore, non si chiedono, si danno. 
67. Si retwitta quello che credi che possa far ridere i tuoi followers. 
68. Retwittare conversazioni a cui tu non partecipi é un po' come vivere con tua madre a 45 anni e che lei ti compri i calzini di Spongebob. 
69. I Fav possono significare: 
- A me fa ridere, ma ai miei followers no. 
- Sono d'accordo. 
- Ti appoggio in questa discussione. 
- Ho visto come ci provi, birbantello!
- Non so cosa risponderti a questa menzione, ma non voglio essere scortese. 
- Mi annoio con questa conversazione e non ti risponderó oltre. Fine. 

UNA VOLTA RAGGIUNTO IL SUCCESSO

70. Non rispondere a tutte le menzioni, é impossibile. Tom Cruise risponde a tutti gli sconosciuti che gli parlano per strada? No. E tu non sei da meno di Tom Cruise. 
71. Se qualcuno ti insulta, rispondigli con un punto davanti perché tutti possano vedere come te ne strafreghi di lui. Per esempio “.@tizio cosa dici, signor Nessuno?”. 
72. Per favore, non insultate @tizio, che non so chi sia. 
73. Retwitta il giusto. Non sia mai che altri si portino via il tuo successo. 
74. Distribuisci ogni tanto un po' di fav tra i pochifollowers. Bisogna fare l'elemosina. 
75. Goditi il successo. Comprati una casa e vivi come Hugh Hefner. Te lo sei guadagnato, campione.





domenica 2 giugno 2013

Libri, Web, e Rulo.

Capita che ti trovi al molo quarto, sotto quella fastidiosa pioggerellina sottile a cui sei ormai tristemente abituata. Su di uno striscione bianco, la scritta “State of the net” ti ricorda la ragione per cui sei lì. Lo oscura parzialmente un giornalista, credo sia de Il Mattino. A pochi passi dall'ingresso, sbraita al telefono qualcosa che ha a che fare con l'incompetenza, twitter e un pezzo da scrivere in fretta. Incrocio uno sguardo perplesso con quello di tre hostess che avranno ad occhio e croce la mia età. Iridi parzialmente divertite esternano un silenzioso (ma palese) “Mio Dio!”. Lo condivido in un sorriso, ed entro alla ricerca del mio pass.




Dentro, l'ambiente ha il candore asettico della professionalità. La fila al bar allestito per l'occasione, uno schermo piatto, una sala più buia. Mi ricorda la BlogFest, e certo non a caso. Tempo di assistere ad una conferenza già iniziata. Poi, m'apparto su una sedia bianca durante la pausa caffè. Perchè capita che bastino pochi minuti per stilare importanti conclusioni. Del tipo che:

  1. Capisco ancora l'inglese parlato (gaudio e tripudio, brodo di giuggiole, soddisfazioni varie)
  2. Chiedere all'Italia una rete wifi il cui segnale non cada in continuazione è più o meno come chiedere ad uno spagnolo di rinunciare alla siesta. E cioè sbagliato. Contronatura. Sostanzialmente, quasi impossibile.
  3. Cimentarmi nel live tweeting mi diverte. Mi sprona alla sfida con me stessa. Coinvolge doti letterarie, capacità di sintesi, traduzione simultanea. Stimola, soprattutto, il mio innato istinto di competizione. Obiettivo: cogliere il succo del discorso nel minor tempo possibile. Trascriverlo in lingua italiana, restando al di sotto del 140 caratteri (imprescindibile lasciare spazio per commenti e RT manuali!). Pubblicare prima degli anonimi competitors seduti accanto a te. Bearsi dell'eventuale riuscita. Sempre e quando non cada il wifi.




Capita che tu ti renda conto, all'improvviso, che il lavoro che fai ti piace un bel po'. Che sei fortunata, malgrado quella sensazione acida che ti prende allo stomaco in un risveglio domenicale. Ormai ti ci sei abituata. Sì, anche a lei, come a quella pioggerellina. E ti gira nella testa un verso di Cemento Armato. Sempre quello, però in spagnolo. Così ti viene in mente che dovresti darti da fare per cercare qualcuno che ti accompagni al concerto del Cile a Treviso. O magari a quello di Prato, se proprio non c'è alternativa. Prato. Prati. Prados. De violetas. Y tú...




Basta. Capita che t'infili sotto la doccia, nel gesto meccanico di ogni mattina. E di colpo aspiri a lavarci via le sensazioni sgradevoli provate il giorno prima. L'acqua é sempre stata simbolo di rinascita, giusto? Ti levi in uno “squash”, fingendoti un po' Venere in eccessi di immodestia. Qualche lacrima in piú, tanto per fare. E la voglia disperata di cambiare qualcosa. Sí, ma cosa? Forse la mia vita non é poi cosí male, tutto considerato.

La mente torna a Riva del Garda. Due giorni prima di adesso. Uno, prima della pioggerellina al Molo quarto. La sala della biblioteca, gremita di persone. Di ragazzi con la voce un po' tirata dalla timidezza. Una sala gonfia di silenzi attenti che per me valgono piú di applausi. L'interpretazione teatrale di alcuni brani estratti dal mio libro. Mentre devo guardare altrove, pur di non commuovermi. Il mio libro. Il mio orgoglio. Poi, uno spritz. La salsina buonissima, appena un po' piccante, da versare sopra alle patatine. La crema catalana in quel ristorante a cui andiamo sempre. Mia madre che cerca di accasarmi. Io che rido.






No, non é male per niente, la mia vita. Capita che me ne accorga, ogni tanto. Soprattutto quando esce il sole. E al molo quarto, oggi, é piú piacevole l'atmosfera di State of the net. Oggi che, alla pausa caffé, puoi svaccarti in solitudine sui gradini. Sentirti baciata da quei raggi ancora un po' effimeri, e ricordare i tempi dell'universitá. Dei gossip guardando il mare. Delle cotte, dei progetti, delle idee di futuro. Quelle che, tutto sommato, hai ancora.




E allora ti rialzi pigramente. La voce di qualcuno che ti richiama all'ordine. Il pass con le iniziali e il nome dell'azienda. La volta che, da bimba, pensavo che essere una donna in carriera significasse per me tingermi i capelli di rosso. Chissá poi perché.

Capita che ci sia un vestito da accorciare. Una coreografia da ripassare. Un'estate di concerti che, anche se sembra lontana, sta per arrivare. E, tra un mezzo di trasporto e l'altro, tra una parentesi da chiudere e un'altra da aprire, ti ritrovi ad ascoltare in nuovo disco di Rulo. Molto simile al precedente, a dire il vero. Stesse strutture nelle canzoni. Stessa predilezione per i paradossi. Stessi sound, con qualche rara eccezione. Eppure, piacevole. Forse proprio in virtú del suo essere rassicurante. Forse perché, come un po' tutto quello che mi piace ultimamente, é in linea col lief motiv della malinconia. Una manciata di canzoni, in particolare, mi s'insinua oltre la pelle. El Mejor Veneno, Buscando el Mar, mi pequeña cicatriz … E poi “el vals del adiós”, coi suoi riferimenti a Piazza Garibaldi che mi ricordano Parma e certe strofe qua e lá che mi fan dire “sono io”. E se di un brano dici “sono io” quel brano ha giá portato a termine la sua auspicata missione.