martedì 9 luglio 2013

La Vida.

Ho ricevuto una lettera, qualche tempo fa. Una lettera vera, di carta e inchiostro, roba che nel duemilatredici quasi non ci si crede. Nella busta bianca, un foglio protocollo a righe larghe e una grafia che conoscevo bene. Pessima idea, quella di leggerla in piedi. 



C'è stato un tonfo sordo. Un urlo soffocato. Un velo di lacrime ad annebbiarmi la vista. 
Da allora, ogni post che avrei voluto scrivere è finito col sembrarmi estremamente banale. 

Chè io me ne sto qui, a pensare la mia vita in funzione della musica. I miei concerti. I miei progetti. La convinzione sempre più accesa e dirompente che l'inclinazione a vivere da fan sia roba da cuori solitari. 
Melensa, un sacco proprio. Tanto da indurmi ai paragoni romantici persino se parlo di canzoni. 
Ridicola. Dato di fatto. Eppure, chissene. 

Così ho comprato un biglietto per Prato. Riservato l'ennesima stanzetta in un hotel low budget, alternando euforia e moti di rabbia come ritmi diversi dentro a una playlist. Sullo schermo di youtube, un tutorial per ficcarmi in testa i passi della seconda sevillana. Una voce cadenzata, calma, spagnola. Golpe, tacón, tacón. L'idea del pescaíto frito in quel locale di Málaga. Le zanzare che approfittano del mio sudore. 

Nel mio piccolo mondo strano, qui, non fanno che fiorire frasi. Osservazioni sconnesse. Incipit bellissimi. Suoni di poesia. Sono inizi di storie che non riesco a continuare. Germi di idee che si aggrappano a un foglio nella ricerca disperata di una via di fuga. 

Scrivere. Ballare. Viaggiare. Magari cantare a squarciagola, aggrappata a una transenna in cerca di facce nuove. E' tutto qui, ancora una volta, quello che riesce a rendermi felice. Una vita bella, la mia. Una vita che d'estate sbarluccica al sole. E mi accorgo che mi piace da matti, mentre indosso costume e sorriso. 

Certo, arriva sempre la notte. E a volte, quando appoggio il libro sul comodino, ho nostalgia di persone che confondo quasi sempre con intere cittá. Ma alla notte segue il sonno. Segue il giorno. E, a questa mia vita di Luglio, io per niente al mondo ci rinuncerei. 

Peró, c'é stata quella lettera. 
E da allora mi chiedo – di nuovo – perché mai tutto questo vi dovrebbe interessare. 
Sono successe cose, certo. 
Una granita al Kiwi e Limone, i testi di De André, qualcuno che storpia in modo orripilante i gipsy king. Ho conosciuto persone nuove, tutte interessanti. Ne ho riviste altre. Ne ho persa qualcuna senza riuscire ad andare al funerale. E, ancora, ho fatto del gossip al tavolino di un bar. Mi sono sentita dentro un film, un sabato sera, quando in un locale affollato ho sgranato gli occhi davanti alle prime immagini di un disastro aereo. Mi s'è stretto il cuore più del dovuto. “Metti l'audio”, avrei voluto urlare alla televisione che nessuno guardava. Ho passato in rassegna con la mente le facce che conosco, per capire se qualcuno potesse trovarsi a San Francisco. Ho sospirato forte, quando ho capito di no. E intanto, tutt'attorno, un crocchio di persone che seguivano il mio sguardo. Una dopo l'altra, capivano. Passavano la notizia. Parzialmente indifferenti, ci bevevano su. 

Da quella lettera ho vissuto un sacco di episodi che avrei voluto deformare in chiave surreale. Ascoltato battute esilaranti che mi sarebbe piaciuto condividere in un tweet.

Solo che tutto, in qualche modo, tutto è diventato piccolo. Più piccolo di quell'esserino di 5 centimetri che a Gennaio cambierà radicalmente la vita della mia migliore amica. 

E anche adesso, per esempio, avrei voluto parlarvi di musica. Nell'ultima settimana i tre cantautori che seguo hanno sfornato un videoclip a testa. Beh, due videoclip e un lyric video, in realtà. Avrei...non so, voluto commentarli. Fare un intervento idiota sulla coincidenza. Aggiungervi, magari, la nuova (bellissima) canzone dei Negrita. Perchè nella mia vita, la vita che tanto amo, tutto ciò ha veramente un'importanza epocale. 






Ma una delle persone accanto a cui sono cresciuta sta per diventare madre. E a volte mi sorprendo a fissare il vuoto, pensando a casette delle bambole e converse all star in miniatura. Mi chiedo se sarà maschio o femmina. I regali per le bimbe mi piacciono di più, potrei comparle i vestitini per le Barbie! Però se fosse maschio... mi vengono in mente i discorsi deliranti che facevamo da ragazzine. Se fosse maschio e io avessi una femmina tra 4 o 5 anni, magari da grandi si innamorerebbero, chissà. Scoppio a ridere da sola. L'ho detto, sono incredibilmente melensa. 

Il fatto è che il giorno in cui ho ricevuto quella lettera ho provato una gioia fortissima. E da quel preciso istante, dal tonfo che ho provocato lasciandomi cadere sul letto, non ho fatto che pensare alla vita. A dove sono. A dove mi sta portando. A dove arriverò. 

Ho sentito di essere come il personaggio di un libro che ho letto da poco. Probabilmente chiusa in una sindrome da Peter Pan senza via d'uscita. Come lei, sì, solo un po' più felice. Mi sono chiesta se non mi manchi l'amore, una persona, una metà. E poi ho capito che, in ogni caso, non ho nessuna voglia di mettermi a cercarlo. Se proprio vuole, verrà lui da me. Intanto scrivo, ballo, mi aggrappo a una transenna. E mi rendo conto che... accidenti! “Un anno fa non avrei mai immaginato di essere come sono ora”. Ecco, l'ho detto di nuovo. E' almeno dal 2008 che, ogni dodici mesi, raggiungo questa stessa consapevolezza. La consapevolezza che tutto cambia in fretta, di continuo, senza che io neppure me ne accorga. Rendersi conto che cambia sempre in meglio, però, è una soddisfazione che non vi so manco spiegare. Perchè vuol dire che è dettaglio dopo dettaglio che il mondo continua a evolversi. E allora anche un dettaglio, per quanto insignificante, vale forse ancora la pena di essere condiviso. 

A quell'esserino di cinque centimetri io voglio già un sacco di bene. 






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