domenica 29 settembre 2013

Letture italo-spagnole per una Domenica piovosa


Se come me siete incastrati in una Domenica piovosa, magari avrete voglia di leggere qualcosa. Vi consiglio, allora, due post che mi sono particolarmente piaciuti. Sono entrambi a tema musicale, uno in spagnolo e uno in italiano. Così, giusto per accontentare la doppia anima di chiunque si identifichi nel titolo del blog. 



Quello in italiano, "Sindrome da dopo-concerto: le 9 fasi della depressione post- Live", è stato pubblicato su RockOn Magazine, usandomi piuttosto chiaramente come cavia da laboratorio inconsapevole. Perchè 'sta cosa è il mio ritratto spiccicato, dai. Non prendiamoci in giro! Però forse è anche quello di qualcuno di voi. Consigliato per tutti, quasi obbligatorio per i concertisti: vi farà sorridere un bel po'. 

"Las 10 mejores tiendas de discos de España", in castigliano, elenca - come da titolo - i migliori negozi di dischi di Spagna. All'insindacabile giudizio del magazine de El Mundo , io mi permetterei di aggiungere il solito Discos Killer's, in Calle Montera a Madrid. Per il resto, l'articolo è perfetto per i musicofili in partenza. Di quelli da stampare e custodire gelosamente all'interno della vostra Moleskine. 

Buona lettura! E Buona Domenica, piovosa o no. 




giovedì 26 settembre 2013

I Tweet Awards di #Odissea

Si è da poco conclusa, in quel di Rimini, l'edizione 2013 dei Tweet Awards. Ora: magari voi non lo sapete, ma il motto di quest'anno era “Fatti non foste a twittar come bruti”. Se ne evince che, in versione omerica o dantesca, non sono l'unica a pensare che Ulisse se la caverebbe alla grande con i cinguettii. 
Ci stavo riflettendo questa notte, in preda ad un fastidiosissimo attacco di insonnia creativa. Così, invece di mettermi a contare le pecore come farebbe una persona normale, ho finito col chiedermi cosa sarebbe successo se la manifestazione fosse stata organizzata con i personaggi di #Odissea



Il risultato è che mi sono ritrovata a sghignazzare da sola nell'oscurità della mia stanza, per poi sognare tutta la notte di scrivere. Che poi: sarà possibile sognarsi di scrivere? Il mio subconscio mi lascia sempre senza parole [ah-ah!].

Comunque. In esclusiva per i lettori del mio primo libro, ecco i premiati ai Tweet Awards - #Odissea edition. Con una succinta ma efficace cronaca dell'accaduto a cura dei reporter di @greek_news. Siete d'accordo con i verdetti? Voi chi avreste votato?




Twittero dell’anno : nAuSiKaA (@nauxx) 

La ragazzina, che non ha potuto presenziare alla manifestazione per motivi personali (o, come dice lei: “xkè i miei nn hanno voluto portarmi, sn disxata, li odio! :'''''''''( “) ci ha ritenuto a ringraziare per il riconoscimento con un tweet. Queste le sue commosse dichiarazioni: 

“No, beh, ma siete stramegafantastici! Vi lovvo 1 Casino! *__*”

Miglior Uomo su Twitter: Telemaco (@telemaco)

In abiti formali e particolarmente apprezzato dalle giovani presenti, il figlio del celebre Odisseo ha ritirato il premio dedicando poche ma sentite parole all'"importanza avuta da Twitter nel dare eco alla spedizione da lui organizzata per rintracciare il padre". Tra applausi scroscianti (e qualche insulto dai Proci - strategicamente stipati vicino al buffet) ha dedicato il trofeo alla famiglia e agli amici “che mi sono sempre stati vicino”. 

Miglior Donna su Twitter: Penelope (@penelope_)
Elegantissima in un abito della sua nuova collezione moda, Penelope si è lasciata sfuggire qualche lacrima di commozione. Mentre si sottoponeva ai flash (per lo più di @Novella1200Ac) qualcuno, dalla zona buffet, ha urlato “A'BBOONA!”. Ne è seguita una rissa immediatamente dispersa dalla Polizia. Antinoo Re dei Proci (@antinoo_proci), portato via di peso, ha brontolato chiedendo se non si potesse almeno aspettare che stappassero il vino.
Twittero Rivelazione: Elena (@elena_official)

Il nome della vincitrice – assente per evitare la pubblica gogna - ha provocato un coro di stupore.    L'organizzazione ha provato a motivare la scelta con “la capacità di usare il mezzo per mostrare il proprio volto umano, e riscattarsi così dagli insulti ricevuti al momento dell'iscrizione”. Ma poi, fuori microfono, ha aggiunto che, in realtà, “non se lo spiega mica”. A dirla tutta, neanche noi.
Twittero più simpatico: Lotofagi (@Lotofagi)
Un boato si è alzato dalla sala quando questa banda di bizzarri figuri ha ritirato il premio al grido di “Peace&Love fratelli! … Però togliete quelle polpette dal buffet, dai”. Uno di loro, intento a fissare il vuoto, si è poi avvicinato al presentatore chiedendo se sapesse, per caso, che giorno era. Poi ha fatto Ciao-Ciao con la manina a quello che secondo lui era un unicorno rosa. Mah.
Miglior Azienda su Twitter: Epeo (@Epeo_costruzioni)
Il riconoscimento, sottratto per pochissimi voti alla favorita Trinachia Turismo (@trinachia_turismo), ha premiato le grandi capacità imprenditoriali di Epeo. L'artigiano ha, infatti, sfruttato nel migliore dei modi le circostanze d'attualità per promuovere al meglio le sue creazioni. In segno di gratitudine, Epeo ha regalato un modellino in scala del cavallo di Troia a tutti i presenti. Molto gentile da parte sua, non c'è che dire.
Miglior Fake/Parodia: Nessuno (@nessuno)

L'annuncio del vincitore ha creato scompiglio. 
“Ma come è possibile che non abbia vinto nessuno?”, ha chiesto qualche disinformato che sembrava non vederci granchè bene. 
“No, Nessuno: Nessuno ritira il premio!”, ha provato a spiegare l'organizzazione. 
In effetti, nessuno è salito sul palco. 
Ma non è che questo abbia migliorato le cose. 

Miglior Celebrità su Twitter: Odisseo (@Ulisse)
Il verdetto era tra i più attesi. La Twitstar più famosa del globo, non potendo essere presente, ha voluto ringraziare con un video. Realizzazione spettacolare, va detto. 
Proviamo a descrivervelo: l'inquadratura si apre su di un posto decisamente molto caldo. Luci rossastre. Poi, si vede del fuoco. Con un effettone speciale della Madonna, la voce di Ulisse sembra uscire proprio da una fiamma. Incredibile, sul serio. Mentre le immagini scorrono, ci sembra di scorgere tra il pubblico un noto autore di Best Seller americano che prende appunti in modo compulsivo. 
Sullo schermo, intanto,  la lingua di fuoco si lancia dimenandosi in un discorso impeccabile in cui trovano spazio anche questioni di attualità stringente come – par di capire – il conflitto di Gibilterra. Un posto alquanto sfigato, quello lì, intuiamo. Sfigato e ventoso. 
Poi, il filmato si conclude con una scritta in sovraimpressione. E' il motto della manifestazione: “fatti non foste a twittare come bruti”, ma il sempre geniale Ulisse lo conclude con un'altra frase ad effetto: “...ma per seguir virtute e canoscenza”.

E' il tripudio. In sala prende il via una standing ovation. Applausi. Urla. Ragazzine che svengono. Poi qualcuno, poco impressionabile, esclama: “oh, guardate che c'è un refuso, "conoscenza" va con la O!”. 

Per tutta risposta, un tizio col naso molto pronunciato si alza stizzito. 
 “Non hapite un hazzo non hapite, maremma 'mpestata”, esclama. Quindi abbandona il luogo.  








PS: Dante, Scusa.


 
Anche a nome di Dan Brown.

lunedì 23 settembre 2013

Storie collaterali a Pordenone Legge.


Folle oceaniche. Serpentoni umani che riversano entusiasmo nelle strade e negli stand. Sono ragazzi in jeans. Signore eleganti. Gente che si sforza di incarnare in eccessi lo stereotipo di intellettuale. In mezzo a loro, pennellate di giallo. La divisa dello staff, il colore del logo. Attorno, vetrine curatissime s'addobbano a tema. Una pagina stampata appesa tra i gioielli. Una pila di volumi impolverati che si incastra tra i maglioni. Una citazione letteraria stampata sulla maglietta, magari, perchè no?



Se dovessi descrivervi Pordenone Legge, lo farei così. Senza troppe differenze rispetto all'anno scorso. Simili i contenuti. Uguale, il mio entusiasmo. C'è ancora quell'incredulità quasi commossa nel constatare quanto la cultura sappia, in fondo, appassionare ancora.



Se dovessi descrivervi Pordenone Legge, la Pordenone Legge che ho rivissuto Domenica, parlerei senz'altro della marea assiepata in una piazza per sentir parlare Lucarelli. Vi direi di quel cartello con su scritto “Sold out” (beh, “tutto esaurito”) che mi ha impedito di dare un volto a Pennac. E poi accennerei a Bartezzaghi. Al suo pubblico di età miste, dove trentenni con la faccia da giornalisti e la maglietta a righe convivono armoniosi con i professionisti del web. Una ragazza twitta dalle prime file stringendo in mano l'iphone: appoggiate sulle gambe, una moleskine classica e la biografia di Steve Jobs. Alle mie spalle, un dibattito in corso sulla reale necessità di definire il concetto di Creatività. Io che intervengo dicendo che provarci è divertente. Lo sciaquio consolatorio del fiume come sottofondo un po' new age. Poi, la pausa caffè. Ecco, forse vi parlerei anche di questo. Del contrasto di sapori e temperatura. Del sorbetto al gusto moka che si intinge nel cioccolato appena tiepido nel bar che tanto amo. E poi, cigliegina sulla torta, aggiungerei al tutto il libro abbandonato su una panchina fuori mano. Il titolo che non riesco a leggere, il book crossing che mi attira. Ma forse non abbastanza da allungare il percorso tra le ortiche.



Sì, se dovessi descrivervi Pordenone Legge, il mio post finirebbe qui. Sarebbe un vortice di immagini impoverite da lettere e sintassi. Una polaroid sviluppata per il mio ricordo e per l'onor di cronaca. Però, non ci sarei dentro io. Perchè sì, insomma, è abbastanza ovvio che la manifestazione si meriti più di un cenno. D'altro canto dovreste averlo capito, che l'adoro. Ma gli episodi di cui volevo davvero parlarvi si inquadrano nel contesto senza averci niente a che fare.


Prendiamo quel negozietto appartato, per esempio. Una stradina a fondo cieco, pochi metri quadrati indicati, più in là, da un cartellone. Lo gestisce una ragazza entusiasta che avrà ad occhio e croce solo pochi anni più di me. Vende oggetti vintage che lei stessa va periodicamente a prendere in inghilterra. Un solo esemplare per tipo, niente a che vedere con i rifornimenti all'ingrosso dei centri commerciali. Ci sono abiti rossi taglia XL, con la scollatura sulla schiena impreziosita da svolazzi. Scarpine a punta arrotondata. Forbicette per le unghie a forma di Pin-up. E ancora pins dei Beatles, oggetti d'arredo, appendiabiti di richiamo regale e scatoline per il tea. Ci sono gemelli con le @ per gli informatici alla moda, cerchietti con grossi fiocchi e lampade da tavolo. Tutto all'insegna dell'originale. Del difficilmente rintracciabile. Tutto, rigorosamente, british.

La ragazza, gentile in modo emozionante nel micro-mondo burbero delle commesse d'oggi, mi cede un biglietto da visita col suo contatto Facebook. E, non appena esco da lì, ho in testa un'altra idea. Del tipo che mi piacerebbe mettere sù un negozio del genere, però in versione spagnola. Ve l'immaginate? Avrei il pretesto perfetto per viaggiare in Spagna a ritmi regolari, e appagherei me stessa – oltre a buona parte dei miei lettori – con un rifornimento misto di cd, libri in lingua originale, bottigliette di colacao, tinto de verano Sandevid, fiori per capelli e abbigliamento flamenco il più possibile low cost. Forse arricchirei l'offerta di maglie mala mujer o callate la boca, e accetterei richieste per ordinazioni su misura.

Sarebbe un piccolo Paradiso per filo-ispanici. Un piccolo Paradiso per me.
Peccato che pochi metri più in là, di fronte a Coin, l'originale “mostra di follia burocratica” allestita in modo egregio da un cittadino qualunque basti a farmi passare tutta la buona volontà. E proprio mentre sono già passata ad arredare nella testa il mio fantomatico esercizio commerciale.

In un moto di protesta tanto originale quanto efficace, il cittadino in questione ha esposto gli atti notarili, le pratiche, i pagamenti e i documenti che gli sono stati richiesti negli anni per poter avviare la sua onesta attività. Ostacoli che farebbero passare a chiunque la voglia di mettersi in proprio. Disgusto tutto italico. Per l'appunto, follia.

Fortuna che di idee ne ho tante, ed archiviarne una – poi, del tutto scapestrata- non fa così male.
'Somma, dimentico in fretta. Specie quando trovo un negozietto di dischi old-style, e scelgo (capirete!) di passarci la mezz'ora successiva.

Dentro, il proprietario sta appassionatamente riassumendo la trama di Dawson's Creek ad un signore che non vedo in faccia.
“Sono le storie di questi ragazzi adolescenti” - sta dicendo - “Che vivono in un posto che si chiama Dawson o una roba così, da lì il nome della serie”.
Mi viene l'impulso di interrompere urlando: “Nooo, Dawson è il nome del protagonista!”, ma vengo distratta dall'apparizione di un nuovo album de Il Nucleo. Cioè, Il Nucleo, ci rendiamo conto? Sono ancora vivi? Cos'era che cantavano, aspè...?! Lo shock è tale che mi perdo buona parte dello sviluppo successivo della trama.
Quando mi sincronizzo di nuovo sui discorsi del proprietario, sta passando in rassegna i protagonisti:
“C'è la bionda un po' facilotta, la morettina che sta con uno del gruppo, l'amico simpaticone...”
Beh, devo dire che sta rimediando bene alla gaffe dell'inizio, però. Bravo. Bella sintesi. Quasi quasi applaudo.
Anche il signore (di cui continuo a non vedere la faccia), in effetti, sembra convinto.
“Ma quindi dice che come regalo per una ragazzina può andar bene?”
“Sì, se non l'ha vista senz'altro...è stata una serie cult negli anni '90, la guardavano tutti!”.

Nel frattempo, un tizio al mio fianco fa il figo con un gruppo di amici parlando di Glam Rock e tramonto psichedelico, per passare conseguentemente all'elencazione di tutt'una serie di band dai nomi improbabili che “non si conoscono tanto, però...”. Non che i suoi interlocutori sembrino particolarmente interessati, ma tant'è.

Poi qualcuno mi suggerisce di “provare a guardare nel reparto musica internazionale, con la lettera M”. Ed io mi giro con aria perplessa chiedendo sinceramente smarrita: “Perchè? Chi è che ha il cognome che inizia per M?”.

Il tutto dopo avervi stressato per una settimana almeno con una serie infinita di post monotematici. Parliamone.

Alla fine compro Fabrizio Moro e i Negrita . Ovvero, niente più e niente meno di quel che ero venuta a cercare. Guarda caso, sono anche in perfetto ordine alfabetico. Sul bancone, accanto alla cassa, c'è una copia del cd di Tony Bennet. Quel cd, voglio dire. Con quel cognome che inizia per M ben evidente sulla copertina. Mi viene da ridere. Ma un sacco, proprio.




Non so com'è, ma se si tratta di musica (e di libri!) anche spender soldi mi mette di buon umore.  

sabato 21 settembre 2013

Ancora tu: l'ennesimo (e ultimo!) post sul nuovo disco di Dani Martín


Sintomi inequivocabili del fatto che ti piace un disco: 
1. Non riuscire ad evitare di muovere le labbra seguendo i testi delle canzoni. Anche se l'ascolti in cuffia. In un luogo pubblico. Con l'aggravante dell'oscillazione (poco) armonica del corpo nelle pause strumentali. Sai perfettamente che, vista dall'esterno, sembri un'epilettica in preda a convulsioni. Ma fondamentalmente, in quel momento, non te ne frega alcunchè. 

2. Lasciarsi trasportare dalla musica al punto da rischiare di mancare la tua fermata. Il che non è bello, se ti trovi a bordo di un treno diretto a Venezia. Cioè a due ore da casa tua e più di una dal posto in cui sei diretta.

3. Fissare il vuoto con aria ebete mentre cerchi di infilarti il golfino rosso che avevi previamente - ed opportunamente-  appallottolato nella maxi-borsa coordinata. Sentirti dire dalla sconosciuta che ti siede di fronte "Guarda che l'hai messo al rovescio", e urlare un "ODDIOOOOGRAZIEEE" a volume inappropriato, tutto attaccato e con troppe vocali. Scateni immancabilmente gli sguardi sconcertati di un ragazzo intento a guardare una serie tv al computer, di un signore che stava messaggiando al cellulare, e ovviamente della tizia in questione. Una ragazza, al tuo fianco, si sveglia dal pisolino che stava beatamente schiacciando. E tu senti il vago (ma proprio vago) desiderio di scomparire soltanto quando ti decidi a schiacciare il tasto pause. 

Insomma: alla fine è andata così. Il furgone parcheggiato sotto casa. Le unghie sui bordi dell'involucro di plastica. E tutta una valanga di emozioni. 




Non avrei voluto parlarvene, davvero. Tre post consecutivi sullo stesso argomento sono un po' troppi, anche se li segmenti in diverse sfaccettature. Solo che, dopo tre anni, un altro album ha saputo trasformarsi in un simulacro di droga. Di quella che ti inietti in vena. Che arriva al midollo. Dalle note al cervello, sputtanandoti i neuroni. E d'un tratto sei pimpante, pulsazioni accelerate, euforica e iperattiva in modo quasi chimico. Come quei tizi coi rasta che mi passano davanti mentre provo a riprender fiato sulle seggiole metalliche di una qualche stazione. Si urlano addosso, il tono acceso da una rabbia feroce, animale, inumana. Poi si abbracciano, e ridono ancora. 

I dischi- droga non sono facili da trovare. Ti infondono il bisogno fisico di ascoltarli in loop. Di ricominciare dalla prima traccia quando arrivi all'ultima. E poi di nuovo. Di nuovo. Ancora. Dopo tre anni ne ho trovato un altro. E mica è colpa mia se sulla copertina c'è sempre lo stesso nome. 

Poi ho scritto una cosa. Righe buttate giù in spagnolo. Filo diretto cuore-carta, dopo il primo ascolto. Occhi umidi e poca attenzione alla sintassi. Un documento pdf da convidere senza pensarci sù. E, per qualche ragione a me ignota, quelle parole sono riuscite a toccare un numero di persone francamente inimmaginabile. Dal diretto interessato alla strale di sconosciuti incuriositi da un ringraziamento pubblico. Esaltati al punto da passare parola, mentre inerte e francamente shockata assistivo all'aumento di follower, imbarazzo ed anche di un po' d'autostima. Ecco perchè ho pensato che, se le mie sensazioni avevano riscontrato l'approvazione di tutta quella gente, magari potevano allora interessare pure a voi. Voi che, oltretutto, le premesse le sapete. E allora si fa in-necessario dirvi del momento strano in cui questo cd mi è entrato nell'esistenza. Della perdita - apparente, a quanto pare inesistente - di passione. Della rivelazione per cui ad essere cambiato è solo il modo in cui la vivo. 

Io ve lo prometto: è l'ultimo post (almeno per un po') che dedico al nuovo lavoro di Dani Martín. Ma, prima di archiviare il discorso, lasciate almeno che vi presenti le canzoni che mi sono piaciute di piú. 


ESTRELLA DEL ROCK




É auto-ironica. Divertente. Spensierata. Ed é - soprattutto - una dichiarazione di intenti. Il featuring, che coniuga la musica popolare messicana al piú classico dei Rock 'n'Roll, é a cura de Los Cuates de Sinaloa. Se il nome, lí per lí, non vi dice niente, sappiate che sono gli autori della sigla e colonna sonora della serie cult Breaking Bad. Ogni volta che ascolto "Estrella del Rock" mi trovo a sperare con tutta l'anima che qualcuno, pur non essendo fan di Dani, riesca ad uscire dalla scatola chiusa dei suoi pregiudizi e si permetta di premere play. Anche solo una volta. Anche soltanto per curiositá.
Magari non cambierá idea sul cantante - non aspiro a tanto - peró la cambierá sulla persona. Perché chi sa ridere di sé merita rispetto a prescindere. Sono anche abbastanza certa, tuttavia, che in pochi si prenderanno la briga di darsi (e dargli) questa possibilità. 

CARAMELOS



Sarebbe il singolo perfetto per l'Italia, ne sono convinta. E' latina abbastanza da rispettare le aspettative dell'italiano medio nei confronti della musica ispanofona. E' ritmata abbastanza da non riuscire a stare fermo quando l'ascolti. E' allegra abbastanza da contagiarti di continuo buonumore. 


EMOCIONAL

Poco da aggiungere, è quasi perfetta.


GRETEL



La prima volta che l'ho ascoltata, per qualche motivo, mi sono ritrovata a sentire qualcosa di umido e salato che mi scendeva dagli occhi. Non mi succede tanto spesso, di piangere per una canzone. E, onestamente, a tutt'oggi non so perchè mi sia capitato. Perchè mi continui a capitare, anzi. Ogni dannata volta che la sento, in cuffia o dallo stereo, a volume alto o appena percepita dalla stanza accanto. La melodia è allegra. Il testo è velato di positività. Eppure, io ascolto Gretel e piango. E' come se mi rimescolasse qualcosa dentro, vai a capire. Se prendesse le mie budella, le strizzasse, e ci facesse un nodo. Parla di due persone che non sono destinate a stare assieme. Lui dice a lei che non vuol essere la causa delle sue sofferenze, e le chiede di continuare a fare la sua vita. E' il primo "sólo te pido que salgas a bailar" che mi annienta. E' sua la colpa, dannazione. Cedo sempre lí. 



La preferita di mia madre. Un tango cantato a duetto con Joaquín Sabina. La sua inconfondibile voce ruvida che si sposa inaspettatamente bene a quella di Dani. Un'atmosfera vagamente retró.


UN AVIÓN [Ed. Speciale Carrefour]

Si capisce giá dal titolo, dai, che mi sarebbe piaciuta.
La frase "busco un sol que alegre mi mañana, un avión que me aleje de aquí" , poi, dice tutto giá da sola. 


EL PUNTITO 

C'era una specie di gioco. Una serie di sfide inventate dalla Sony per far assaggiare l'album prima della sua uscita. Tu rispondevi a dei quesiti. E, ogni volta che risposta era corretta, potevi ascoltare dieci secondi di una canzone. Ora: capirete che dieci secondi non ti permettono, in nessun caso, di apprezzarne o capirne il testo. Cosí, sulla spinta di un entusiasmo tutto melodico, avevo fatto sfogo della mia solenne idiozia. Dicevo che era piuttosto normale che mi piacesse, dal momento che il mio cognome, in inglese, significa punto. Scherzavo - idiota, l'ho detto - sul fatto che di sicuro era stata scritta per me.
Poi é arrivato il disco. Finalmente, il testo, l'ho ascoltato in versione integrale. E la cosa assurda é che lo vivo SUL SERIO come se fosse stato scritto per me. 
Mi fa riflettere. Mi costringe ad esercizi di autocritica. Mi spinge a pensare a tutte le volte in cui ho voluto, desiderato, chiesto, preteso. E magari non ho dato io. Magari sono stata cosí concentrata su quello che mi sarei aspettata da non chiedermi cosa volessero gli altri. O forse ho creduto che le cose mi fossero dovute, che mi piovessero addosso da quel "cielo perfecto y bonito" e non dovessi provare, invece, a lottare per conquistarmele da me.
Sulle poche righe che ho scritto in spagnolo mi é sembrato doveroso chiedere scusa a chiunque leggesse, se mai qualche volta avessi commesso quell'errore anche con loro.

A mó di postilla, lo pseudo-rap del finale sembra fatto apposta per un featuring di Jovanotti. Ché tanto, a collaborare con gli spagnoli, ormai c'é abituato da un po'. 







Ah! Forse non lo sapete, ma il cd - nella versione standard da 11 pezzi - é giá ascoltabile gratis e legalmente su Spotify. Insisto: dategliela, una possibilitá. 



martedì 17 settembre 2013

17 Settembre.

Questo periodo dell'anno, per me, ha sempre avuto odore di nuovi inizi. Non che pretenda di essere originale, certo. L'ho sempre detto, che Settembre è capodanno un po' per tutti: si fanno progetti. Si stabiliscono obiettivi. Si abbandonano abbronzatura e spensieratezza in favore di un ritorno alla routine. A Settembre si decide di andare in palestra. Di fare carriera. Di provare a sviluppare quell'idea. Di mangiare un po' di meno, risparmiare per un viaggio; magari soltanto leggere un po' di più. E per un momento, fosse anche solo un istante, si crede davvero di potercela fare. 

Non ci sarebbero così tante canzoni a parlare di questo mese, in fondo, se non fosse per tutti una nuova occasione. Eppure non è a questo che mi riferivo. No. Io parlavo delle date. Di questa data. Di un numero che a me non ha mai portato sfortuna. 

Era un diciassette di Settembre quando, in un aeroporto in cui non sono più tornata, sul boeing di una compagnia aerea che non ho mai più usato, m'imbarcavo per la più bella delle avventure. Era un viaggio lungo, di quelli che esigono valige più grandi di te. Nello stomaco, la lieve paura eccitata che precede le azioni che ti sembrano insensate; e poi, curioso a dirsi, sono proprio quelle di cui non ti penti mai. Ricordo che il volo era trascorso tra chiacchiere e qualche lacrima. Doveva essere così. In un film lo sarebbe stato. Non la conoscevo bene, Daniela. Giusto un incontro fugace in Via D'Azeglio alla consegna di un paio di moduli. Eppure entrambe, su quell'aereo, trovavamo giusto raccontarci la vita. La vita passata, la vita in Italia, la vita di pre-erasmus che ci aggingevamo a lasciare. Certe cose dette a lei, forse non le avevo forse ancora ammesse nemmeno a me stessa. Tanto non avevano importanza.Tanto lo sapevo, in quel momento come lo so ora, che quel viaggio mi avrebbe cambiata per sempre. Che quei dieci mesi a Málaga mi avrebbero resa una persona diversa. Una tornata con la gonna lunga, un top marrone e un fiore in testa, che in dialoghi di lingue mischiate sarebbe stata scambiata per spagnola. Una che, per guardare il mondo, indossava adesso un altro paio di occhiali. E non parlo soltanto della montatura. 





Era un diciassette di Settembre, solo un paio d'anni dopo, quando mi svegliavo in un'era distinta sul letto di casa mia. C'era ancora qualche scatolone da aprire. Il portaoggetti rosso e bianco dell'Ikea, un paio di tazze da caffé, la lampada bianca da scrivania. E tutti quei vestiti, ancora, i vestiti che non sapevo come accidenti far stare in un solo armadio. Il treno mi aveva ricondotta al mio paesello, assieme alla malinconia di una vita che lasciavo per sempre e le speranze di neo- laureata di un futuro per cui lottare. Un futuro che non credevo mi sarebbe stato cosí ostile. Centodieci e lode. Una tesi ben fatta di scenari poi realizzatisi con immancabile precisione. Un blog. Qualche contatto importante. Le speranze del mondo che sentivo riposte su di me. Sarebbe bastato mandare qualche curricula, questo pensavo. Giusto un paio, poi avrei scelto tra proposte svariate. Presuntuosa, forse. Ottimista, di sicuro. A tratti spaventata dallo stesso momento di leggera depressione che due sere prima, sotto l'aria frizzante di Parma, mi aveva increspato l'animo. Il dialogo che ne era seguito mi avrebbe accompagnata, come un fantasma di melodrammatico, in tutti i momenti di sconforto degli anni a venire. Perché é esattamente cosí che si sarebbe svolto in un film. Tuttalpiú con un primo piano sulla lacrimuccia trattenuta a stento che nessuno ha visto nella benedizione del buio. 
“...e se poi non lo capisco, cos'é che mi rende felice?”. 

Quel 17 di Settembre mi ero svegliata consapevole che non ci sarebbero piú state sessioni d'esame, aperi-cena all'Aquolina, feste in appartamenti minuscoli o serate in Pilotta in mezzo alla settimana. Non ci sarebbero state sangríe al Tapas con Francesca dopo le lezioni di Tarantino, né la sveglia di Laura che suona troppo presto con note dei Rolling Stone. La mia vita di studentessa a Parma si era conclusa in un punto e a capo. Ora c'era da rimboccarsi le maniche, e capire com'era quella da donna adulta nel mondo del lavoro. 




Potrei andare avanti potenzialmente all'infinito. Ma oggi é un diciassette di Settembre, e per quanto il confronto apparentemente non regga, anche il disco che oggi esce é epico un bel po'. Per questo ho deciso di resistere, fan stoica ed attaccata ai rituali; per questo non ho ascoltato nulla, nonostante il lavoro degli hacker e le innumerevoli filtrazioni online. Doveva essere un diciassette di Settembre. Come detto. Annunciato. Scritto su carta ormai da un bel po'.




Ché Dani Martín, stavolta, non ha usato titoli. Si presenta cosí, con il suo nome e basta. Con il progetto di un elaborato pout pourrí (comunque si scriva) che – se tutto va bene – dovrebbe portarlo anche in terre italiane. Ad anticipare il tutto, un singolo che parla di ricominciare da capo. E tutta intera,  prepotente, inarrestabile, la montagna russa dei miei moti interiori. Io che l'ho "rinnegato". Allontanato. E ci ho sofferto. E poi di nuovo, mi sono entusiasmata. Esaperata. Nauseata. Io che non mi trovo piú a mio agio nella competizione d'invidia di alcuni tra i suoi fan. Troppo giovani, d'un tratto. Troppi decibel negli urli, troppe file nelle attese. Io che ho riscoperto in altri ambienti quanto seguire la musica possa essere invece ancora divertente; quanto sia piú bello parlare di arte  piuttosto che di una pettinatura; E poi peró non riesco a non attendere con ansia. A non fare progetti. A non sperare che un abbraccio mi riporti a quel che ero. Consapevole che quel che ero, tutto sommato, non potró esserlo mai piú. 

Ma Dani Martín é Dani Martín, e forsa la mia vita riuscirá a cantarla sempre. Anche oggi. Anche con questo lavoro. Perchè Dani è quel tipo di persona che incontra una tua amica a Madrid e inaspettatamente, senza che nessuno faccia il tuo nome, le chiede di te. Come sta Ilaria. Dov'è. Che fa. E dalle un bacio da parte mia. Tu lo vieni a sapere, lo ringrazi in un messaggio privato, e - sarà anche di due sillabe - ma la risposta fa dimenticare ogni rancore. 

Così ti trovi a pensare che, tutto sommato, pettinatura ed arte non sono necessariamente incompatibili. Clicchi compulsiva sul link della mensajería DHL. E d'impulso, all'insegna del "tutt'al piú faró del turismo" ti prenoti un volo per Bilbao. 

Ci ho fatto un outfit dedicato, a quel disco, manco a dirlo. 

Eppure, mentre lo ripropongo, mi viene in mente che oggi esce anche un greatest hits dei Negrita. Che magari non saranno tra i gruppi epocali della mia esistenza, ma ne hanno fatto parte – oh, eccome -  in modo abbastanza decisivo. Basti pensare alla videointervista in cui sono incappata per caso. Parlavano del rock argentino. Del Cile. Di una canzone che mi é rimbombata in testa per l'intera durata dell'estate. Mi sembra un segno, anche questo. Come mi sembra un segno che oggi, diciassette di Settembre, la mia migliore amica ha scoperto che in grembo porta una bambina. Il migliore dei risvegli, in sequenze di bip. 
"Finalmente ho un pretesto per compare le Barbie flamenche!", ché ora sembra tutto un po' piú vero. 

E' il diciassette di settembre. E, alla luce di tutto questo, ho deciso di iniziare a lavorare seriamente al mio secondo libro. Di strutturarlo, quantomeno, in attesa di tempo concreto per buttarlo giú. 

Poi magari sará l'ennesima idea che accantoneró dopo un capitolo e mezzo. Il contrario, ormai, non ve lo posso garantire. Peró oggi guardo il calendario, e di colpo mi sento fiduciosa. 

lunedì 16 settembre 2013

I look ispirati ai dischi: il nuovo di Dani Martín!

La data di domani, per me, é carica di simbolismi. Capirete cosa intendo quando leggerete il post dedicato: uno di quei lunghi polpettoni riflessivo barra melodrammatici in cui mi lancio ogni tanto; Probabilmente credendo di essere una sottospecie di eroina da libro chick lit di bassa lega. 

Comunque. Tra i tanti eventi epocali che avranno luogo tra meno di ventiquattr'ore, c'é anche l'uscita - sul mercato spagnolo e latinoamericano, per il momento - del nuovo disco di Dani Martín. E, dico io: potevo forse dedicare ad altri la puntata odierna della mia rubrica modaiola? No. Decisamente no. In effetti, non so manco perché l'ho chiesto. 

La copertina, in stile retró, ritrae il cantautore a New York, in uno scatto del bravo fotografo Bernardo Doral. Oltre al bianco e nero (per la veritá deviato al seppia) della foto, l'unico altro colore presente é il rosso del titolo. E proprio queste sono le tinte che ho scelto per l'outfit, che in parte ricrea in versione femminile l'abbigliamento dello stesso Dani e in parte lo correda di elementi a lui collegati. La borsa e le scarpe, per esempio, sono del marchio J'hayber, sponsor dei suoi ultimi due tour, fautore di svariati fanpoint a lui dedicati nella penisola iberica, nonché etichetta per cui egli stesso ha disegnato una linea di calzature. 

La maglietta (rigorosamente bianca come quella che si intravvede sotto il giubbotto in pelle del Martín), nella mia versione si arricchisce di un motto. "Be You...tiful", si legge. E non l'ho certo scelto a caso: basti pensare all'invito ricorrente ad "essere se stessi", che troviamo in tutti i testi e in tutte le interviste rilasciate dal musicista sui media.

Il tocco ironico é la confezione di gel per capelli, che richiama la nuova - e chiacchieratissima - caratteristica principale del suo look. Buon ciuffo a tutti (e ricordate che gli outfit sono anche sull'apposita bacheca Pinterest)! 


Music Inspired!- Dani Martín


giovedì 12 settembre 2013

Spazio segnalazioni

C'é questo blog, o sito, o come vogliate chiamarlo. Si chiama "Pop And Roll Arts", e ogni volta che lo apro mi torna in mente quella scritta su parete piastrellata che credo di aver giá condiviso tempo fa. A beneficio dei distratti (o di un mio errore) recitava: "Earth without Art is just Eh". Per quanto mi riguarda, la sintesi perfetta di un dogma universale. 

É di questo che parla, quello spazio su Tumblr. Di arte, in tutti i suoi aspetti. Dalla street art agli interventi architettonici; dalla scrittura creativa ai mimi di strada; dalla musica alla moda, passando per quelle piccole sorprese del quotidiano che, uscendo dall'ordinario in chiave - quasi sempre - estetica, sorprendono di qualche emozione. 




Ma la cosa migliore é la sua dimensione social. Il fatto che le immagini, gli spunti, e i video che lí trovate sono quelli che manda la gente. Via instagram, mail, magari whatsapp. Non importa. Quel che davvero conta é esserci. Condividere un po' di bellezza e di vita con chiunque abbia voglia di soffermarsi a guardare.



Il risultato é che in uno stesso spazio virtuale si concentrano contributi di personaggi noti (i nomi non ve li svelo: il bello é scorrere con il mouse per ritrovarseli da sé) e perfetti sconosciuti; di scrittori e di lettori; di musicisti e di ascoltatori; di pittori, designer oppure semplici osservatori con uno smartphone in mano. Il tutto in un formato che incentiva la fruizione mordi e fuggi - ahimé- tristemente tipica del web. 

Se ve ne parlo, oggi, é per tre ragioni almeno. 
La prima é che "Pop and Roll Arts" é davvero una delle scoperte piú interessanti che io abbia fatto ultimamente in rete. E ormai sapete che quando mi entusiasmo non sono capace di tenermelo per me. 
La seconda é che, per strane coincidenze del Destino, l'italianissima idea che ha portato a realizzarlo ha avuto origine in terra spagnola. Piú precisamente (guarda un po'!) durante un viaggio da Tarifa a Málaga. 
La terza é che da qualche giorno ci trovate anche qualche mia foto. E, con essa, un ulteriore pizzico di Spagna in piú. 

Buona visione!

martedì 10 settembre 2013

Niu Iorc, Niu Iorc! La Fashion week...a mi manera.


Per motivi d'ambito lavorativo su cui eviterò di dilungarmi, sto seguendo in questi giorni la New York Fashion Week. Ora: a quanto pare la concomitanza di più esibizioni (sfilate, in questo caso) nell'ambito di un solo evento ha conseguenze devastanti sul mio istinto di competizione indiretta. Che ne so, è come se l'inevitabilità del paragone tra i partecipanti mi obbligasse a trovarmi un preferito. Una roba del genere. Come che sia, il punto è che tutta 'sta faccenda ha avuto su di me lo stesso effetto che ha ogni anno Sanremo. Cosí mi sono ritrovata a tifare come un'ultras sfegatata per le rappresentanze iberiche in terra statunitense. Manco dovessero vincere qualcosa, poi. 

Tra l'altro, se vogliamo dirla proprio tutta, una delle mie sfilate preferite è stata quella di Diane Von Fustemberg. E ammetto che anche la mediaticissima Victoria Beckham, in una delle sue due collezioni, non m'è dispiaciuta affatto (dev'essere perchè la imitavo da bambina). I brand iberici, però, mi sono simpatici per definizione. Per il ruolo da blogger che mi sono auto-imposta. Insomma, perchè sì. Da lì, il tifo. L'intenzione di seguirli con maggior interesse. L'entusiasmo nel volerne condividere alcune creazioni con voi.

Prima, però, permettetemi una parentesi sulla scheletricità di alcune modelle. Ma non per fare dei moralismi, no. E' solo che la trovo controproducente. Non fraintendetemi: io non sono certo una bellezza, ed é possibile che la taglia 42 non mi dia neanche il diritto di criticare del tutto le magre. Solo che 'ste qui sembrano malate, dai. Giro-cosce da dieci centimetri scarsi, mandibole tirate, ossa ovunque. Per qualche strano motivo quando camminano buttano i piedi all'indentro, dando alle gambe l'illusione ottica di essere irrimediabilmente e perennemente storte. Ad aggravare il tutto, ci si mette il canonico broncio da "odio il mondo/ cosa ci faccio qui/ voglio morire" (che suppongo, negli intenti, dovrebbe essere sexy) ed una carnagione per lo piú tendente al color carta velina. Davvero, io non so che effetto possa fare tutto questo agli uomini, ma il prodotto finale - e cioé l'abito - siamo noi donne che dovremmo avere voglia di comprarlo. E quindi é alle donne che mi rivolgo: se vedete un qualcosa che non vi piace, e questo qualcosa ha addosso un vestito, non é forse vero che il vestito subisce l'effetto del parere negativo che l'immagine nel complesso vi dá? Sí, insomma, se io penso "oddio, poverina, questa qui sembra in fase terminale" l'abito che indosserá mi parrá inevitabilmente un po' piú brutto di quanto mi sembrerebbe indossato da qualcuna apparentemente in salute. Ma magari sono strana io, boh. 

Comunque, torniamo ai brand spagnoli che hanno sfilato a New York. Quelli per cui ho ardentemente tifato. Per esempio, il mio preferito di Custo é questo che riporto qui sotto. Anche se non si capisce perché abbiano messo alle tizie 'ste sottospecie di padelle con frontino in testa. Ma vabbé.

A proposito: si dice Cústo, non Custó: smettiamola con 'sti francesismi inesistenti, visto che lo stilista é al 100% catalano. 



Poi c'é Delpozo, di Madrid. La sua collezione é ispirata alle donne gitane, o almeno questo dicono i media. A me sembra piú che altro una serie di bomboniere in formato gigante. Certo, se non altro le gonne esagerate stile damina dell'ottocento mascherano l'effetto scheletro di cui sopra. E poi apprezzo tantissimo  le linee asimmetriche e gli strascichi dei vestiti da sera piú sobri. 

Il migliore, a mio parere, resta comunque questo tripudio di girasoli. 


Desigual é sempre imbattibile. The best in the world, poco da fare. Anche per spirito e sorrisi.. E il fatto che riproponga i cappelli a tesa larga esalta enormemente la mia anima vamp. La scelta del look preferito, in effetti, é in questo caso piú dura che mai  (Desigual, se stai leggendo: ribadisco che ho la 42!)
Ragion per cui, anziché uno, ve ne propongo almeno tre. 





E per finire c'é Venexiana, che con la Spagna non c'entra niente ma c'entra moltissimo con questo blog. In primo luogo per il nome del brand, che richiama l'Italia. E poi perché la stilista, a quanto ho letto, é un'appassionata ballerina di flamenco...un'anima piú italo-spagnola di cosí é difficile da trovare, non credete? Come se non bastasse, gli abiti con una sola spallina - oggetto della mia venerazione incontrastata - aggiungono al tutto un richiamo di Grecia antica. A proposito dello spirito di questo blog. 

Poi non mi direte che questo qui sotto non é spettacolare. 






lunedì 9 settembre 2013

Italo-spagnolismi formato playlist

La musica ha sempre avuto un ruolo di rilievo, nella mia vita come in questo blog. Se mi seguite da un po', saprete che in molti dei miei post ne ho cercato, promosso e quasi sempre esaltato l'aspetto più prettamente "itañolo". Gli italo-spagnolismi, come amo chiamarli, sono per me duetti tra spagnoli ed italiani; canzoni in cui le mie due lingue si sposano armoniche sotto la stessa melodia; oppure brani in italiano che evochino la Spagna. Spotify, come immaginerete, certo non li racchiude tutti. Del Roy Paci citato  piú di recente, ad esempio, non c'é proprio alcunché. Della collaborazione sanremese tra Renga e Dalma, manco a parlarne. Delle altre rappresentanze di cui in questi anni ho scritto, tuttavia, una buona rappresentanza l'ho trovata. 

Ho cosí deciso di raccoglierle in una playlist. Una di quelle perennemente "work in progress", che spero i vostri spunti mi aiuteranno presto ad allungare. In poche parole: io ve la sottopongo. Se vi venisse in mente qualche "italo-spagnolismo" da aggiungerci, segnalatemelo nei commenti e lo inseriró. In ogni caso buon ascolto (o escucha?), amici!



venerdì 6 settembre 2013

Roy Paci e i braccialetti italo-spagnoli

Roy Paci parla grossomodo come me. L'italiano è fluente (e ci mancherebbe altro) nelle chiacchiere di semi-circostanza con cui i musicisti intervallano i pezzi live. Eppure in mezzo, inevitabile, gli scappa una “trompeta”. Un “tres”. Un “adelante”. Sorrido tra me e me, dal punto di vista privilegiato di una scalinata vista palco. Poco da fare: mi sta già simpatico. Esponente di spicco dell'italospagnolismo, e a quanto pare non soltanto in chiave musicale.

Attacca un pezzo che parla di Barcellona. Un pezzo che non conoscevo. Da qui l'acustica non dà il meglio di sé, ma ho già capito che potrebbe senza impegno anche farmi impazzire. Ah, Dio benedica l'essenza di scoperta che pervade i concerti gratis! Probabilmente, ancora la forma più alta ed efficace di promozione. Se non per altri, almeno è così per me.




Davanti a lui e Aretuska - vabbè la sintesi, ma non dimentichiamoli! - una marea di persone stipate salta e balla a ritmo di ska. E' l'immagine a colori della gioia pura. E, se la cerchi, sta pure ai piani alti di un edificio all'angolo. Là, dove ragazze con il fiore in testa ballano sui tavoli e qualcuno sbatte coperchi di padelle come fossero dei piatti da orchestrale balcanico.

Sotto ai riflettori, il cantante guardandoli accenna al folklore.

Il folklore, già.

Erano anni che non mettevo piede alla “Sagra delle Raze”, uno degli ultimi baluardi di manifestazione veramente locale. La disdegnavo, quasi, oberata di ricordi di serate un po' scialbe da quindicenne passate a mangiare in piatti di plastica e ingolosire zanzare. Io che ho sempre voluto fuggire. Io che sogno le metropoli, una vita all'estero, un altrove qualunque dove le radici non abbiano importanza alcuna. Io che sospiro di sollievo quando mi dicono che “non ho accento”. Io che questa terra l'ho mio malgrado sempre vissuta come fosse una prigione.

Come allora, l'animazione da balli di gruppo si oscura nella corrente che salta. Qualche ubriaco protesta senza troppa convinzione. La ghiaia, intanto, scricchiola sotto i miei piedi.
E, chissà come, oggi tutto questo mi piace. Sarà che sono cresciuta, e ho capito che le radici in fondo non le puoi strappare. O magari sarà che mi ricorda la Spagna. Le feste di quartiere dei piccoli paesi o quartieri iberici, ognuna con un suo concerto, un suo passato, un ammasso di bandierine e di decorazioni. Feste attese, sempre, in misti d'ansia e orgoglio. Inneggiate sui social network in miriadi di foto corredate, a didascalia, da variazioni sul tema “pa mí, lo más bonito que hay”. Siccome sono contraddittoria di natura, questo attaccamento alle origini é qualcosa che ho sempre invidiato ai castigliani.

Quasi a celebrare le mie stesse sensazioni, ho comprato dei braccialetti ad una bancarella indiana. Uno ha i colori della bandiera italiana. L'altro, richiama quella iberica. Li ho indossati, vicini, replica perfetta del logo di questo blog.

Roy Paci fa da colonna sonora, e sono come sempre entrambe le mie nazioni.



A mó di postilla: ho scoperto che l'organizzatore del concerto era, fino a non poi tantissimo tempo fa, un mio vicino di casa. Come immaginerete, sto giá meditando di inondarlo di bigliettini minatori con sú scritto “Vogliamo Dani Martín alla sagra delle raze!”.
E sotto, piú in piccolo, “ma nel frattempo puoi chiamare anche Il Cile”.


Poi io l'ho sempre detto, che avrei dovuto tenere la musica piú alta.









martedì 3 settembre 2013

Le 100 cose da fare a Málaga prima di morire

Dai creatori di “Le 101 cose da fare a Madrid prima di morire” arriva ( e valgami la monotonia) “Le 100 cose da fare a Málaga prima di morire”! 

Applausi. Fischi d’approvazione. Standing ovation diffuse. 

E poi, in realtá, vi ho anche mentito di brutto. Sí, insomma: mica son gli stessi, i creatori. E’ solo che faceva figo dirlo. No so, dava quel tocco cinematografico sufficiente a farvi leggere l’introduzione con la voce impostata e finto-brillante dei doppiatori di trailer. Mi pareva divertente, ecco. 

Ma la veritá è che, se il post su Madrid mi ero limitata a tradurlo, questo l’ho redatto io da cima a fondo. Ci ho messo quattro giorni. Ho rimpinguato l’esperienza personale con i consigli di tre siti turistici (due spagnoli e uno italiano). E ci ho aggiunto un tocco delirante tutto mio. Il tutto per sfruttare una tendenza che, se ci si fida di Google, alla capitale andalusa non era ancora stata applicata. Beh, almeno se si esclude questo elenco di luoghi su foursquare che ho peraltro scoperto solo dopo aver messo il mio punto finale. Mannaggia. Avrebbe anche potuto facilitarmi le cose. 

Giochiamo al “celo, manca”, allora? 

LE 100 COSE DA FARE A MÁLAGA PRIMA DI MORIRE

1. Passeggiare per Calle Larios
2. Bere un Moscatel al Pimpi
3. Visitare "La Manquita" (Cattedrale di Málaga)... e no, non vale solo l'esterno!
4. Mangiare Espetos sul lungomare di Pedregalejo

5. Accendere un faló sulla spiaggia della Malagueta la Notte di San Juan
6. Visitare il Museo Picasso (L'ultima Domenica del mese é gratis) 
7. Ballare Sevillanas alla Feria de Agosto
8. Godersi la spettacolare vista dalla terrazza dell'Hotel AC Malaga Palacio 
9. Andare in giro per locali tra Plaza Uncibay e Plaza Mitjana 
10. Farsi una foto abbracciati alla statua di Picasso in Plaza de la Merced
11. Fare shopping al Vialia (stazione María Zambrano)
12. Provare le berenjenas con miel
13. Socializzare con le vecchiette su un autobus
14. Visitare l'Alcazaba 
15. Darsi appuntamento In fondo a Calle Larios, "davanti a Woman's Secret"




16. Passare almeno mezza giornata alla Fnac
17. Assistere a qualche evento o proiezione del Festival del Cinema 
18. Mangiare un piatto di Gambas a la plancha alla marisquería Vicente
19. Trovare refrigerio tra le palme del Paseo del Parque in un giorno soleggiato
20. Ordinare un mojito da litro al Gato con Botas. 
21. Fare un giro al CaCMa (Centro di Arte Contemporanea di Málaga) 
22. Rilassarsi per un paio d'ore in una teteria (consigliabile quella in Calle San Agustín) 
23. Entrare nel teatro Cervantes
24. Assistere ad una partita del Málaga alla Rosaleda (possibilmente tifando come un pazzo) 
25. Visitare il Museo Thyssen 
26. Comprarsi un fiore per capelli
27. Riuscire a finire almeno una delle papas asadas di Papa's 
28. Fermarsi ad ascoltare il gitanillo sdentato che canta flamenco a todo pulmón (in cittá lo conoscono tutti!)
29. Visitare la fabbrica della birra San Miguel 
30. Entrare nella casa natale di Picasso 
31. Assistere ad un concerto pop all'auditorio municipal 
32. Sperimentare l'ebbrezza della semana santa andalusa 
33. Tapear da Pepa y Pepe (se sono sul menú, provate i dátiles con bacon!)
34. Ballare fino all'alba al Liceo
35. Assediare le porte dell'Hotel Ac Malaga in attesa di qualche VIP 
36. Adattarsi agli orari andalusi: pranzare alle 16, cenare alle 23
37.  Far diventare pazzo il cameriere de El Tintero 
34.  Visitare il museo interattivo della Musica 
35. Saziarsi di pescaíto Frito
36. Assecondare le offerte dei PR (Chupito gratis, prima consumazione gratis) e ubriacarsi senza spendere una lira. 
37. Sedersi sugli scaloni del Teatro Romano
38. Leggere le citazioni famose dedicate a Málaga sulle panchine dei giradini nei pressi della Plaza del General Torrijos 


39. Comprare souvenirs in uno dei negozi del nuovo “entorno” commerciale del Museo Thyssen 
40. Attraversare a piedi il Muelle Uno fino al faro
41. Fare un giro su una carrozza trainata da cavalli
42. Vedere le decorazioni dell'Alameda Principal sotto Natale 
43. Vagare senza meta per le stradine secondarie, scoprendo ogni giorno scorci nuovi
44. Visitare il museo dell'automobile
45. Provare l'ensalada malagueña 
46. Ordinare un caffé come fanno i malagueñi: nube, sombra, mitad, corto...
47. Sorseggiare un cocktail ascoltando musica chill out sulla terrazza dell'hotel Room Mate Larios
48. Tentare la sorte con un biglietto della lotteria
49. Infilarsi nel Pasaje Chinitas
50. Assistere ad uno spettacolo flamenco al Centro Kelipé
51. Visitare il Cimitero Anglicano Inglese, il piú antico della penisola iberica
52. Alzare gli occhi verso la bandiera in Plaza de La Constitución 
53. Scoprire l'Inglesia del Sacrado Corazón
54. Fare colazione con un "pitufo tostao"
55. Assaggiare i Boquerones en Vinagre
56. Fare un bagno in puro stile tradizionale arabo a El Hammam


57. Visitare il "Rastro" di Málaga al Cortijo de Torres (zona recinto feriale) 
58. Assistere alla Gran Sfilata di Carnevale 
59. Pranzare alla Malagueta con un cartone di pizza take away di Pizza Pino. 
60. Partecipare a un botellón legale al Paseo de los Curas, nella zona del porto
61. Concedersi un'escursione in giornata in qualche paesino nelle vicinanze (Benalmadena, Fuengirola, Mijas, Marbella, Torremolinos, Nerja...) 
62. Fare footing sul paseo maritimo Antonio Banderas 
63. Guardare le vetrine in Calle Nueva
64. Visitare il Mercado Central de Atarazanas.
65. Cenare al Matahambres. 
66. Godersi un tramonto dal mirador del Gibralfaro
67. Spendere soldi all’outlet Plaza Mayor 
68. Usare la scorciatoia del “Tunnel” per andare in spiaggia 
69.Sorridere da sola per strada come un’ebete (se detto cosí vi sembra strano, andate a Málaga: lo farete anche voi!) 
70. Passeggiare costeggiando il Río Guadalmedina 
71. Visitare il Santuario della Victoria, Santa Patrona di Málaga. 
72. Provare i churros con chocolate di Casa Aranda


73. Parlare male dei sivigliani con qualcuno del luogo
74. Andare a Puerto Banús per contemplare yacht ed auto lussuosissime (possibilmente esclamando almeno una volta “toh, la mia barca”). 
75. Provare la tortilla de patatas alla Taberna El Piyayo
76. Conoscere il Jardín Botánico de la Concepción
77. Passeggiare lungo Calle Granada
78. Comprare un sacchetto di mandorle fritte da qualche venditore ambulante del centro storico
79. Bere una birra al Morrisey
80. Entrare almeno una volta nella Antigua Casa de Guardia sulla Alameda principal, la taverna piú antica di Málaga (risale al 1840). 
81. Visitare il museo delle arti e dei costumi popolari
82. Vedere anche dall’interno la Plaza de Toros de La Malagueta 
83. Passare un pomeriggio ad ingozzarsi di zuccheri al Dunkin Coffee
84. Fare un’escursione di montagna nel Parque Natural Montes de Málaga, il polmone verde della cittá


85. Contemplare i patios del palacio episcopal in Plaza del Obispo (la visita è gratuita)
86. Digerire una paella sulla spiaggia de El Palo
87. Fare un giro da Desigual in Calle Larios in periodo di saldi (si trovano gonne e vestiti carinissimi a 19 euro!)
88. Conoscere la moderna zona universitaria di Teatinos (raggiungibile in bus dall’Alameda Principal) 
89. Guardare un film nel suggestivo Cine Albeniz
90. Assaggiare l’ensalada malagueña
91. Mangiare un gelato a pois da Stickhouse  


92. Scoprire i mercatini etnici di plaza de la Marina (ci sono solo in alcuni periodi dell’anno) 
93. Rilassarsi al Café con Libros di Plaza de la Merced
94. Visitare il museo Felix Revello de Toro 
95. Fare shopping al centro commerciale Larios Centro
96. Approfittare dell’offerta “tutto a 1 euro” un Mercoledí sera ai 100 montaditos di Plaza de la Constitución
97. Andare a vedere una partita di basket al palacio de deportes Martín Carpena
98. Bere un “rebujito”
99. Rilassarsi da Starbucks in aeroporto, in attesa del volo. 
100. Tornare, ché tanto da qui a due mesi sará sicuramente cambiato qualcosa.