sabato 30 agosto 2014

Málaga e il dolore del ritorno: pensieri sparsi tra canzoni e tweet.





É sempre più difficile, rassegnarsi al ritorno. Salire su un aereo, ricollocare le nove e mezza di sera nel cielo troppo buio dell'est. Malsopportare i soliti italiani che entrano dalla porta sbagliata. Che dico io: ci sarà un motivo, se la specificano sulla porta d'imbarco, no? Non é lí per puro abbellimento. Contare fino a dieci. Ascoltare i Negrita. Nessuna voglia di litigare.

Te ne dimentichi, poi. Persa nella routine del tuo paesello grigio. Nelle scansioni di incombenze che hai imparato a chiamare normalità. Sospiri. Basta un po' di tempo, sai. Un po' di tempo appena. Ti tufferai in una canzone nuova. Riderai di una frase inaspettatamente tua. "Anch'io ti ho pensata". E allora progetterai date di un tour. Vomiterai idee nuove in contesti lavorativi. Tra un po' lo scorderai, questo dolore soffocante. Le fitte che ti bruciano tra l'anima e le costole. Le lacrime che pungono senza farsi vedere. Perché tornare a Malaga, per me, è sempre ricordare ciò che voglio davvero. Ció per cui, vigliaccamente, non ho abbastanza coraggio di lottare.

Si accentua, la sensazione di casa, se affitti un appartamento con tua madre vicino al posto in cui un tempo vivevi. Non ci sono tornata, nemmeno questa volta, al portone con sú scritto il numero 44. Nonostante il masochismo, credo che non ci tornerò mai. Il locutorio da cui mi connettevo i primi tempi ha cambiato gestione. Al posto dei marocchini c'è una donna locale. Duecento kili di sospiri e sudore nell'anticamera dei soliti banchetti, giusto giusto appena lucidati un po'. "Sono 30 centesimi", mi dice. E' molto più carino, disposto così. 

Tornare a Málaga é atterrare tra i botellón fuori dall'aeroporto. Prendere un taxi, come nel 2008, tra i santini appesi allo specchietto retrovisore, i finestrini abbassati, e i giro d'aria umidi che gonfiano i capelli. "Ti dispiace se evito il centro?" 






Málaga é la Feria che si annuncia nelle biznagas giganti all'imbocco di Calle Larios. Un inglese vestito da Zorro che insiste a dire che sono "Beautiful". Le vie sempre affollate in cui so orientarmi a perfezione. É l'autenticità del Palo, boccata d'aria fresca priva di connazionali.  La spiaggia della tarda mattinata. Le barchette fuori dai chiringuitos, dove spiedini di espetos invogliano in profumi di brace e sabbia mista a cenere. 



E ancora la pausa pranzo alle quattro. I gambas alla plancha di vicente. Il Moscatel del Pimpi. Gli incontri quasi casuali con amici e conoscenti che ho lí più numerosi che altrove. I pettegolezzi, la constatata fratellanza di una comune perdita di passione. Le chiacchiere con Amiche che meritano la maiuscola; Perché per quanto passi il tempo, i cani crescano e i quadri si concludano, i discorsi riprendono dopo una virgola. Mai del tutto interrotti dalla volta prima. 








Curioso: "Razones para ser andaluz" era trending topic su Twitter, il giorno in cui sono tornata. Io ne avrei avute a migliaia. Perchè è l'unico posto dove svegliarsi alle nove e mezza è madrugar, avrei scritto. Perché nessuno sembra avere mai fretta. Perché ha piovuto soltanto due giorni in tutta l'estate. Vale la pena essere andalusi perché con 8 euro ti abbuffi di pesce a bordo spiaggia. Perché il mojito costa come altrove anche su una terrazza panoramica extra lusso al quindicesimo piano di un hotel. Perché c'è una festa in cui tutti si vestono flamenchi e si mettono il fiore in testa. Perché le vecchiette dell'età di mia nonna si scatenano ancora per strada a ballare sevillanas. 




É una ragione per essere andalusi guardare le cittá che cambiano e crescono restando se stesse. Osano con l'arte, si fanno raffinate, eppure non perdono le tracce di sè. Ne é un'altra poter girare per strada in sicurezza, anche e soprattutto a notte fonda. Lo é che i signori anziani col bastone ti raccontano la loro vita in attesa di un autobus. Che qualunque problema tu abbia, ci sarà sempre uno sconosciuto disposto ad aiutare. Ecco, questo avrei voluto scrivere, ora.  Ora che sono tornata e mi riascolto Bebe. Era uscita al termine del mio erasmus, quella canzone. Parlava di tornare. Di andarsene per sentire mancanze. Forse per capire, o per scordare…come me. 





E adesso premo play, come in una sorta di rituale. Ora che il tormentone Bailando s'é incollato a una vacanza e tutto - più del solito - mi sembra possa ridursi a musica.  Ora che ho già ricominciato a cercare annunci e prezzi di appartamenti in affitto. Perché mi immagino- anzi, no: mi vedo proprio! - sul bus per l'Ikea a cercare arredamenti per il mio appartamento vista malagueta. E aprire le tende, al mattino, per fare colazione su di un balconcino che dá al mare. Mi vedo uscire, cenare ai 100 montaditos un mercoledì sera. Lavorare come commessa in un negozio qualunque, ché non mi frega della laurea, non mi frega del settore, se posso vivere lí. Mi vedo felice, con quella particolare luce negli occhi che riesco ad avere solo in Spagna. E non lo so se poi è colpa del sole, dell'odore di quei fiori che un po' mi sanno di cavallo, delle risate della gente rese acute dal troppo Cartojal. 









Io so soltanto che è sempre più difficile. Solo e soltanto questo. Perché ogni volta che torno a Málaga qualcosa mi strattona per la maglia, mi sussurra all'orecchio, me lo ricorda in tutti i modi. Rivoglio quella vita, o per lo meno ne rivoglio la location. Suona Vino Tinto degli Estopa fuori da  una caseta al Real.  Io le appartengo. Lei mi appartiene. Non c'é altro da dire. 



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