domenica 29 giugno 2014

Le persone felici bevono sangría.

Le persone felici bevono sangria. Poi si lanciano in pista, in un miscuglio di ritmi e di generazioni. Non importa chi c'è attorno a loro. Com'è vestito. O cosa dice il bon ton. Le persone felici si muovono a ritmo dei Gipsy King con lo chignon plastificato dal troppo gel. Incastrano i passi delle sevillanas su di un qualche brano dance degli anni ottanta, e fingono che la notte (il weekend, l'estate, forse persino la vita) possa in qualche modo non finire mai.



Scrivo con le lacrime a fior d'occhio. Consapevole di delusioni d'altri, con la mente ossessionata dal confronto tra ciò che adesso sono e quello che volevo essere. Con quella voglia di cambiare tutto che al contempo inorgoglisce e terrorizza d'incognite. Un senso di fallimento, assoluto e devastante, che pervade ogni cellula di me. Ché poi dici "ma no, dai!", peró ti pesa addosso. Fallito. Io. Ho. Fallito.

Eppure stamattina, quando ho aperto gli occhi, ero ancora una di loro. Mi rivedevo in quella stanzetta adibita a camerino, con le mie compagne fiori-munite a improvvisare sfilate di moda. “Divertitevi”, diceva Sonia prima di entrare in scena. E Dio solo sa quanto l'abbiamo fatto! C'era odore di pesce. Paella. Cloro. Odore di salsedine e di zampironi. C'era una signora bionda dall'accento straniero che diceva che “abbiamo risollevato la serata danzante”. I palloncini che volano in cielo. E poi c'eravamo noi, a rispondere che: “addirittura?!”.



Il punto è che questo mese è stato all'insegna del flamenco. Abbiamo ballato su palcoscenici in legno, su tappeti neri da danza classica, su pedane limitate nei metri quadrati. Abbiamo sbagliato i passi e poi strappato applausi in performance che nemmeno noi avremmo previsto impeccabili. Ci siamo esibite in teatri e all'aperto. Con il caldo ed il diluvio universale. Eppure l'importante, chissà come, è stato sempre quello che veniva prima o dopo.

La sangría, per esempio. Oppure Cristina Benitez che metteva la pelle d'oca alle prove generali. L'importante erano le selfie in camerini muniti di (non-ci-credo!) doccia, le risate, l'incontro casuale con Elisa (la cantante) che ci parla in dialetto come fosse una nostra vecchia amica. E “no gavevo mai fatto una foto con tutto un gruppo de flamenco”, e dire “olé” invece di “cheese”. E cambiarsi per le scale, con due di noi che ballano il valzer in abiti di scena. Le urla delle bambine in tutú. Il confronto tra abbronzature inesistenti. I Negrita sparati a tradimento dopo la mia performance migliore. Come a dire che sí, sará la mia stagione. Che é appena iniziata. Che il bello deve ancora venire. Che ormai che ho imparato a sognare...

Il flamenco, giá. Forse é anche un po' sua la colpa di questa mia strana inquietudine. Perché lui, questo mese, mi ha donato alcuni dei momenti migliori. E ogni volta, per una giornata, sei minuti o un paio d'ore, non esistevano né ansia né incombenze. Ad ogni battito di piedi era “la miglior estate di sempre”, come il nome beneaugurante che ho preso in prestito per una playlist.

L'ascoltavo anche ieri, per darmi la carica. Muovevo i fianchi con pochi vestiti addosso ed una spazzola a farmi da microfono nel playback. Mi sentivo Callie di Grey's Anatomy. Era il weekend. Ero una di loro. Non sentivo di aver fallito in niente. Non avevo bisogno di nascondermi o mentire.

E allora al diavolo come mi sento oggi. Al diavolo chi ero, chi sono o chi saró domani. Al diavolo i miei sbagli, persino. Tutto quello che voglio é affrontare la vita come una che balla.


Perché le persone che ballano, in fondo, sono quasi sempre le persone felici.  

giovedì 26 giugno 2014

Il morso di Suárez e la creatività dei social media

Siccome ride bene chi ride ultimo (ma anche chi ride e basta, se è per quello)  l'Italia ha seguito la Spagna nel suo triste destino mondiale. Ad eliminarci è stata la partita contro l'Uruguay, che - se non fosse intervenuta tutta una serie di effetti speciali- di per sè sarebbe stata avvincente quanto un inseguimento tra lumache. Poi, peró, é arrivato Suárez. E i community manager di tutto il mondo sono andati in brodo di giuggiole. Letteralmente. L'ormai celeberrimo morso a Chiellini li ha portati a dare il meglio di sé, ricordandomi perché non é poi cosí brutto fare della pubblicità sui social. Creativi, ironici e dannatamente sul pezzo, hanno sfruttato vicenda e trending topic per far parlare il web dei loro brand. Il risultato é stata una carrellata di assolute genialità davanti a cui non posso fare a meno di inchinarmi. Come conseguenza del mio entusiasmo (e nonostante l'abbiano ormai fatto in tanti) ho scelto di condividere le migliori con voi. Votazione della preferita richiedesi.

1. MAC DONALD'S URUGUAY - I pionieri. 


2. SNICKERS: piú appetitoso degli italiani. 


3. LISTERINE - L'importanza dell'igiene orale



4. BIRRA MORETTI - Non ci resta che berci sú. 



4. Fox Italia - The Walking Dead.


5. Panini - Le figurine dei Mondiali. 



5. Barilla - Premio Creativitá moltiplicato 3. (Del resto, la loro campagna di real time marketing #CalcioBarilla è di per sè geniale già solo per il gioco di parole nell'hashtag)






Di votare la vostra preferita l'ho già detto, vero? Se poi ne avete notate altre, in giro per il web, segnalatemele! Ché, nel caso non si fosse capito, io con 'ste robe mi ci diverto molto assaje. 

domenica 22 giugno 2014

Viva el Rey!

Gli eventi di portata storica, lo capirete, non possono mica essere taciuti. A maggior ragione se regalano momenti emozionanti. Tipo l'infanta Elena che si commuove con un espressione alla “m'hanno spremuto un limone negli occhi” per la standing ovation rivolta a mamma Sofia; 



il look stile Ottocento di Mariano Rajoy, completo di una shorta di shmoking shvolazzante da fare invidia al migliore dei Dandy. 



O ancora la conferma – se mai ce ne fosse stato bisogno – che Felipe stava meglio con la barba. Ma meglio un bel po', eh. Barbetta per tutti come decreto legge internazionale.

Della sua incoronazione, a dire il vero, a me hanno colpito anche altre cose. Per esempio, il drappo rossogiallo affisso alla parete del palazzo del Congresso. Beeeelllo. Solenne. Coreografico. Talmente d'impatto da decidere di valutarlo come possibile decorazione per la mia famosa festa dei trent'anni che (tra parentesi) dovrei anche decidermi a iniziare a organizzare. Perchè io non sono megalomane per niente, è chiaro. 



Degna di nota anche l'espressione di felicità di Juan Carlos sul balcone del Palacio Reale. Al diavolo la perdita di immunità e tutto il resto! Glielo si leggeva negli occhi, il sollievo di chi pensa “oh, finalmente posso andare a vedere anch'io i lavori edili con le mani conserte dietro la schiena”. Son soddisfazioni mica da ridere, che credete. E poi le mini- infantas. Bionde, boccolose, catatoniche. Così tenere nei loro vestitini eleganti da farmi venire subito in mente scene da film del terrore.

Difatti.

La reazione del web iberico non si è fatta attendere. É bastata una loro inquadratura in mondovisione a scatenare la perfidia dei social network. L'ammasso di collage intervenuto a paragonarle alle gemelle di Shining m'ha restituito di colpo la fede nell'umanitá e l'amore incondizionato per il mio secondo Paese. Ho addirittura provato un po' di dispiacere a posteriori per l'eliminazione della Roja ai mondiali. Davvero.



A compensare il senso d'inquietudine, c'è stato per fortuna il bacio appassionato dei nuovi Reali dal balcone di cui sopra: All rights reserved to Disney, vietata la riproduzione. C'è una carrozza di cristallo da spostare in seconda fila. Ah no, è una zucca. Ah no.



Un'altra cosa che m'è rimasta impressa della cerimonia reale è stata la pronuncia del titolo completo del nuovo monarca. Voglio dire: “Felipe VI” è una cosa. “Felipe VI de Borbón”, un'altra. Ma “Felipe VI de Borbón Y Grecia” un po' di smarrimento te lo crea. Per un attimo ho pensato che anche i Greci avessero addobbato tutt'Atene con i drappi rossogialli di cui sopra. Mi sono aspettata il collegamento via satellite di un popolo in sbornia d'ouzo. Mi sono chiesta perché allora le due nazionali non unissero le forze ai Mondiali. Poi mi sono ricordata di non essere piú in epoca coloniale.

Ad ogni modo: io potrei continuare finché volete a fare della satira di dubbio gusto sull'Evento Spagnolo dell'anno, ma non farei altro che sprecare energie. Sí, insomma, c'é giá chi l'ha fatta molto meglio di me. Parlo di Wyoming e Dani Mateo, che hanno sopperito alle ferie inopportune di Buenafuente (certo che, anche lui: non poteva aspettare una settimana in piú? Gli aumentavano i prezzi dei voli Ryan Air? Eccheccacchio) con una visione altrettanto sarcastica dell'intera vicenda.



Piú che altro, diciamo che i due si sono concentrati su particolari entusiasmanti che, nell'euforia generale, erano magari sfuggiti alla vista e riflessione dei piú.

Uno su tutti, il tizio in uniforme militare la cui ingrata mansione consisteva nell'accompagnare uno ad uno i numerosi invitati alla firma del passaggio di consegne tra Juan Carlos e il figlio. Firma che avveniva in un salone raggiungibile esclusivamente dopo aver percorso a piedi la bellezza di 149 gradini. Ché qualcuno c'ha provato, poverino, a chiedere di usare l'ascensore. Ma niente. Quello, in teoria, era riservato alle “Dame”. L'hanno concesso, in via straordinaria, giusto giusto a un tizio sopra gli ottant'anni, probabilmente per scongiurare l'evenienza che gli collassasse a metá strada rovinando l'atmosfera. Gli altri, per le scale. E rigorosamente camminando sul tappeto, non sia mai che a qualcuno venisse in mente di alleggerire lo sforzo appoggiandosi a un muro o una ringhiera. Ti piace vincere facile? Potsipotsipopopo. 

Morale della favola: 'sto tizio in uniforme, poverino, s'é fatto 149 scalini in salita e 149 scalini in discesa per un numero imprecisato di volte nell'arco della giornata, sognando con tutta prevedibilitá un futuro impiego come cassiere al Mc Donald's. Quando é arrivato il momento di accompagnare Zapatero (tra parentesi: che gli é successo? Siamo sicuri che stia bene? Cioé, non vi sembra un po' pallidino?) il poverino era cosí fradicio di sudore che manco Cremonini a metá di un concerto (o dopo i primi 5 minuti, se é per quello). Immaginate che simpatico olezzo, oltretutto. Anche se Wyoming e Mateo, questo, non l'hanno voluto sottolineare.



Invece l'hanno fatto con un'altra, di mansione ingrata. Un po' meno faticosa, certo, ma altrettanto ingrata. Altrimenti come la chiamereste, l'attivitá esclusiva di dare e togliere il bastone da passeggio a Juan Carlos per tutta la durata dell'atto ufficiale? Juan Carlos si siede: prendi il bastone. Juan Carlos si alza: dagli il bastone. Juan Carlos si risiede. Togli il bastone. E via cosí. La sera stessa la moglie gli avrá chiesto: “com'é andata oggi, a lavoro?”. E lui: “Bene. Ho preso il bastone tre volte, gliel'ho ridato quattro volte, gliel'ho ripreso altre tre”. Emozionante. Quanta azione. Quanta avventura. Tra l'altro, con 'sti Re e con 'sti bastoni facesse Briscola, almeno.

Poi ci sono i politici, che hanno documentato l'intera vicenda dell'incoronazione postando selfie a manetta su twitter. Robe che neanche il peggiore dei bimbiminkia a un concerto di Justin Bieber. E i tizi a cavallo, durante la parata sulla Gran Via, con l'inevitabile quesito suscitato nei comici spagnoli: “dove si impara a suonare il tamburo a cavallo con un mocio in testa?”. Ma soprattutto: “cosa stavano suonando? La Marcia Reale o Pittbull?”. Quesiti che non troveranno mai una risposta, come i cerchi nel grano, le origini dell'universo, o diavolo come facciano gli americani a bere frullati al cioccolato mentre mangiano un hamburger.

Ma c'é soprattutto una cosa, che mi ha fatto notare la visione satirica di Wyoming e Dani Mateo. Ovvero: 'sti poveri Cristi di Felipe e Letizia (bel vestito, by the way), al termine della cerimonia e tutto il resto, hanno dovuto stringere la mano a – occhio al numero!- DUEMILA invitati. Duemila, capite? Cioé, se stringi la mano a duemila persone poi come minimo dovresti pretendere che nessuno ti tocchi per tre giorni. É disumano. Gli saranno venuti i calli? Avranno usato della crema nivea per ammorbidire la pelle? Avranno avuto la mano sudaticcia alla fine? Ma soprattutto: saranno riusciti a mangiarsi almeno una tartina, poi?




Comunque sia, una cosa é certa: puoi essere monarchico o repubblicano; puoi amarli, odiarli o guardarli con indifferenza, ma i Reali spagnoli – vecchi o nuovi – rispecchiano sempre il modo d'essere del loro popolo. Voglio dire, prendi gli inglesi. Sono rigidi, formali, impongono rispetto e solennitá. Davanti alla regina Elisabetta ti viene naturale assumere un certo comportamento, inchinarti, mantenere le distanze seguendo l'etichetta. Davanti a Felipe e Letizia, come giá davanti a Juan Carlos e Sofia, no. Per niente. I reali di Spagna sembrano sempre gente comune; persone alla mano, a cui dare del tu. Persone che puoi anche permetterti di prendere bonariamente in giro, come fossero amici di vecchia data. Dai, a Felipe ti verrebbe da dargli una pacca sulla spalla e dirgli “andiamo a farci 'na birretta, quando finisci qui?”. E a me – saró anche strana- questa cosa piace un bel po'. Viva el Rey!

venerdì 20 giugno 2014

Cose che ricorderò di questi Mondiali

Le estati Mondiali sono sempre le migliori. Sembra quasi che ognuna comprenda in sé tutte le altre, come una sorta di matrioska fatta di euforia. Strane, le cose che ti tornano alla mente con una manciata di partite. Nel mio caso sono dettagli sorprendentemente piccoli: le cannucce bicolori infilate in uno spritz (ricordo anche che giocava l'Uruguay). La canottiera azzurra di Reds. Le pizze al taglio. Sono i silenzi in mezzo a una telefonata. L'inno di Mameli stampato su un foglio a una lezione di chimica in quarta superiore. E assieme a tutto questo, quasi sempre, la sensazione indescrivibile di sentirmi viva. 

É che le estati Mondiali, che tu lo voglia o no, ti portano a fare i conti con quella che eri prima. Con i tuoi cambiamenti. Successi. Infelicitá. Ci pensavo stamani, percorrendo sotto un sole timido la strada che da casa mia porta all'ufficio. Persone che quattro anni fa popolavano il mio quotidiano oggi, semplicemente, non ci sono più. Si sono chiuse in altre vite. Geografie. Emozioni. Alcune hanno lasciato un vuoto più profondo di quanto allora fossi in grado di supporre; altre – triste a dirsi- quasi nessuno. Al loro posto, adesso, ci sono volti e storie che nel 2010 neanche conoscevo. E intanto qualcuno è morto. Qualcuno è nato. Intanto tutto – tutto, tranne i Mondiali – mi si è sgretolato attorno per ricostruirsi nuovo. Un abbraccio mentre Casillas alza la coppa. Uno sguardo fugace verso il cielo. 

E poi ci sono le canzoni. Giá, le canzoni. Un brano deve pur delinearlo, in fondo, il confine di una nuova era. Così nel mio 2002 ci sono stati l'arbitro Moreno, il caldo record, l'incontro privato a Cesena per ascoltare in anteprima il primo album solista di Cremonini. Nel 2006 l'ossessivo ricorrere di Seven Nation Army, il corso di spagnolo, la definitiva folgorazione per El Canto del Loco. Nel 2010, consegnata la tesi, mi sono fatta stordire dalle vuvuzelas dei vicini, dal waka waka di Shakira, dal Polpo Paul. Ma anche dal primo singolo solista di Dani Martín, anteprima del tour piú lungo, felice e completo che io abbia mai seguito in tutta la mia vita. E adesso sono qui, avvolta in quello stesso clima solenne che ogni quattro anni un evento calcistico riesce chissá come a infondere alla mia vita. C'é una canzone, anche oggi. A dire il vero, ce n'é piú di una. Del Mondiale 2014, tra dettagli ed eventi collaterali, questo é ad occhio e croce quello che ricorderó: 


1. Lo stacchetto di Sky a cura di Emis Killa, fastidioso come il peggiore dei tormentoni. Sul serio, toglietemelo dalla testa. Ora. C'é delirio al Maracanáááá (l'ho messa in testa anche a voi, vero? Mal comune...) 




2. La figlia della mia migliore amica iniziata al ballo nella cornice del tavolino all'aperto di un ristorante gradese. Mia madre che dice, tutta seria: “ questa bambina ogni tanto ha le espressioni da ubriaca”. Lei che risponde: “me lo dicevano tutti, che non dovevo bere quel bicchiere di Primitivo quando ero in vacanza in Puglia”. Top.

3. Gli azzeccatissimi Jpeg condivisi sul web prima e dopo Italia-Inghilterra.



4. Le ore passate ad impazzire su Google nel tentativo di reperire frasi emozionalmente valide e/o universalmente condivisibili pronunciate da ciascun capitano di ciascuna delle 32 squadre in gara. Il conseguente mantra di “odio tutti i calciatori, odio le squadre minori, in una prossima vita voglio fare la fioraia”. La venerazione dei fanclub bimbominkieggianti di Thiago Silva, che “Guardaaaa, traducono le interviste come me!”. Nota bene: io dovrei essere una community manager seria. 

5. Lo spettacolo di Flamenco in teatro a Udine. Le selfie in camerino. Le risate nervose prima di entrare in scena. E Cristina Benitez. Dio, quanto balla bene Cristina Benitez! La pelle d'oca. La concatenazione di “Mucha Mierda” nei messaggi del cellulare. Il tecnico delle luci che accende riflettori gialli quando avrebbe dovuto esserci buio. Te possino. La pose da “altolá al sudore” che improvvisiamo soltanto per metá. 

6. Sirigu. Da dove esce? Chi é? Che fine ha fatto Buffon? Ma soprattutto: mica brutto, il tipo. 

7. I commenti calcistici di Cremonini su Twitter 






8. Sole, Cuore, Alta Gradazione. Ovvero: l'elevato effetto vinavil del nuovo singolo del Cile. Appiccicoso come un chupito di tequila quando ti si rovescia addosso, ma – a differenza di Emis Killa – tutto fuorché fastidioso. Sapete quando dicevo che anche quest'anno c'é una canzone, eccetera? Ecco.




9. Le scarpe bicolore dei giocatori della Nazionale. Le hanno messe per distinguere la destra dalla sinistra? Il progettista é daltonico? Mah. 

10. La festa del – hic-  vino. Reunion di trentenni che un tempo sono stati compagni di scuola alle medie. Calici pieni. Viali pieni. Senso di libertá nell'overdose di volti e colori nella notte tiepida. Chiacchierare fino alle due del mattino davanti a uno spritz e ad un ubriaco che origlia. Io che mi ricordo troppo tardi e con troppa poca preoccupazione che il mattino dopo dovrei anche lavorare. 

11. Il desolante adiós della Spagna. Alla seconda partita. Con zero goal segnati. Dopo una vendetta inferta con cattiveria dall'Olanda e lo stordimento causato da una squadra latina. Io che, nonostante il 2010, mi scopro stranamente felice. “Non si puó vincere sempre”, dico a chi mi conosce in quanto italo-spagnola. “Non si puó credere di poter vincere sempre” dico ai veri amici. “Ben gli sta”, dico a me stessa, pensando ad uno spagnolo che recentemente mi ha piuttosto delusa. Capitemi, sono una donna: la mia rabbia nei confronti di un singolo puó arrivare ad estendersi a tutt'una Nazione. 

12. Le ultime prove per il secondo spettacolo di flamenco. Io che, in un eccesso di sboronismo (o sboronitá?) mi offro volontaria per ballare anche le sevillanas. Sapendone due su quattro. Non provandole da svariati secoli. Pentendomene non appena mi viene assegnata una posizione in prima fila. Aiutomamma.

13. Le ventimilanovecentocinquantasei battute sul fatto che Il Cile (cantante) ha battuto la Spagna . Bene. Ci avete fatto un sacco ridere. Ah ah ah. Ora anche basta, peró. 





14. Felipe che viene incoronato Re e, per festeggiare, offre tartine e vino agli invitati. Come nei vernissage piú parchi di una qualche mostra d'arte collettiva. Tanta stima.
  
15. Il Doodle commemorativo del Polpo Paul su Google. Gli hanno fatto anche l'aureola, che teneri. 




16. I pronostici sempre azzeccatissimi di Dani Martín.


Ovviamente, mi riservo il sacrosanto diritto di aggiornare la lista nelle prossime settimane. Ma, nel frattempo: cosa ricorderete voi? 

giovedì 12 giugno 2014

Italia e Spagna: le canzoni del Mondiale 2014

Non capisco com'é che la gente continui a stupirsi del mio essere immersa nel clima Mondiale. Voglio dire: dovrebbe essere ormai universalmente noto che il mio interesse nei confronti del calcio si accenda solo ed esclusivamente a scadenza bi o quadriennale. Eppure. Tutti a dirmi "non ci credo, tu così gasata?!", manco avessero dimenticato che nel 2010 stavo per tuffarmi dentro a una fontana in compagnia di sconosciutissimi studenti Erasmus. Con una bandiera spagnola legata in vita. Una quantità neanche poi esagerata di tasso alcolico in corpo. Delle righe giallorosse sulle guance ormai del tutto sciolte a causa del sudore. Per non parlare del 2006. Delle urla in piazza. Degli abbracci collettivi. Come se non ne avessi mai scritto, o parlato. Disattenti loro. 

Che poi, a dirla tutta, non é neanche il calcio in sé ad entusiasmarmi. Quello che incontra il mio interesse, in questi casi, é piuttosto l'elemento folcloristico. Va da sé: ad esso, in un certo senso, appartiene anche la musica.

Le canzoni ufficiali di Brasile 2014, a dirla tutta, hanno raggiunto livelli di trash imbarazzanti. Per sceglierle, la FIFA deve aver optato per una bizzarra linea ideologica basata sull'inserimento di suoni monosillabici privi di senso tra le parentesi del titolo. Così ci troviamo a decidere se ascoltare un: " We are one (ole ola) a cura di Mr. Tamarro Pittbull (che dallo sventolamento della mano ai ritmi cerca di scopiazzare La Copa de La Vida di Ricky Martin);  e un "La la la" della perenne Shakira (e Piqué, e le pance sorridenti di Activia), mettendo in serio dubbio la persistenza di capacità sintattiche all'interno delle canzonette estive.




In tale panorama, curiosamente, le Nazionali italiana e spagnola hanno sfoggiato due brani ufficiali che, invece, a me non dispiacciono affatto. Peraltro, il mood calciofilo dei relativi videoclip si somiglia non poco. A beneficio dell'aspetto armonico di questo post. 

Dei Negramaro sappiamo già tutti. Il loro inno per gli azzurri é una rivisitazione del classico "Un amore così grande" portato al successo da Claudio Villa e sta impazzando ormai da tempo nelle radio nostrane.



In Spagna, invece, il compito di regalare una colonna sonora a La Rioja é stato affidato alla band murciana Maldita Nerea. Il risultato é una canzone pop molto orecchiabile dal titolo "Buena Energia", sponsorizzata - con strizzata d'occhio-  dall'azienda Iberdrola. Nel videoclip si apprezza la partecipazione di varie stelle del calcio iberico, impegnate nell'inedito ruolo di musicisti. Parliamo, in concreto, di Iker Casillas, Xavi Hernández, Diego Costa, Jordi Alba e César Azpilicueta. Che dire? Decisamente molto meglio del - pur benaugurante  - "No hay dos sin tres" con cui Cali, El Dandee e David Bisbal avevano perseguitato tutti agli europei del 2012 (sempre a proposito di Trash). 





Allora, che ne dite? Nel settore musicale, lo vince l'Italia o la Spagna questo Mondiale?


martedì 10 giugno 2014

Video: Gli stereotipi sugli italiani raccontati agli spagnoli


Vi ricordate di Antonio? Il suo corso di gestualità italiana per spagnoli gli era valso, da parte dei lettori di questo blog, il titolo di video italo-spagnolo dell'anno 2013. Nel frattempo, é tornato da Granada e ne ha realizzato un altro.   

L'obiettivo, questa volta, era quello di dare ai cugini iberici il proprio punto di vista sugli stereotipi a cui siamo condannati fuori dai nostri confini. Alcuni risultano confermati, come l'ossessione per il calcio e per la moda; altri smentiti, come la vergognosa equazione che ancora - ahinoi!- accomuna la nostra nazionalità alla mafia. Messa in discussione appare anche la bizzarra convinzione per cui un italiano, specie se del sud, debba per forza essere un inguaribile (ed infallibile!) latin lover, dotato di immaginario manuale per rimorchiare senza esclusione di colpi ogni individuo di sesso femminile nel raggio di un chilometro. 

Con l'incantevole sfondo dello stretto di Messina, Antonio ci parla, in spagnolo, anche della giusta cottura della pasta, del divieto assoluto di bere cappuccino a pranzo e della cultura - tutta nostrana- del caffè. Per quanto mi riguarda, non sono d'accordo sulla dichiarata impossibilitá di importare Starbucks nel nostro Paese. Anzi, ho sempre sostenuto vigorosamente l'esatto opposto. In gran parte delle altre affermazioni, tuttavia, é piuttosto difficile non ritrovarsi neanche un po'.

Insomma: il video é sufficientemente italo-spagnolo da guadagnarsi un suo spazio su queste pagine. Quindi vi invito a cliccare play, sperando (perché no?) anche in una vostra apportazione: siete d'accordo con Antonio? Nelle vostre peregrinazioni in Spagna o altri Paesi, vi siete imbattuti in altri stereotipi che vorreste confermare o smentire? 


domenica 8 giugno 2014

Cremona, una domenica fa.

Autocitazioni sparse da una Domenica (la scorsa) a Cremona:

- Qui sono tutti famosi. La Cremon de la Cremon
- 502 gradini in salita sono solo un altro modo di vedere 502 gradini in discesa (Arezzo Reprise).
- Ho messo i jeans Stradivarius nella cittá di Stradivari e nessuno mi applaude.

Le pronuncio tutte di fila, in preda ad un attacco di euforia misto agitazione, fermandomi appena in tempo per non essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Sullo sfondo, Andy dei Bluvertigo sta mettendo sù dischi aiutato dall'impatto scenografico di un'improponibile giacchetta variopinta. Ricorda da vicino un top monospalla a fantasia tropicale che fa bella mostra di sé dentro al mio armadio. Decido che la voglio anch'io.

Sono seduta al tavolino di questo bar da un tempo ormai imprecisato. A circondarmi, il tipo di bella gente con cui la musica, spesso, sa arricchirti la vita. Mi guardo attorno e penso che io le adoro, quelle persone. Sì, perchè a loro non sembra una follia, macinare kilometri d'asfalto in una Domenica di sole. Alzarsi alle sette e trenta nonostante il tuo corpo sia in debito di sonno da quelle che ormai ti sembrano ere geologiche. E poi prendere un treno. Dividere le spese di un'auto. Trovarsi a ora di pranzo in una piazza che ricorda Parma (perchè tutte le città italiane a me ricordano Parma, nostalgica che non sono altro), sapendo che tra qualche ora già ripartirai. A loro, come a te, sembra che tutto questo valga la pena. Le guardi, e vedi il tuo stesso entusiasmo riflesso nei loro occhi. In fondo, c'è un cinquanta per cento di pretesto nella ragione per cui oggi siete tutte lì.



La ragione, per altro, ti si è palesata poco fa. Difficile non notarla, nel suo metro e novanta d'altezza e giubbino in pelle. Eppure, chi sa come, ci eri quasi riuscita.
“Guarda, c'è il Cile”, t'aveva detto calmo l'unico uomo della compagnia. E tu credevi ti prendesse per il culo. Invece, c'era davvero. In piedi accanto a un tavolino a due metri dal vostro. A proiettarti in quell'imbarazzo tutto peculiare da “so-chi-sei-sai-chi-sono-ma-non-dovevamo-incontrarci-per-caso” che di lì a qualche minuto si traduce in un “ciao” appena biascicato a testa bassa. Nonché, da parte mia, nella profusione di auto-citazioni psicotiche sopra citate. Si sa: io, all'imbarazzo, ho sempre reagito in modo un po' strano.

Da lì a poco, quel ragazzo presenterà il suo libro, accompagnato da una chitarra e qualche brano acustico, nella cornice suggestiva del museo del Violino. L'occasione è il festival "Le Corde dell'Anima", che celebra in una serie di appuntamenti il miglior binomio al mondo: quello tra letteratura e musica. Noi saremo lì, in un'ovvia seconda fila, a cercare di capire se sia opportuno o meno cantare.


Impresa non facile, avvolte dal silenzio. Le circostanze di un non-concerto pesano tutte, in mezzo a un pubblico variegato le cui facce non sapresti se definire sconosciute o proprio ostili. Eppure, quando le note de La Ragazza dell'Inferno Accanto invadono l'ambiente, a me la pelle si increspa tutta in brividi.






Hanno il fascino della riscoperta, i brani eseguiti cosí. Niente band. Zero amplificazioni. Nessuna veste strumentale. Ti si presentano nella semplicitá di qualche accordo e una modulazione vocale. Si tolgono vestiti, trucco, maschere. E sembrano quasi dirti “questo sono, davvero”. Soltanto allora puoi decidere se amarli. Capire se il loro arrivarti dentro dipendeva solo da un lungo processo di produzione e arrangiamento o se, invece, c'era di piú.

Ecco: con Il Cile, per me, c'era di piú. C'era la magia delle parole. Quelle che sanno colpirti. Capirti. Intrigarti. E dietro a loro il talento. Tanto. Perché anche quello, nei brani chitarra e voce, emerge o svanisce senza che gli sia possibile imbrogliare.



Sono ancora un po' stordita, quando le mani degli spettatori restano ben salde sulle loro ginocchia. L'intervistatrice ha appena finito di chiedere se qualcuno volesse chiedere qualcosa. E forse sarebbe andata avanti per la sua strada, con una presentazione poco interattiva, se solo...

“Posso scegliere io una persona del pubblico che mi faccia una domanda?”
Non aspetta neanche la risposta. Io, con le mie velleitá da sensitiva, ho giá un bruttissimo presentimento.
“Ilaria, che é una scrittrice anche lei!”

Con la coda dell'occhio scorgo delle teste che si girano, Rebecca che ride fragorosamente, e qualche macchina fotografica con l'obbiettivo puntato su di me. Nel giro di pochi secondi sono passata dall'ammirazione ad un mantra mentale fatto di “io lo uccido” e “questa me la paga”. Cosa che, evidentemente, trapela in tutta la sua chiarezza anche dai miei occhi.

“...E a questo punto mi stará odiando, e non comprerá mai piú i miei dischi in vita sua”.

In realtá, quando mi passano il microfono, riesco non solo a non insultarlo, ma anche a farmi venire in mente una domanda che – se non originalissima- é quanto meno accettabile. Se non ci fosse tutta 'sta gente che mi guarda mi farei anche pat-pat sulla spalla da sola.

Poco dopo, l'intervistatrice nonché scrittrice nonché “ah, ecco perché mi risultava famigliare quando l'ho vista al bar” (nonché “ma com'é che erano tutti a quel bar, che oltretutto aveva anche i bagni alla turca?”)...insomma, lei, abbraccia a sua volta lo stile “interrogo” per interpellare l'addetta stampa del festival.

“Sono solidale a Ilaria!”, dice. E a me viene spontaneo un “grazie”.

In realtá, la bastardata del G.C.T (Giovane Cantautore Toscano) finisce con l'inaspettato lato positivo di alleggerire l'atmosfera. Cosa a me decisamente necessaria, dopo il loop di ricordi ed emozioni in cui mi avevano proiettata certe canzoni. Oltrettutto, mi mette il coltello dalla parte del manico. E a evento concluso, nel momento degli autografi, posso approfittare biecamente della sua profusione di scuse. 'Na roba tipo:

“Ilaaaa, scusamiiii”
“Non fa niente, peró per compensare ora mi devi come minimo una dedica bellissima”.

E infatti.



Il mio ego rigrazia. Anche se, come ovvia conseguenza, mi é venuta l'ansia da prestazione al momento di scrivere questo post. Ora capite perché ci ho messo una settimana?!

Comunque. Una settimana dopo, a mente lucida e svestito l'imbarazzo, non posso che reiterare che non solo Il Cile ci sa fare con le parole e la voce, ma – per quanto si ostini a scrivere e dire ovunque il contrario – nella sua umiltá e rapporto con il pubblico, vanta anche una notevole qualitá umana. Che, come dice una certa canzone, mi auguro conservi senza “buttarsi via”.

Venerdí 13 esce il suo nuovo singolo. Poi non dite che non vi avevo avvisati.


venerdì 6 giugno 2014

Tornare al Liceo.

Stare dietro ad una cattedra é una responsabilità mica da ridere. Fino a che punto, l'ho capito ieri.
Intervallo agli sgoccioli, chiacchiericcio in fade off. Poi, venticinque persone si alzano in perfetta sincronia, producendo un rumore armonico – e a tratti un po' inquietante – di metallo strascicato sul suolo. “Buongiorno”, urlano in coro, obbiedendo alla richiesta di un'insegnante orgogliosa. Ecco, è stato in quel preciso istante che ne ho avuto il sentore. L'ho saputo subito. Nessun dubbio, vaga volontà di scappare. Non ne sarei stata all'altezza. Mai.




Parliamoci chiaro: come avrei potuto? Ho troppe goccioline di sudore sulla fronte per poter esprimere un minimo di autorità. Io che il mio ingresso al Liceo l'ho fatto per sbaglio dalla porta sul retro, ritrovandomi dritta in una palestra affollata. Ho abbassato la testa. Ignorato uno sguardo obliquo. Ho girato su metaforici tacchi come se sapessi dove andare. Ecco, i tacchi. Avrei dovuto mettere almeno quelli, dannazione. Sarei stata un po' più alta, almeno. Un centimetro al di sopra di studentesse con cui (capitemi: pensarlo mi consola) potrei anche cercare di confondermi. E poi si può sapere com'è che non mi sono ancora mai comprata un tailleur?

Naaa. Non riuscirò ad avere la loro attenzione. Di sicuro non corrispondo all'immagine dello scrittore che avevo in testa io a quattordici anni. Perchè per loro a trenta si è già vecchi, lo capisco, ma io ho ancora un ricordo troppo nitido delle mie giornate alle superiori. Le chiacchiere con i compagni di banco. Le cotte collettive per il figo della scuola. So dei primi giorni di Giugno, pieni di interrogazioni di recupero, rese dei conti e prospettive d'estate. Giorni di relax, se il resto dell'anno avevi lavorato bene. Giorni in cui una lezione con una tizia venuta dal nulla a parlare di Twitter sarebbe stata il pretesto perfetto per un sonnellino lungo un'ora. Manna dal cielo. Una camomilla per la fase digestiva. Questo sono io, oggi, qui.



In effetti un po' addormentati lo sembrano, all'inizio, gli studenti della prima liceo scientifico a cui mi è stato proposto di presentare la mia #Odissea. Siamo a Riva del Garda, intrappolati in mezzo a una giornata di sole. Li guardo accasciarsi sul banco e penso che saranno il pubblico più difficile che io abbia mai avuto.

Poi, invece, la sorpresa. Perchè la quantità di mani alzate si traduce in domande più intelligenti di molte che mi siano state fatte in quest'ultimo anno e mezzo di presentazioni. I vantaggi di aver appena finito di studiare Omero, suppongo. Comunque sia, i quesiti che sollevano sul modo in cui ho trasposto in tweet i singoli episodi dell'originale sono esattamente gli stessi che mi ero posta io al momento della stesura. Come eliminare l'elemento surreale mantenendo fedele la vicenda, ad esempio. Perchè non potrebbe funzionare usando un altro social network. Come rimettere in ordine i flashback per costruire un ordine cronologico. Come riuscire a ricreare il Pathos in un contesto in cui – se Ulisse twitta – Penelope non può non sapere che è vivo. Come giustificare i Proci, di conseguenza. Come aggiungere goccioline di sudore alla mia fronte nel tentativo di ricordare (ora che è passato del tempo) come accidenti c'ero riuscita. E c'ero riuscita, caspita! Ebbrava me.

Ho pensato che, in effetti, trasporre i classici in tweet potrebbe essere un buon esercizio narrativo da fare nelle scuole. In fondo ti costringe a leggerli. A studiare soluzioni per il riadattamento. Ad impararli. Perchè no? Se sei suonato almeno la metà di me, a divertirtici pure.

Mi sono sentita fiera, soprattutto, questo è. Non tanto del mio lavoro, anche se non mi ero mai accorta che potesse sembrare difficile. No. Io parlo delle nuove generazioni. Del fatto che – a quanto pare – non siano poi come le dipingono.

Non sono neanche ciò che dicono le statistiche sull'uso dei social, a dire il vero. Ché, stando a quelle , gli adolescenti starebbero abbandonando Facebook per rifugiarsi su Twitter. Che i messaggi da 140 caratteri l'uno sarebbero i prediletti dagli over 30 e dagli under 18. Che poi ci sono un sacco di website tutti nuovi.

Per alzata di mano, invece, i ragazzi hanno dichiarato di avere quasi tutti un account Facebook (su 25, a occhio e croce 20), di usare Ask in 3 e che soltanto uno, tra loro, è iscritto a Twitter; Però, ci tiene a precisare, non lo usa.




Mi chiede, una ragazza sul fondo, che scuola abbia fatto io alle superiori. Quando rispondo “Liceo Classico” avverto percepibile un brusio di disapprovazione. Mi scappa un sorriso. Nonostante tutto, certe cose non cambieranno mai.  

lunedì 2 giugno 2014

Successe a Madrid, ultima parte: Interviste e congedi

[Continua da qui]

Io proprio non lo so, se lo faccia apposta. Se se ne renda conto, se mi associ a qualche ricordo particolare, o se magari ho soltanto la faccia di una a cui piacciono le canzoni romantiche. In ogni caso c'é un che di inquietante e di rassicurante assieme nel fatto che i gesti di gratitudine di Dani Martín mi condannino ancora alle stesse canzoni. La suerte de mi vida, una foto en blanco y negro... sempre quelle, da anni. Sempre le mie. E c'é di nuovo la solita emozione nel sentirmi, per un attimo, speciale. Chissá se glieli hanno giá dati, quei regali?

C'era della gente, sulla balconata che sovrasta il palco. Sagome appena percettibili. Puntini intravisti ed indicati dal parterre ben prima che il concerto cominciasse. Le luci erano accese, le gradinate ancora mezze vuote. Li fissavo, preda di un presentimento.

Mi era venuto in mente, d'un tratto, che El Canto del Loco si appostavano sempre lí, prima dei live. Guardavano la gente correre verso la prima fila. Ho sempre pensato che dovessero divertirsi un mondo. Secondo me scommettevano anche, come con i cavalli. Ricordo che le ragazzine, appena sedute, rimbalzavano quasi. Si rialzavano ed immediatamente cominciavano ad urlare come pazze isteriche, con un'energia che il mio fiatone ha quasi sempre invidiato. La direzione di quella follia erano le sagome sulle balconate. Che non erano mai delineate bene. Peró si sapeva chi fossero. Lo sapevano loro. Lo sapevo io.

Prima di quel concerto, il concerto in cui Dani ha raggiunto il grado di emozione piú alto che io gli abbia mai visto addosso, ho pensato che magari... No, pensare no. Una parte di me lo sapeva. Tanto per fare la pagliaccia, quei puntini li ho salutati sventolando la mano.
















Una settimana dopo, in un'intervista col mio amato Buenafuente, Dani avrebbe dichiarato che era nel panico. Che, sí, i biglietti erano stati venduti, ma “alle 21.10 le gradinate erano ancora mezze vuote”. E lui lo sapeva perché “c'é una balconata, al Palacio de los Deportes...”. Lo sapeva perché “lo guardavo riempirsi da lí”. Sorrido. Chissá se mi avrá vista salutare? Magari avrá pensato che ho la vista bionica. Figo.

All'uscita dal primo concerto, gli assatanati in fila per il giorno dopo sono giá abbarbicati alle transenne dell'ingresso come se quei pezzi di metallo fossero parte integrante del loro corpo. Scorgo distrattamente qualcuno dell'organizzazione mentre gli intima di mettersi provvisoriamente da un'altra parte. Osservo la foga con cui chi é appena uscito si accoda a loro e penso – con estremo orrore – che domani sará tutto un po' piú complicato. Per la veritá, la soluzione migliore mi sembra essere richiuderci in bagno e rimanere lí fino al giorno dopo ma – chissá perché – nessuno accoglie la mia astutissima proposta. Bah.


Alle due di notte credo di essere stata molto furba a scegliere di accompagnare Silvia e Sergio a caricare i cellulari nel mio ostello. Questo finchè Celine non rientra raggiante dicendo che ha visto Dani e “l'ha abbracciata come mai prima d'ora”. Il mix di stanchezza e invidia mi porta a sproloquiare in due lingue in un discorso intercalato da porte sbattute che più o meno recita: 



“Vaffanculo, putos móviles de mierda! Tutto perchè al giorno d'oggi non riusciamo a stare senza tecnologia, que luego mañana sale tarde, e io devo chiedergli se gli han dato il regalo, y no podían comprarse los enchufes ésos que funcionan con baterías, che poi non ti puoi neanche incazzare perché ci tengono il posto, uffa, vabbé ora dormZZZZZ”.


Il giorno dopo, finalmente, esce il sole. Alle cinque di sera. Quando ho ormai allungato il Decalogo del Perfetto Concertista con una serie di postille “In caso di Pioggia” la cui regola aurea é incarnata dal mantra “melium abundare quam avere le chiappe bagnate” riferito alle buste della spazzatura. Ma esce il sole. Sto cercando di approfittarne per incrementare le 2 ore di sonno (notte) + 1 (siesta) della giornata sfoggiando una mise completa di: 
- turbante (aka sciarpina multiuso comprata al Corte Inglés in una vera e propria lotta alla salvezza mentre riflettevo su quanto sia dura la vita dei senza tetto); 
- trucco colato; 
- jeans consunti (ho appena trovato dei buchi sospetti sulle cosce) e 
- giubbino in pelle usato come cuscino (causa sparizione di quelli del café y té); 

Quando una voce che mi sembra provenire dal centro esatto della mia fase REM mi trapassa i timpani in un “Ilariaaaa, Ilariaaaa!”. 



Mi sollevo a stento, cercando di mettere a fuoco l'essere umano da cui proviene. É una ragazza che dimostra sú per giú la mia etá. Brandisce – con mio sommo orrore – una telecamerina digitale e un pass. 



“Hola, te acuerdas de mí? Soy Ana!”
“.....”

“Ana, la del foro verde!Asidesastre!”

Aaaaaaaaaaaaaaah! Certo” - vorrei dirle che ho appena scritto un post su di lei sul mio blog ma forse non é il caso.



Cerco di protrarre i convenevoli nel vano tentativo che guadagnare tempo contribuisca a svegliarmi del tutto, ma evidentemente non ci riesco troppo bene. Cosí, quello che sospettavo accade. “Ho visto le bandiere, ti posso intervistare per il dvd del concerto?”. 






Ora: una parte di me é orgogliosa. Insomma, puó essere il modo giusto per fare promozione al fanclub, convincere la Sony che in Italia c'é un potenziale pubblico, avere un ricordo indelebile di queste giornate. L'altra, peró, si rende conto della nebbia che attualmente avvolge la mia mente, per non parlare del sentore tutt'altro che discreto delle mie condizioni fisiche. E quella parte ha veramente paura. 

Dico di sí. Firmo la liberatoria con una calligrafia da far invidia a un medico. E dopo aver sproloquiato di cose di cui a tutt'oggi non sono pienamente conscia (so di aver detto che dei concerti di Dani mi piace tutto, di amare la Spagna, di approfittarne per fare turismo e di aver mentito spudoratamente dicendo di essere di Venezia perché l'elargire coordinate geografiche avrebbe richiesto troppo sforzo cerebrale) lei se n'é andata. Per farla breve, ho parlato di tutto tranne che del fanclub. E il fatto che Michela abbia esternato : “il lato positivo é che non esce in Italia”, non mi rassicura molto sulla mia performance. 

Al termine di ben altre tre ore di concerto scegliamo di attendere il cantante all'uscita. Intendiamoci: lo sappiamo, che dopo due notti al Palacio de Los Deportes si intratterá molto a festeggiare. I “si stanno divertendo molto” di Bori, del resto, non sono proprio quello che definirei un buon presagio. Eppure, nessuno sembra voler abbandonare la postazione. Tranne me. Io che ho appena ingurgitato un pacchetto di TUC “giusto per far qualcosa” e devo tenermi ad un muretto per reggermi in piedi. Io che, dopo aver avuto sentore delle gradazioni alcoliche all'interno, ho terribilmente paura di rimanere delusa. Voglio dire, abbiamo appena visto una persona emergere da lí inciampando rovinosamente su un gradino nel tentativo di camminare dritta; Dani ubriaco non lo potrei proprio sopportare. Certo, lui mi ha vista sbronza mentre ridevo da sola nella hall di un albergo, e non é che mi sia fatta poi tutti 'sti gran problemi. Il contrario, peró, NON PUÓ ASSOLUTAMENTE capitare. Tra fanclub e altro ho troppe robe in ballo perché mi crolli la stima. 

Alle tre e mezza, mossa da pensieri macabri tipo lui che all'insegna dell'In vino veritas mi urla che sono una rompicoglioni, che devo tornarmene in Italia e che i regali gli facevano cagare (glieli avranno dati, a proposito?) decido di congedarmi. Non ho neanche finito di dirlo che qualcuno urla Daaaani, e a me tocca fermarmi di botto come obbediendo al richiamo della giungla. 

In realtá l'uomo-col-ciuffo si rivela abbastanza saggio da non scendere dall'auto. Quindi mi scordo l'abbraccio “come mai aveva fatto prima”, ma, se non altro, se é ubriaco non si vede. Certo, ha gli occhi rossi e l'espressione da “non so dove mi trovo”, ma potrebbero anche imputarsi ad una giustificatissima stanchezza. In ogni caso, l'auto in questione é presa in assalto dalle niñasminkia, e siccome sono notoriamente un nano non vedo altro che una massa di chiome variopinte che urlano in coro: “nos hacemos un selfie?”. Sento la voce di Dani rispondere qualcosa tipo “selfie o cerfie?” ridacchiando Dio solo sa per cosa, e intanto parto per dei viaggi mentali assurdi sul fatto che in italiano selfie é femminile e in spagnolo maschile, ma essendo un termine internazionale, a conti fatti, chi é che lo decide? E se é “autoscatto” allora in italiano dovrebbe essere UN selfie , mentre se é “AUTOFOTO” in spagnolo casomai LA selfie, e se…


















Mi risveglio dal coma lessicale solo quando mi accorgo che Céline, a due centimetri da me, lo sta salutando. Al che mi avvicino al finestrino con un sobrissimo “Hola Dani”. E la conversazione che segue é grossomodo la seguente: 

“Hola Ilaria cómo estás?”

Macchina che si accoda alla sua. Colpi di clacson. Omino minaccioso dello staff in avvicinamento. 
“Distrutta, Dani. Sono distrutta.”
Qualcosa mi dice che magari non é carino esordire lamentandosi, peró. 
“Cioé, ne é valsa la...”
L'omino minaccioso si intromette urlando “via, via! Dovete andare viaaaa”. 
Io arretro, perché sono fondamentalmente una ragazza obbediente e – soprattutto – perché non voglio morire prima di aver organizzato la festa dei trent'anni coi chupitos nelle cialde del gelato. 
Dani, peró, non sembra essere d'accordo.
“Ilaria, Ilaria! Un beso!”, dice. Lo vedo protendersi al finestrino porgendo la guancia (che detto cosí fa molto Giuda) e allora lascio perdere l'omino. 
Lo abbraccio fugacemente oltre al finestrino abbassato e mi lascio sbaciucchiare su entrambe le guance stranamente senza sbagliare l'ordine destra-sinistra: dopo tutti questi anni, continua a capitarmi in Spagna con chiunque tranne lui, generando incidenti alquanto imbarazzanti.



Ma la buona stella ogni tanto mi assiste. O magari é sfiga, dipende da come la si vede. 



Comunque, il tutto dura circa due secondi. Poi l'omino mi trascina via di peso prendendomi dai fianchi, lui blatera un “gracias, gracias” generalizzato alle niñasminkia e non presenti, l'auto riparte e quelli dietro smettono finalmente di suonare il clacson. Che poi, dico: che fretta mai potrai avere, alle 4 di notte? Mica devi andare a prendere un aereo! Ah,giá. A proposito. 


La scoperta finale del viaggio é che il teletrasporto é giá stato inventato. Basta non dormire per due notti, salire su di un volo qualsiasi e chiudere gli occhi.



Manco a dirlo, al giorno d'oggi non so ancora nulla dei regali.