giovedì 30 ottobre 2014

Cremonini e le passioni sane: riflessioni in attesa di un live.

Ogni giorno è una domanda. "Come mi vesto?". "Con cosa inizierà?". "Chissà se la fa, questa". Ogni mattina, al risveglio, è una canzone nuova. Immagino quel palco, congelato nella prospettiva della sola foto che mi sia concessa di vedere. Lo pregusto, pieno di colori. E poi, sulla strada per l'ufficio, mi scopro a sorridere da sola. É dall'inizio della settimana, che mi succede: climax di intensità inversa a ciò che mi rimane dell'attesa. Ho l'ansia, sì. Ma è un'ansia che sa di bello. Un'ansia fatta di deja vù incastrati, fin troppo vicina all'euforia. 



Strano. Dopo tutti questi anni (o forse proprio per questo) quella per Cremonini è in fondo la mia passione musicale piú sana. Me ne sono resa conto all'improvviso, questa mattina, su quella stessa strada. Tra un'utilitaria ferma al semaforo rosso ed un anziano che - fermati subito! - dava da mangiare ai piccioni. Dovrebbe essere sempre così. Per me. Per tutti. Perchè non mi interessa stare in prima fila. Vederlo. Farmi firmare un autografo. Non mi interessa sfoggiare foto assieme a lui sui social. Trovare l'albergo in cui alloggia. Non mi importa con chi stia o cosa pensi nel privato. Non me ne frega nulla di chi altri verrà al concerto, che età avrà, chi entrerá in camerino o chi assisterá al sound check. Non ho gruppetti con cui litigare, gente di cui sparlare, menzioni da desiderare su twitter, invidie da fuggire tra il metallo delle transenne. No. 

Tutto quello che ho è la musica. La sola cosa che mi importa è divertirmi, Domenica, a un live. E, sapete che c'é? É bellissimo. Volevo dirvelo.

Io, che non ho nessuna foto del mio primo concerto perchè sul retro dei biglietti con la rana c'era scritto che erano proibite. E avevo lasciato a casa, per ogni evenienza, la macchinetta di cartone usa & getta coi rullini da 12 scatti. Ché tanto poi mi venivano sfocati. Io, che nel 2008 avevo gli incubi sul crollo di un palco a più livelli che fino a quel momento avevo visto solo su youtube. E mi svegliavo sudata, col volo prenotato per Madrid. Io che non capisco le mezze misure. Io che vivo sempre tutto alla massima potenza, finchè mi scotto e mi rifiuto di volerlo rifare. Io, che riesco ad idealizzare chiunque, se appena mi regala un'emozione. Io ,ecco, volevo condividere con voi questo pensiero. 



Perchè rendermene conto, questa mattina, è stato come quando, dopo tanto tempo, riprendi a scrivere per te e non perché devi. Quando trovi una storia, una pagina di diario, un qualcosa che ti diverte. E ti ricordi, d'un tratto, perchè hai sempre amato farlo.

Spero, quella sensazione, di non scordarla mai. 

domenica 26 ottobre 2014

Le 5 liste più curiose a tema Spagna

Le liste sono il contenuto che meglio funziona sul web. Per dimostrarlo non addurrò i dati di qualche studio (e, credetemi, ce ne sarebbero tanti!), quanto il mio stesso essere vittima d'un'inspiegabile forza di attrazione. Perché non so resistervi. Davvero. Leggo "Le 10 cose che…", "i 5 migliori qualcosa", "I 13 fatti più qualcos'altro" e, prima ancora che possa rendermene conto, ci ho già cliccato sù. Fossero anche articoli sulle guerre puniche (da notare che il correttore automatico del Mac, che é notoriamente peggio dei pre-adolescenti, si ostina a correggerle in "guerre pubiche") , sui ragni più pericolosi del mondo (schifum maximum!) o sulle metodologie di tessitura della lana in Nepal. Poi, dal momento che quello che leggiamo tende sempre a influire sulla nostra scrittura, è spesso capitato che mi sia fatta contagiare anche a livello attivo da quella che definirei ormai un'epidemia più diffusa dell'Ebola. Questa volta, però, gli elenchi non li produrrò io. 
Piuttosto, ho deciso di condividere con voi alcuni tra i più insoliti o curiosi che ho trovato in Rete a tema Spagna. Dentro ci troverete idee per sedurre la vostra dolce metà, itinerari gastronomici, luoghi di cui probabilmente ignoravate l'esistenza, e persino un pizzico di comicità. La lettura perfetta - e indiscutibilmente numerata! - per una Domenica oziosa. 


L'articolo suggerisce alcuni scenari incantevoli in cui appartarvi con il partner nella città catalana. Nel caso in cui ci sia un aitante giovine sosia di Jhonny Depp che desideri conquistarmi, sappia che il mio preferito è anche il meno scontato: il Laberint d'Horta, labirinto vegetale incastonato tra palazzi, padiglioni e sculture che fa tanto Teseo e Arianna, Alice nel Paese delle Meraviglie o videoclip onirico di Robbie Williams. Sconsiglierei invece il Parc Guell la sera tardi, poco prima della chiusura: sarà anche suggestivo, ma è tutto fuorché raccomandabile. Se verrete aggrediti da un qualche maniaco psicolabile non dite che non vi avevo avvisati. 





Perché accontentarsi di una trattoria qualsiasi quando potete cenare in un bunker giapponese della  seconda guerra mondiale, in un loft oppure avvolti dall'atmosfera anni '50 in un posto che sembra il set di Mad Men? Tra i cinque ristoranti consigliati nel post, il più mitico e rinomato è il cinese nascosto in un corridoio nel parking sotterraneo di Plaza de España. Quello che, invece, più mi attira é "Asiana Next Door": un negozio di mobili d'antiquariato che di sera si trasforma in un ristorante esclusivo con capienza limitata a 7 tavoli e un massimo di 25 commensali. 

Il ristorante "Asiana Next Door"


Il cosiddetto "Soho di Málaga" é un quartiere della cittá recentemente riconvertito all'insegna degli spazi artistici e di design. A caratterizzarlo, anche importanti opere di Street Art che hanno contribuito a dotare di ulteriore valore aggiunto una zona un tempo piuttosto malfamata che é diventata oggi uno dei fiori all'occhiello del capoluogo della Costa del Sol. Mi chiedo come sia possibile che nessuno mi abbia mai parlato di "Love is Bakery", pasticceria americana in stile anni '60 nota per i suoi irresistibili cupcake e torte di vario genere. Tra le ulteriori destinazioni suggerite extra-elenco, notevole anche k- dksa: negozio di articoli di regalo di design in puro stile vintage. 

La pasticcieria Love is Bakery

La pasticceria Love is Bakery
Il negozio k-dksa di Málaga


Non solo Prado, Reina Sofia e Thyssen: rimarrete allibiti scoprendo l'incredibile varietá di musei ospitati dalla Capitale spagnola! Il più bizzarro in assoluto? Quello dedicato al Topolino dei denti, con materiale documentativo della leggenda del personaggio e addirittura denti di persone famose (alquanto inquietante, sì.)

La casa museo del Ratón Perez (il topolino dei denti) a Madrid



Uno dei post a tema musicale in assoluto più insoliti (e surrealisticamente divertenti) che io abbia mai visto. Presenta una buffa galleria di screenshot presi dal fortunato video ufficiale di uno dei singoli del cantante per abbinarli ad improbabili esclamazioni da lui pronunciate. La più azzeccata? "C'é odore di umidità e a me si arricciano i capelli". Lo capirete anche da voi: é talmente assurdo che non potevo non citarlo a mó di ciliegina sulla torta. 





martedì 21 ottobre 2014

Graffiti e Canzoni: poesia urbana per le strade di Madrid

Il mio amore per l'opera dei Boa Mistura non é più un mistero, ormai. E di certo non lo é quello per la musica. Ecco perché non dovrebbe stupirvi che io trovi assolutamente affascinante la nuova iniziativa che invade le strade di Madrid. Il collettivo di street-artist madrileñi ha infatti tappezzato la cittá di versi di canzoni. Appartengono al rapper Rayden e al cantautore Leiva: tutti nativi della capitale spagnola. Tutti coinvolti in un progetto che ridá nuovo lustro alle creazioni più riuscite. 

Non si trova granché, a cercare su Google (qui uno dei pochi articoli dedicati, sul portale divinity.es).  Di certo, peró, l'iniziativa ha riscosso il consenso degli internauti, almeno a giudicare dalla quantità di foto che, sui social network, contribuiscono a donare immortalità all'effimero. 

Questi sono solo alcuni esempi. Giudicate voi. 

Foto Credits 
In alto, da sinistra a destra: Boamistura, @jesterpic (Instagram) 
In basso, da sinistra a destra: @mrjungla (Instagram); @tardesderecreo (instagram) 






domenica 19 ottobre 2014

Mi Teatro.

Prometteva di ricreare l'atmosfera dei concerti, il nuovo DVD di Dani Martín. E, in un certo senso, é stato così. Non credevo di poterla provare anche attraverso uno schermo, quella sensazione. La famigliarità dei volti in mezzo a cui sono cresciuta. Lo strano senso di conforto e appartenenza. Il sorriso ebete che, per due ore di fila, mi mette in pausa il resto della vita. Mi é sempre successo, ai live. Si accendono i riflettori, i primi accordi riempiono di storia un palco, ed io dimentico di colpo ogni fastidio. Deja vú. Ricordi inanellati nelle stesse quattro note. Sei lí, sei viva. Ti aggrappi a una transenna come fai con le illusioni. D'improvviso la tua rabbia sembra sbagliata e lontana. Perdono di significato, gli episodi che ti hanno strappato di dosso l'entusiasmo. Le delusioni che ti accorgi dipendere in percentuale eccessiva da parole altrui. "Sono un'idiota", ti ripeti. "Voglio riviverlo", ti sembra urlarti in faccia l'emozione. 




Per questo, soprattutto, mi é piaciuto "Mi Teatro". Non perché ci sono anch'io, a parlare di quella stessa sensazione in fila. Non perché la mia felicità trasuda in modo evidente nel veloce primo piano sulle note di "Mira la Vida". Anche se sarebbe stata una giustificazione valida, non è nemmeno perché si guadagna a pieno titolo la dicitura "italo-spagnolo" in virtù della regia. L'ho scoperto per caso,  merito di un accento un po' troppo rivelatore e di una successiva ricerca su Google: a curarla è stato Cristian Biondani,  italianissimo e già responsabile - tra altre molte opere impeccabili - del film in 3D del concerto di Ligabue a Campovolo. Ma no, non è per questo. Mi Teatro mi è piaciuto, essenzialmente, perché per 110 minuti sono riuscita a fingere che niente fosse cambiato. 




Certo, poi spegni la tv e l'effetto passa. Tanto ormai sono rassegnata a viverla in modo conflittuale. In bilico tra l'allontanamento imposto dalla crescita e la volontà di rimanere attaccata a qualcosa in cui ho investito quasi un decennio di vita. Lo so, che quando idealizzi troppo qualcuno e te lo buttano giù dal piedistallo niente può tornare come prima. E siccome cambio gusti, cambio ascolti, trovo sempre la stessa frase nel profondo dello stomaco. Estrapolata dal contesto, eppure crudelmente vera. "Così acido è il sapore della delusione". Giá. 

Forse è un bene, però. Perché se poi cullarsi nei ricordi riesce a restituirmi quelle sensazioni, allora vuol semplicemente dire che posso guardare agli eventi con un occhio più critico. Che posso provare (se non sempre riuscire) a separare la persona dalla musica, a riconoscere quello che non mi piace risparmiando il resto. A rinunciare - Alleluiah, alleluiah - alla visione distorta della fan in favore di uno sguardo finalmente obiettivo. 

Ci sono dichiarazioni su cui ho da ridire, in effetti, dentro a quel DVD. L'affermazione per cui ora "non c'è più isterismo tra la gente che si accampa fuori dai palasport", per esempio. Oppure quella, opposta e ribadita in più interviste successive, per cui un pubblico di quindicenni è il benvenuto, perché "garantisce alla mia musica un futuro"; "Perché mi fa vendere", anzi, meglio ancora. 

É vero, non c'é dubbio. Sarebbe ipocrita sostenere il contrario. Ingenuo pensare che chi vive di musica non aspiri a commercializzarla. A quale prezzo, però? 
Puntare ad un target di adolescenti urlanti vuol dire portarle ad identificarsi nelle canzoni che scrivi. Il che spiega, peraltro, il terrore dichiarato in un altro DVD. La paura di sistemarsi, mettere sù famiglia, perché "temo che non mi verrebbero più canzoni". Perché verrebbero, in realtà, ma affronterebbero altri temi. Racconterebbero storie che le ragazzine non vivono. Il contrario, però, rischia di allontanare (come in molti casi ha - ahimè - già fatto) le trentenni che con la musica de El Canto del Loco sono cresciute. Di escludere l'ondata di madri ultra- quarantenni che erano salite sul carro dei fan all'uscita di Pequeño e che si sono volatilizzate, veloci com'erano venute, al comparire del ciuffo e dello styling per gli abiti di scena. 
É una scelta, e come tale va rispettata. Le adolescenti, però, sono umorali per definizione. Continueranno a seguirlo, quelle che ora si scrivono il suo nome sulla fronte? Se non lo faranno ne arriveranno altre, pazienza. Ma per quanto tempo ancora? Se si stuferanno, un giorno, cosa rimarrà? 

Non dovrei chiedermelo, lo so. Non dovrebbe importarmene. Non dovrei sentirmi dispiaciuta alla sola idea come se su quel palco ci fossi io. É questo il mio problema: che, nonostante le delusioni, di questa storia mi sento ancora parte attiva. Coinvolta ed incapace di indifferenza alcuna. 






E ad ogni modo resta bello, poter dire "io c'ero". Farsi venire la pelle d'oca davanti all'interpretazione di Gretel in duetto con Axel (Axel e Gretel: non fa ridere anche voi?). Sentire l'esigenza di indicare con orgoglio quel tizio con gli occhi azzurri mentre canta "Señora" con Serrat. Incoerente con tutti i pensieri pregressi insistere orgogliosa che "vedi, vedi? Ce l'ha fatta! Vedi? Lo vedi quante emozioni arrivano, da lí?". 

Dovreste comprarlo giá solo per quei due momenti, il DVD di "Mi Teatro": Per Gretel e per Señora. E poi per le altre imperdibili chicche. Tipo "Contigo" di e con Sabina. "Terriblemente Cruel" di e con Leiva. La mia faccia sconvolta che mi apre un indiscusso futuro nel cinema (di genere horror). La performance flamenca improvvisata nei camerini. O, ancora, la rivelazione inedita di un episodio imbarazzante avvenuto durante un concerto a Mallorca, fatto di pantaloni strappati e di mutande assenti. Che, tra parentesi, leggo come una chiara pulsione al masochismo. Perché, a meno che non sia un modo morboso per strappare altri urletti alle adolescenti, a me qualche domanda la impone. Voglio dire: io non sono un uomo, ma non dev'essere quantomeno scomodo se non dolorosissimo portare gli skinny jeans senza mutande? Mah. 

E, tanto per restare in tema di Domande Esistenziali, ce ne sono due a cui non avremo mai risposta: 

La strada che percorrono con il furgoncino é inquietantemente poco varia in quanto a panorama, o hanno passato un'ora a girare su se stessi? E, soprattutto, come diavolo fa a rimanergli intatto il ciuffo dopo 3 ore di show, se io dopo cinque minuti ho in testa un cespuglio degno del migliore performer reggae? Dopo tutti questi anni, almeno un prodotto per capelli, Dani, potrebbe anche consigliarmelo. Che diamine. 

venerdì 17 ottobre 2014

Flashmob flamenchi, 2014 Edition

Ebbene sì: l'hanno rifatto. Anche quest'anno la biennale di Flamenco di Siviglia si è conclusa all'insegna del flashmob. Come già nel 2012, l'evento ha coinvolto innumerevoli città del mondo con l'intenzione di celebrare un'arte che, seppur nata in Spagna, se ne frega bellamente dei confini. Di nuovo, in una data e ad un'ora prestabilita, appassionati del baile si sono dati appuntamento nelle piazze per inscenare una coreografia appositamente creata da Pastora Galván.  Non potevo non parlarvene, lo capirete anche da voi. Non é solo per dare un seguito ad un vecchio post, quanto perché - a causa di motivi a me insondabili - guardare quei video mi attorciglia le budella attorno al cuore. Dico davvero. C'é qualcosa, nell'idea della simultaneità geografica e della globalità di una passione, in grado di toccare fibre che neanche pensavo di avere. E mi commuovo, ecco. Mi commuovo come una deficiente. Ogni volta. Ad ogni dannatissimo play. 

Avrei voluto partecipare, ovvio; Solo che come sempre pecco di scarso tempismo. Non mi resta, perciò, che condividere con voi quello che qualcun altro ha fatto, il 5 Ottobre scorso, in giro per il nostro piccolo pianeta. Buona visione!

IN ITALIA 

A giudicare da Youtube l'Italia, rispetto alla scorsa edizione, ha vantato pochissime partecipazioni. A conti fatti, forse la mancanza di tempismo non é stata un problema solo mio. Comunque sia, solo a Milano e Torino hanno sorpreso i passanti, con rappresentanze che non definirei numerose, a suon di golpe e di tacón.





IN EUROPA 

Per il resto (e non sorprende!) il flashmob sivigliano rimane sempre il più emozionante. Il vecchietto che passeggia del tutto indifferente e anche un po' scazzato al casino che gli si scatena dietro, poi, dota di un valore aggiunto il video documentativo. 



Il podio dei miei preferiti lo completano quello di Praga (uno dei più affollati fuori dal territorio spagnolo, con ben 59 ballerini coinvolti nella cornice di una meravigliosa location), e quello di Lubiana, caratterizzato dalla musica live. Sará anche merito del montaggio, ma il flashmob sloveno mi sembra anche quello che forse meglio esalta l'effetto sorpresa. 





A titolo informativo, hanno partecipato anche a Cambridge (postilla: ma che é 'sto cielo azzurro? Non c'é più l'Inghilterra di una volta!) e ad Amsterdam, di cui apprezzo particolarmente la scelta di inserire le motivazioni dell'esibizione al termine del filmato. 

IN ASIA 

É sempre piuttosto strano osservare delle orientali che ballano flamenco. Eppure, la Cina ha aderito all'evento con una doppia rappresentanza. Surreali le ballerine di Shangai, con tanto di occhiali da sole e grembiuli da negozio di souvenir iberico addosso. Decisamente più sobrie quelle di Pechino, nonostante il total pink di una di loro mi ricordi vagamente i Power Ranger. Un applauso per il bimbo che si unisce alle danze con un portamento migliore del mio.




IN AMERICA 

Boston, Ottawa, Minneapolis e Toronto sono le rappresentanze nord americane fino ad ora documentate, con le canadesi a darmi la sensazione di essere, a pelle, tra quelle che si divertono di piú.




In America Latina sembrano aver aderito solo le argentine, peraltro penalizzate da un diluvio universale che le costringe ad esibirsi sotto ad un portico. Personalmente é il flashmob che mi piace meno: non tanto per l'esibizione, quanto perché la scelta di realizzarlo in abiti di scena fa perdere, a mio avviso, lo spirito "improvvisato" dell'evento. 




Voi che ne pensate, invece? Avete già deciso qual é il vostro preferito? 


domenica 12 ottobre 2014

La Barcolana vista da me … e dagli spagnoli.

Arancionità. Il vocabolo mi rimbalza in testa - ossessivo come un mantra- mentre il Mediterraneo, attorno a me, cambia colore. Ha un fascino quasi poetico, la città, vista da qui. L'ha sempre avuto. Forse è perchè, all'estrema propagine del Molo Audace, riesci a dimenticare per un attimo di esserci in mezzo. Sembra lontana, Trieste. Illusione altera e surreale di skyline asburgici che emergono dal mare. La guardo accendere le luci, mentre il tramonto piano sfuma nella notte. Intinge i riflettori nell'acqua, come fossero pennelli da pulire. La gente si accalca sulle Rive, variamente affrettata, imprigionata dalle sbarre di centinaia d'alberi spogli. Cacofonie di musiche varie. Postazioni televisive improvvisate nei gazebo. Crocevia d'accenti. Una barca a vela mi passa accanto in un silenzio di sbuffi. E tutto quel che penso è che nessuna foto potrà rendere l'idea. Tutto quel che penso, incapace a descrivere, è la parola Arancionità.


Foto: Fulvio Dot

Il fine settimana della Barcolana è uno dei rari momenti in cui mi sento fortunata, a vivere dove vivo. Perchè, alla vigilia della Regata più affollata al mondo, si respira festa e mai competizione. Gli equipaggi, a bordo delle barche ormeggiate, suonano chitarre, ballano a ritmi techno e offrono da bere. Ci sono famiglie con il cane, intente a fare uno spuntino a base di panini con porchetta. Ci sono uomini di una certa età che ridono a squarciagola con una bottiglia di Prosecco in mano. E, subito accanto, ironia del destino, americani infighettati in uniformi ben stirate, biondi e patinati come personaggi secondari di O.C. Ci sono eventi, volti, quintali di motorini ammassati senza regola al parcheggio del Molo4. 

Foto: Fulvio Dot

Ci sono bambini con il palloncino di Alien (la barca, non il film); Mamme con lo zucchero filato; Slovene con il fiore in testa e strani tizi travestiti da astici che suonano il tamburo in Piazza della Borsa. E tu, di colpo, ti senti al centro del mondo. Prima ancora di afferrarne il motivo, ti senti felice.


Foto: Emme&Emme/Parenzan (Pagina Facebook "Barcolana") 


Foto: Emme&Emme/Albertacci (Pagina Facebook "Barcolana")

Adesso che anche la quarantaseiesima edizione è finita, non posso fare a meno di ricordarne gli aspetti più curiosi. Tipo i turisti (pazzi!) che fanno la fila davanti ad uno stand che ricrea artificialmente l'esperienza della bora. L'azzeccata promozione dei Quattro Salti in Padella, che con soli tre euro, una mensola piena di microonde ed un contenitore da cinese-per-asporto ti permette di abbuffarti di pasta low cost. O, ancora, lo stuolo di BMW bianche targate Esimit. Il lusso da schiaffo in faccia parcheggiato davanti ad uno degli hotel più costosi della città. Robe che non possono non starti antipatici, per quanto già supponi che vinceranno di nuovo. 

Soprattutto (per chi mi conosce è ovvio) ricordo i concerti. Quelli del Venerdì, ché a me di Mario Biondi frega poco. C'erano i Beatbox, a fare l'apertura: bravissima band di tributo ai Beatles, mi ha fatto pensare, ancora una volta, a quanto tutti gli artisti che seguo siano debitori al quartetto di Liverpool. Riflettere su quanto mi sarebbe piaciuto vederli dal vivo. Rendere evidente, se mai ce ne fosse bisogno, che se fossi nata in un'altra epoca sarei stata una delle tizie isteriche che urlavano ad ogni loro apparizione.


Foto: Emme&Emme/Albertacci (Barcolana Facebook Page) 


E poi Jack Savoretti, con l'attesa partecipazione di Elisa in due brani. In realtà, per quanto la sua voce sia sempre impeccabile, quei duetti sono stati la parte che mi ha convinta meno. Perchè a piacermi, invece, è stato proprio lui. 


Foto: Emme&Emme/ Albertacci (Barcolana Facebook Page) 

L'italo-inglese che conoscevo in via pressochè esclusiva per un brano inserito nella mia playlist estiva. A ben vedere è questo, il bello dei live gratuiti: che ti danno l'opportunità di conoscere realtà che altrimenti, forse, non avresti approfondito. Sarebbe stato un peccato, ora lo posso dire. Perchè Savoretti (oltre ad essere un gran figo, diciamolo) ha una di quelle voci roche in grado di rubarti l'anima. Gli basta una chitarra per trasformare in un concentrato di grinta il ragazzo timido che intermezza i brani di aneddoti. Ed io ne resto ipnotizzata. Al punto da scriverlo su twitter, essere rintracciata dal suo fanclub italiano, e constatare tra i sorrisi che i fanclub sui social – è inutile – sono proprio tutti uguali a quello che ho immaginato per Ulisse in #Odissea.




Comunque. Sono l'autrice del blog italo-spagnola, ed oggi è il Día de la Hispanidad. Per cui non posso parlare della Barcolana senza fare menzione al gruppo di spagnole che, proprio sul molo Audace, mentre pensavo Arancionitá, mi é passato accanto parlando di scherzi da progettare. É bastato il loro accento, a risvegliare in me una curiositá che sento a cadenza annuale. Insomma: il centro del mondo, in qualche modo, dovrebbe essere in grado di attirare anche la curiositá di qualche iberico, no? Preda di un istinto da membro della CIA, ho cercato cosa gli spagnoli scrivessero sul web in merito all'evento piú figo di Trieste. E questo é quello che ho trovato.

LA STAMPA

Come ovvio, i media specialistici sono i più interessati alla regata.

NauticalNewsToday ne parla come di un “evento unico al mondo” a cui “ogni regatista dovrebbe partecipare almeno una volta nella vita”, mettendo l'accento sulla principale novitá dell'edizione di quest'anno: l'arrivo direttamente in Piazza Unitá, “che rende Trieste ancor piú protagonista”.

Marabierto, nel suo articolo pubblicato prima dell'inizio della manifestazione, dá ampio spazio agli eventi collaterali organizzati della cornice della Barcolana, dalle mostre fotografiche alle conferenze sulla progettazione navale, passando per le innumerevoli regate minori. Ampia rilevanza viene data anche al numero degli iscritti, sebbene i 616 di cui si parla nel post siano poi diventati oltre 1900.

Di grande impatto anche la
photogallery dedicata alla Regata dal quotidiano paraguaiano ABC, che intitola: “Barcolana, lo show di Trieste” e che potete godervi qui:. 



Alcune immagini estratte dalla photogallery di ABC Digital


INSTAGRAM 

Tra le centinaia di foto postate su Instagram durante il weekend della Barcolana, non é difficile scovare anche quelle scattate dagli erasmus iberici di stanza a Trieste. Tra tutti, segnalo quelle di @hbryniarska, che si merita tutta la mia stima giá in virtú della biografia con cui ha scelto di definirsi sulla piattaforma: Spain- Italy, street of dreams. 

La ragazza ha immortalato non soltanto alcune fasi della regata, ma anche il contributo spagnolo ad uno degli eventi fuori-regata piú apprezzati dagli instagramers: il laboratorio con disegni e gessi colorati allestito in Piazza della Repubblica.

Caricamento
#Barcolana46



I BLOG

Il punto di vista che si preannuncia piú autentico ed interessante é quello promesso da una ragazza delle canarie appena arrivata a Trieste per una borsa di studio Erasmus di 9 mesi. La studentessa ha aperto un blog personale per documentare la sua esperienza e, dopo un primo post riservato alle opinioni sulla cittá ("bella, tranquilla e accogliente") e alle sue statue di importanti scrittori (apprezzate a causa del suo amore per la letteratura) promette di raccontare al piú presto anche la sua prima Barcolana. Tenetela d'occhio qui 


TWITTER 

I tweet spagnoli dedicati alla Barcolana, quest'anno, sono stati piuttosto scarsi. Tra essi segnalo, peró, quello del patriotticissimo @juansheen, in procinto di approdare tra i nostri confini appositamente per assistere alla regata; e i ricordi di @leticiasaiz, che l'atmosfera della Barcolana ha reso nostalgica persino di una botta presa in barca durante la sua partecipazione alla scorsa edizione della regata. 



Quello che mi fa piú ridere, peró, nonostante non c'entri direttamente con l'evento, é il commento di @thehauntedocean. “Adoro la versione slovena/serbo-croata di scrivere Trieste: TRST. Nella mia mente sa di schiaffo dato con la mano aperta”. Ho sempre avuto esattamente la stessa sensazione.


venerdì 10 ottobre 2014

Dell'Ebola e dei cani.

Penso sempre che mi diate per dispersa, quando sto una settimana senza postare. Probabilmente è un atto di presunzione. Un senso di fastidio che provo in via esclusiva a causa della mia pessima gestione del tempo. Parliamoci chiaro: non credo che vi freghi realmente se mi prendo una pausa dai miei post prolissi. Eppure, chissà perché, mi sento in obbligo di darvi spiegazioni. Non ho mai smesso di scrivere, in realtà. Ho tradotto, informato, delirato e creato a getto continuo su una gamma variegata di canali. E, tra tutte le altre cose, mi sono anche spaventata un bel po'. 


Parlo dell'Ebola, ovviamente. Ho analizzato la situazione in un articolo per Total Free Magazine: gli errori commessi, le accuse, le reazioni sui social. Nonostante fosse solo Mercoledì, da allora molte cose sono già cambiate. E non è stato mai per una svolta positiva. Ho letto che il governo ha incolpato l'infermiera malata, scarica-barili italian style per difendersi dal dito puntato dell'Europa. Ho letto che le sue condizioni di salute peggiorano. Che suo fratello sarebbe stato licenziato per paura di contagio da parte dei suoi datori di lavoro. Ho letto, soprattutto, che il cane è stato abbattuto. Ammazzato, anzi. Le parole hanno un loro peso, ed è giusto dargli quello che si meritano. Se la situazione non fosse allarmante potrei fare dello spirito sul fatto che il Ministro della Sanità spagnola faccia di cognome "Mato", che tradotto vorrebbe dire "uccido". Ma da ridere c'è poco, e io sono troppo incazzata per pensare ai risvolti umoristici. 

"Era solo un cane", direbbe qualcuno. "Parli così perché non hai figli", mi ha detto qualcun altro. Ma il fatto é che io, un gesto così, non lo riesco neanche lontanamente a concepire. Non lo capisco. Punto e basta. Mi sa di inutile e di disperato. Perché nessuno sapeva, sa e saprà mai se quel cane avesse contratto l'Ebola o meno. Perché non c'è mai stato un caso in cui un animale abbia contagiato tale virus all'uomo. Perché ci sono pochi studi in proposito, e non è chiaro se possa avvenire. Perché è vero, nessuna madre vorrebbe trovarsi davanti all'eventualità di un figlio che gioca con un cucciolo che potrebbe anche avere il virus; Ma ci sono altri modi, dannazione. Uno su tutti: l'isolamento controllato. Era la scienza ad implorarlo. "Vi prego, lasciatelo in vita", esortavano dai media. E non era un "capriccio" animalista, ma la possibilità concreta di studiare le dinamiche di contagio uomo-animale e aiutare, in questo modo, l'intera popolazione mondiale. 



Invece, no. Niente da fare. Excalibur (questo il nome del povero malcapitato quattrozampe) è stato "sacrificato per precauzione", come recita il titolo di uno dei tanti quotidiani che ai termini giusti, invece, preferiscono le edulcorazioni. Quindi mi incazzo. Oh, eccome. Voglio dire, che razza di ragionamento è? Con questa logica allora ammazziamo anche tutte le cinquanta e passa persone sotto controllo per rischio di contagio. É precauzione, no? Nemmeno loro si sa se abbiano il virus o abbiano contagiato altri. Anche loro sono esseri vivi. 

Vi giuro che mi capita spesso, ultimamente, di mettermi nei panni di quel povero Cristo. Il marito dell'infermiera, dico. Tua moglie è in condizioni gravi. In quarantena. Tu sei sotto osservazione a tua volta, con il rischio altissimo di aver contratto lo stesso virus. Mentre sei lì, già terrorizzato di tuo, vieni a sapere che un malato di Ebola negli States è appena deceduto. E, in mezzo a tutto questo, vanno a casa tua nonostante tu gli abbia negato il consenso, e ti ammazzano il cane. Io odio, davvero odio essere così empatica. Perché riesco ad entrare nella situazione, riesco quasi a credere di viverla. E mi viene da piangere tutto il dolore che nemmeno ho. 

Un ragazzo spagnolo che conosco, l'altro giorno, ha condiviso sui social una frase di Ghandi. Dice: "la civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali". E di fronte a questo genere di cose vedo la Spagna come qualcuno che ami alla follia, che amerai sempre nonostante i suoi difetti, ma che - accidenti- ogni tanto sa spezzarti il cuore. 

Per chi si fosse perso le premesse, l'articolo di Total Free Magazine a cui faccio riferimento è qui





sabato 4 ottobre 2014

Ridiamoci sú: il bagaglio a mano sui voli low cost

Chiunque gironzoli per gli aeroporti con una certa frequenza proverà un forte senso di deja vú a leggere il  fumetto che ZeroCalcare ha dedicato ad uno dei Grandi Mali che affliggono la società contemporanea: l'imbarco del bagaglio a mano sui voli low cost. Ergo, siccomeche sono piegata in due dal ridere, ve ne ripropongo qualche stralcio (la versione integrale la trovate a questo link). Che c'é? Ogni tanto posso anche esimermi dal faticare, no? 





Come dicevo, potete continuare a  ridere qui (specifico che ZeroCalcare non mi ha offerto denaro in cambio della promozione. Peró potrebbe, eh.)



giovedì 2 ottobre 2014

Gli stand spagnoli alle fiere gastronomiche.

Sono un'insopportabile integralista della precisione, lo so. Il pressapochismo da stereotipi, però, proprio non lo riesco a digerire. Insomma, fanno questa fiera fantastica, a cadenza annuale. Si chiama Gusti Di Frontiera, ed è una delle poche circostanze in cui la ridente cittadina di Gorizia riesce a guadagnare ai miei occhi una certa dose di appeal. Come avrete intuito dal nome, si tratta di un appuntamento eno-gastronomico che inonda le vie di folklore, cultura e (soprattutto) sapori provenienti da ogni angolo del globo. Bello. Curato. Affollato. Multietnico. Ad ogni edizione mi lascia addosso alto tasso glicemico e tronfio senso di entusiasmo. Se non fosse per lo stand spagnolo. 



Cioè, parliamone. Appendi in giro file di fiori rossi e gialli. Fai i menú con la paella e le patatas bravas. Servi sangría. Tappezzi il gazebo con un una sfilza di bandiere da far commuovere il più patriota tra gli iberici. Dico io: perché devi rovinare tutto? Perché?! Ché ci passo davanti, e rimbomba a manetta Lamento Boliviano dei Toke D'Keda. Lamento Boliviano, capite? BO-LI- VIA- NO. É il titolo del brano. Lo ripetono nel ritornello. Io capisco che tu non sappia il castigliano, visto che l'organizzazione del chiosco é a dichiarata cura di un'associazione locale; però - che diavolo! - un minimo di dubbio non ti viene? Che poi loro non son manco boliviani, ma é un altro discorso. E poi via, con la salsa e il merengue. A tema quanto potrebbe esserlo il sirtaki in uno stand norvegese. Sigh. 

Salsa y merengue. Scusate. 


Mi rendo conto che il vostro compito sia, principalmente, quello di riflettere l' immagine stereotipata ed approssimativa che l'italiano medio ha del Paese delle Corride. É triste eppure é, in fondo, la declinazione di una sorta di marketing. Ci sta. Ma allora mettete Bailando di Enrique Iglesias, piuttosto. Piazzate le Las ketchup. Loco Loco Loco di Miguel Angel Muñoz. Ripescate i Gipsy King, fate man bassa nel repertorio di Jarabe de Palo: robe conosciute, strasentite, in parte anche piuttosto trash, ma se non altro spagnole. Per Dio! Se vi piace la onda latina, avete sempre anche gli Efecto Pasillo o il buon vecchio Bisbal. Le opzioni ci sono, basta cercarle un attimino di più. 

Che poi ci ritorno, a quello stand, qualche ora dopo. Ai cd hanno sostituito l'intrattenimento dal vivo. Consiste in un tizio col cappellino del Tío Pepe e una chitarra, intento ad intonare brani tipo "la bamba" (salvatemi!) intervallandoli con "ole!" piazzati a caso e "sangría, paella, comunidad valenciana, toros". Detto così. Tutto di fila. Mentre due tizie con la minigonna si dimenano sul tavolo muovendo le mani in un vaghissiiiiissimo stile flamenco. E poi volete che non mi incazzi. 

Ragazzi, una volta per tutte: il flamenco NON É quello che si vede nel Ciclone di Pieraccioni, ok? Non si balla scalzi. Non si balla con le gonne corte. Non si balla sui tavoli. É UN'ALTRA ROBA. Punto. Fatevene una ragione. Anzi, sapete che c'é? Mi eleggo a paladina della giustizia filo-ispanica e realizzo un JPEG con i quattro concetti chiave che ogni italiano dovrebbe ficcarsi in testa. Ché così non si può mica. Sú.