giovedì 1 gennaio 2015

30 canzoni per 30 anni: la playlist della vita (parte II)

Vi racconto la seconda parte della playlist schifosamente auto-celebrativa che ho assemblato con non pochi sforzi per festeggiare i miei trent'anni. La prima parte la trovate qui. 


Se dovessi riassumere i miei anni parmigiani con una sola canzone, sarebbe Certe Notti di Ligabue. Non é per questione di banale vicinanza geografica, quanto per l'insolita frequenza di ascolti casuali nella città emiliana, per le sere in Pilotta in compagnia di una chitarra, per la nebbia e i locali a cui dai del tu; e perché da Mario, qualche volta, ci vedevamo anche noi. Solo che era un compagno di corso e non un bar. 


Il mio Erasmus a Málaga, come ogni esperienza multiforme, ha una colonna sonora a parte. Ci vorrebbero almeno tre cd, per renderle giustizia. Per ovvie ragioni, qui ho dovuto limitarmi a rappresentarla con i tre brani più significativi. "Un Violinista en Tu Tejado", in questo ruolo, è senza dubbio il numero uno. Lo lego ai primi tempi. Quelli dell'arrivo, della ricerca di una casa, del cartello con sù scritto "Mundo Nuevo". L'associo al negozio di un elettricista in Calle de la Victoria, dove mi ero recata con Daniela per farci adattare artigianalmente (e a basso prezzo) le spine dei computer alle prese locali. "Ma c'è sempre questa canzone, ovunque!", mi disse mentre aspettavamo in una fila scomposta dietro ad un logorroico anziano andaluso. "Se non altro è bella, dai". 


Il secondo trimestre, subito dopo Natale, fu un po' come una nuova era. Nuovi coinquilini, nuove compagnie, nuovi locali da frequentare. Avevo iniziato a legare con Grace, che ancora oggi considero come una delle mie più care amiche. Grazie a lei, avevo iniziato uno stage alla pagina internazionale del giornale universitario Aula Magna. Il brano di Fito, ai tempi, si sentiva ovunque. Io avevo preso l'abitudine di appostarmi con il mio bloc notes fuori dalle aule dove impartivano corsi di lingua agli stranieri, per poterli intervistare. Conobbi un sacco di persone bizzarre, in questo modo. Così come, grazie al passa parola e agli amici-di-amici, visitai un sacco di case iper-affollate di gente che non avrei mai più rivisto. Erano facce su facce. Nomi su nomi, spesso difficili da ricordare. Era una vita che iniziava a somigliare spaventosamente al set de "L'appartamento spagnolo". Mi piaceva. Ed ogni volta che tornavo a casa, con le mie risposte annotate in una pessima grafia, pensavo sorridendo a quanto mi si addicesse un verso. Mi sembrava racchiudere in sè la ragione stessa per cui chiunque avrebbe dovuto richiedere la borsa di studio e partire. Diceva: "Si es por el colegio nunca aprendo a coger el cielo con las manos, a reir y a llorar lo que te canto, a coser mi alma rota" e soprattutto "a perder el miedo a quedar como un idiota" (Se fosse stato per la scuola non avrei mai imparato ad afferrare il cielo con le mani, a ridere e piangere quello che ti canto, a cucire la mia anima rotta, a perdere la paura di fare la figura dell'idiota). 


Retta finale. Ultimi tre mesi, prime cene di "despedida", sofferenza già prevista degli addii. In uno degli ultimissimi pacchi che mi spedirono i miei dall'Italia c'era anche HellDorado dei Negrita, che presi l'abitudine di ascoltare la Domenica pomeriggio mentre facevo le pulizie di casa. Ricordo che Grace disse che le ricordavano Bunbury, somiglianza che personalmente non ho mai riscontrato. Comunque sia, su quel disco c'era Notte Mediterranea. Me ne ero già innamorata nel corso di uno sfortunato concerto degli aretini a Trieste in occasione della Barcolana, ma adesso...caspita, adesso, all'improvviso, il testo parlava di me. Di me e delle trasmissioni radiofoniche col gruppo multietnico dell'università. Di me e delle tante fiestas. Di me, degli occhi che brillano di felicità in una foto e dei fuochi di San Juan sulla spiaggia della Malagueta. Flamenco, Salsa, Rumba e coppe di vino, ritmo fandango fino al mattino. 

20. El Canto del Loco- Ekix 

Complice un volo a quattro euro, avevo deciso di chiudere il mio Erasmus in grande stile: due giorni di turismo solitario a Granada, con 42 gradi all'ombra, e poi via, verso Roses. Lì, in quel paesino pittoresco della costa catalana, El Canto del Loco avrebbero fatto tappa con il tour che avrebbe segnato l'addio della band. Che sarebbe stato il Concerto della Vita l'avevo capito subito. Le circostanze, la location, l'insonnia che mi spinse ad accodarmi ai sacchi a pelo già disposti davanti all'ingresso dalla notte prima. Fu la prima volta che guadagnai la prima fila. Dani non ci mise molto ad associare volto e bandiera ai messaggi a cui in più di un'occasione aveva risposto sul forum. Per tutto il concerto mi rivolse gesti e ringraziamenti. Ma, soprattutto, mi dedicò Ekix: un gioiello che in pochi conoscono e che divenne, da allora, uno dei miei brani chiave. Anni dopo la richiesi al concerto privato in studio di registrazione che lui, già solista, aveva organizzato per altre 11 persone oltre a me. Non ricordava il testo, dovette cercarlo sul Mac. Io dissi che se c'erano problemi poteva anche cambiare. Insistette. Alla fine la eseguirono soltanto piano e voce, lui e Iñaki García. Dani spense le luci per creare atmosfera, ed io ricordo quel momento come uno dei piú intensi e meravigliosi di tutta la mia vita da fan. 







La prima a dirmelo fu Marianna, una delle lettrici storiche di questo blog: anche il ritorno dall'Erasmus ha una sua canzone. Ce l'ha perché é una sensazione impossibile da spiegare. Uno stato di totale disadattamento che ti fa parlare in lingue miste, dire "piso" invece di "appartamento", salutare con "buenos días" quando entri nei negozi, vestire con gonne lunghe variopinte e top a pancia scoperta per andare all'ufficio orientamento dell'università. Gli amici, quelli rimasti a casa, ti chiedono di raccontare. E tu non sai cosa rispondere, da dove cominciare. "Ma come, in 10 mesi non é successo niente?". Non hai la benché minima idea dei programmi televisivi di cui parlano, non sei aggiornata sugli ultimi gossip, ti senti fuori luogo sempre e comunque, anche con le persone che conosci da un bel po'. É strano. Poi passa, ma intanto quella sensazione cerchi di spiegarla con le parole degli altri. Nel mio caso quelle di Tiziano Ferro in Scivoli di Nuovo.


La mia laurea, nel 2010, coincise con l'uscita del primo disco solista di Dani Martín. Decisi di sfruttare il denaro che mi arrivó in regalo per prendermi una specie di anno sabbatico e seguire il tour.  Andai ad una cosa come 15 date o piú in un solo anno. Facevo su e giù dalla Penisola iberica ad intervalli di tre mesi o meno. Fu bellissimo. Pazzesco e bellissimo. Soprattutto perché sapevo che una cosa cosí non avrei potuto ripeterla mai piú. A ricordarmi quel periodo ci sono due brani. Il primo, contenuto nella tracklist di Pequeño, é stato per molto tempo la mia suoneria del cellulare. 


...Il secondo, una vecchia hit de El Canto che Dani non ha praticamente mai tolto dalle scalette dei live. Di dediche e gesti ce ne furono tanti, da parte sua, sia nel 2010 che negli anni a venire. Eppure, chissà, perché, La Suerte de Mi Vida finiva sempre per raccoglierle tutte. Quella canzone divenne la costante. Il sorriso sulle prime note. La strizzata d'occhio. Il mio nome pronunciato al microfono. Fu cosí che intitolai l'album fotografico che realizzai con le migliori foto di quegli anni da concertista: "La suerte de mi vida". Perché, dal palco, nei raduni tra fan italiani o al centro delle hall di qualche hotel, quel tizio dagli occhi azzurri  fortunata riusciva a farmici sentire davvero. 





Doveva esserci almeno una canzone incaricata di rappresentare il flamenco, nella playlist dei miei trent'anni. Avrei potuto scegliere il brano del primo saggio. Mediterraneo di Serrat, che ha accompagnato gli inchini a uno spettacolo, magari. Invece ho optato per Niña Pastori, perché questa canzone mi ricorda la mia prima maestra, diventata poi una grandissima amica. E con lei il viaggio in Croazia, il pic nic del Primo Maggio, Jerez, la trasferta a Bologna per vedere Eva la Yerbabuena, le prove del vestito della Laurea in un camerino di Zara. Mi ricorda una lezione extra scroccata a Milano un giorno che ero ospite a casa sua. Aveva usato "De Boca en Boca" per gli esercizi di riscaldamento, ed io ne ero stata rapita sin dal primo verso. Eres como el flamenco, que enamora. 


Questa cosa non l'avevo ancora mai detta, pubblicamente, forse per paura di sembrare un po' scema o forse per non contaminarla con le mie personali distorsioni. Il fatto é che, nei ringraziamenti del mio primo libro #Odissea, faccio riferimento ad una canzone che ascoltavo sempre mentre scrivevo il capitolo sulla "Trinachía". Ebbene, quella canzone era Il Sole. Un brano che parla di barche, di mare, di "capitano, dici che la rivedrò?". Probabilmente si riferisce a tutt'altro, ma in quel frangente a me, il testo, sembrava starci da Dio. 

26. Il Cile - Siamo Morti a Vent'anni 

Mi dispiace aver dovuto limitare la presenza de Il Cile ad una sola canzone. É pur vero che l'ho scoperto in tempi relativamente recenti, ma lo é altrettanto che le cose evolvono in fretta; che grazie a lui ho conosciuto persone meravigliose, macinato chilometri, costruito amicizie solide, sorriso un bel po'. A volte penso ai tempi in cui seguivo la pagina di Lorenzo Cilembrini su Facebook senza intervenire, per paura di finire invischiata nell'ennesima passione musicale che mi avrebbe succhiato via denaro, tempo ed energie. Poi penso a quello che mi sarei persa, se fossi riuscita a persistere nel mio proposito. E, con un biglietto per Bruxelles in mano, ringrazio la mia buona stella che non sia stato cosí. 
A differenza di Cremonini e Dani Martín, Il Cile non mi é mai sembrato antipatico o idiota. Cemento Armato, peró, non era riuscita a convincermi del tutto. Cosí, anche in questo caso, tutto é partito un po' piú tardi, sulle prime note di un disco comprato per insistenza di mia madre. "Siamo Morti a Vent'anni" é la ragione di quelle amicizie, di quei chilometri, e persino di quel volo per Bruxelles. Non capita spesso che una canzone riesca a raccontare con tanta millimetrica precisione le tue sensazioni. Non mentre sei in auto verso Gorizia, immersa nei pensieri nostalgicamente sconnessi che hai quando hai terminato gli studi, cerchi un lavoro, l'indipendenza, il posto nel mondo, e ti accorgi che tutto quello che hai lasciato a Parma (e prima ancora a Málaga e a Trieste) l'hai lasciato per sempre. Compresa te stessa. Compresi i tuoi vent'anni e i progetti di vita alternativa raccontati al solito bar davanti al caffè al gin seng che ormai non ordini piú. "Questo mi conosce", fu la prima cosa che pensai. "Mi capisce". Da lí in poi, é stata tutta discesa. 






Mi intrippai con i Fun grazie alla hit "We are young", che si collocó in breve tempo sulla stessa linea di gasamento incontrollato di cui tempo prima erano stati responsabili gli Alcazar, la Camisa Negra  di Juanes e la qui non citata Grace Kelly di Mika. Prima che me lo comprassi, il loro disco divenne una presenza fissa dei miei ascolti quotidiani su Spotify e questa canzone, in particolare, fu quella che più di tutte mi colpì. L'associo ad uno dei miei tanti ritorni a Málaga, ai primi tempi in cui la passione per Dani Martín iniziava a vacillare un po'. Dopo tanti sforzi avevo riconquistato il senso di appartenenza alla mia terra, o quanto meno trovavo una benché minima ragione al mio vivere in Italia. Eppure eccomi lí, a fare ancora la valigia col biglietto di un concerto in mano, diretta a una cittá dell'ovest che mi avrebbe lasciato (come sempre) dubbi, sconforto e voglia di non lasciarla mai piú. Perché lo stavo facendo? Non era masochismo, forse? E sembrava che i miei dubbi li avessero anche i Fun. 





Considero Night Visions degli Imagine Dragons uno dei dischi piú belli degli ultimi anni. Non solo, ma é anche diventata la colonna sonora dei tempi in cui ancora lavoravo da casa, nel momento in cui mi sono resa conto che é quella che piú di tutte riesce a rendermi misteriosamente produttiva. Per rappresentarla ho scelto Demons, perché é una di quelle che piú mi diverto ad interpretare in playback tra facce buffe (lo so, ho dei problemi). 





Quando El Canto del Loco si separarono come band, il progetto solista di David Otero (in arte El Pescao) fu cronologicamente il primo ad uscire. Mi piacque, ma come tutte le vecchie fan del gruppo avevo ormai inequivocabilmente scelto la mia strada. Le cose cambiano, peró. Cosí, nel momento in cui pubblico troppo giovane ed eccessi di marketing sollevavano in me piú di un dubbio e di una critica nei confronti del cugino Martín, David annunció di aver lasciato la Sony. Il nuovo progetto indipendente lo portó a sviluppare una serie di iniziative innovative sui social che non sarebbero state concepibili nella cornice di una major e che finirono con lo strapparmi una serie pressoché interminabile di wow. A legarmi ulteriormente al progetto ci fu poi la vittoria di un concorso che mi portó ad ascoltare il disco con diversi mesi d'anticipo, sondando una volta in piú la qualità umana non solo dell'artista ma di tutti quelli che lo circondavano. A rappresentarlo ho scelto Azul Y Blanco, il primo singolo che ha segnato i momenti buoni di quest'ultima estate. 





Vero e proprio tormentone estivo in Spagna, per me Bailando di Enrique Iglesias é semplicemente il senso del 2014. Non soltanto perché é stata la colonna sonora della Feria de Málaga e di un viaggio con mia madre, o perché l'ho sentita con una frequenza preoccupante, ma anche perché il ballo é stato per me quest'anno piú importante che mai. Ho partecipato a piú spettacoli che in qualsiasi altra estate, ne ho fatto il perno di un evento da me orgogliosamente organizzato, e mi ha aiutata - anche solo parlandone - a scaricare la tensione in un periodo non propriamente felice. Che nel videoclip della canzone sia rappresentata una forma stereotipata di flamenco, beh, non fa che sottolineare il concetto ancor di piú. Bailando, amor, es que se me va el dolor. 





Nessun commento:

Posta un commento