mercoledì 11 febbraio 2015

Sanremo 2015: dai tori ai dragoni.

Rocío Muñoz Morales ha il volto allungato e un po' almodovariano in cui ci siamo abituati a riconoscere la Spagna. Scende dalla scalinata vestita di rosso, sulle note di Bailando. E a me giá prende male. Non è un nome difficile da pronunciare, il suo. Rocío. Basta incastrare la lingua tra i denti. Se ti accontenti di essere approssimativo, anche semplicemente fingere che si scriva Rosío. Ditelo, a Conti. Ditegli che piú difficile é tollerarne l'ascolto mentre parla di tori, alimentando la Sagra dello Stereotipo che, ad ogni valletta straniera, finisce col conquistare Sanremo. Mi perdi punti, Raul Bova. Ma mica pochi. Ché il grado di utilitá della tua ragazza, su quel palco, é parificabile a quello di un mazzo di fiori. Anzi, inferiore. Ché almeno i fiori, della cittá, sono il simbolo. Lei, invece, che mai dovrebbe rappresentare? Cosa, se non il fastidio che provo nel tratteggiare un Paese per immagini sommarie e ritrite, senza conferirgli un minimo di profonditá, di dignitá, e quindi di rispetto culturale? Non fateli, gli italo-spagnolismi, se devono ridursi a questo. Ai gamberetti che dormono. Ai gatti nel sacco. Sono pronta a scommettere che, prima della fine della kermesse, le discese pericolanti di Rocío si accompagneranno alle note dei Gipsy King, alla colonna sonora del Ciclone, alle Las Ketchup. Magari anche a Ricky Martin, toh. Che spagnolo non é, ma ci sta sempre bene. E a quel punto, ve lo giuro, io avró giá cambiato canale.



Nel caso non si fosse capito, la rappresentanza iberica é stata a mio avviso uno dei momenti più bassi della prima serata. La supera giusto giusto quella della famiglia più numerosa d'Italia, che non solo viene messa in mostra come un qualunque fenomeno da baraccone, ma si prodiga in una serie di sproloqui su Dio e la Provvidenza che in uno Stato suppostamente laico non sono in grado di sopportare. Perché il credo di chiunque va accettato e rispettato, ma ci sono circostanze in cui propagandarlo sembra solo fuori posto. E poi Siani, che fa ridere quanto un mal di denti prima di una degustazione di torte al cioccolato. Talmente scontato nelle battute che ne indovini il finale dopo due parole. La conferenza stampa dei Boiler, sempre identica a sé stessa più o meno dallo Zeling del 1702. O, ancora, il momento piú trash di tutti: la reunion di Albano e Romina, tarchiati come in un 16/9 reale, che si scambiano bacini e duetti di Felicitá. Cioé, Dios Mío. Ma Dios Mío davvero. Difficile concepire tanta noia tutta assieme. Tanta lentezza. Tante canzoni brutte, pure. Con Grignani che biascica qualcosa di non troppo comprensibile. Nesli che direttamente dimentica la voce a casa. I Dear Jack che occupano troppo tempo a pettinarsi il ciuffo per avere il tempo di studiare intonazione. E Kekko (con tre k) dei Modá che firma tre quarti dei brani in gara. Il che, in effetti, dovrebbe dirla lunga giá di per sé.




Insomma, non mi é piaciuto, l'esordio di questo Sanremo. Ma siccome sono una persona ottimista e positiva (lo dice un test che ho appena fatto su Facebook) alle critiche preferisco l'elenco dei momenti migliori. Ovvero:

L'inizio. So di andare controcorrente, ma ho trovato le interviste ai big piú interessanti di tanti altri inutili siparietti coreografici. Per un attimo, ho creduto che il protagonismo, questa volta, si desse finalmente alle canzoni. Povera illusa.

Il palco sbrilluccicante. Sembra una galassia. é belliiiiiisssiiiimo. 

Rocco Tanica. L'unico che mi abbia fatto ridere davvero. Fatelo condurre a lui, il festival, vi prego!



Nek. Il solofino ad ora, ad aver presentato un brano con un po' di ritmo. Manco a dirlo, é attualmente il mio preferito. 






L'abito di Grazia De Michele. Elegantissimo.




Cesare Cremonini. Sí, Cremonini. Ché mi é venuto un colpo, ad ascoltare il suo cognome tra quello degli autori di Lara Fabian. Oltretutto, chi cavolo é, questa qui? Da dove l'hanno tirata fuori? Secondo me quella al museo delle cere di Parigi é la Barbie, mica lei. Comunque: il punto é che non solo non ne sapevo niente, ma 'sto brano era pure una lagna megagalattica. Dovevate vedermi. Io che col tipico atteggiamento della fan cercavo di trovare disperatamente un appiglio per non precipitare nella delusione. E continuavo: “é che non riesco a seguire il testo, perché il modo in cui canta...non si capisce” “é che la melodia, in fondo, se gli togli un po' di strumenti, forse qualche passaggio...”. Ma intanto avevo il cuore spezzato e gli occhi pallati di chi non riesce a smettere di chiedersi “MAPPERCHÉÉÉÉÉÉÉE?!”. Lo shock, davvero. Lo shock piú assoluto. Poi, ringraziando il Cielo, Cesare si é affrettato a spiegare su Twitter che il Cremonini autore della Fabian é un certo Cristiano, mica lui. Dico solo che é stato il tweet piú retwittato della serata. Il massimo generatore di sospiri di sollievo. Vi giuro che sarei corsa a Bologna ad abbracciarlo in lacrime. 

Ma, soprattutto, come previsto, gli Imagine Dragons. Cioè, ragazzi, io ve lo dico: sono ormai a tutti gli effetti una fan. Insomma, non posso fare a meno di pensare a quella vignetta condivisa una volta anche dall'azienda per cui lavoro: c'era un interruttore che passava da “utterly obsessed” a “disinterested”. Ecco, il mio cervello funziona veramente cosí. E dal momento che ora é in modalitá “utterly obsessed” ho iniziato a seguire il fanclub italiano, ad ascoltare tutte le interviste, a mettere mi piace agli aggiornamenti dei membri della band sui social. Da lí, la mia esaltazione nel vederli all'Ariston. Nonchè la conseguente disperazione per il fatto che il 23 Novembre non sia giá domani.




Tra l'altro é davvero ben tenuta, la fanpage italiana su Facebook. La aggiornano. Pianificano regali. Creano album con i biglietti delle persone che andranno al concerto. Organizzano robe. La guardo e, come sempre, non posso fare a meno di farmi prendere dalla nostalgia. Nostalgia mista invidia, in realtà. Ché ne avrei avute anch'io, di idee, se solo Dani Martín fosse venuto in Italia. Iniziative covate e raffinate nel corso di mesi, anni, di speranze ipotetiche. E le attese in aeroporto. Le radio. Le tv. Guardo le foto condivise da queste misteriose tizie “in spedizione a Sanremo” e penso (di nuovo, dopo tanto) a quanto sarebbe stato bello poterle mettere in pratica.
Chissá, ora che tutto mi sembra perduto, magari potrei farci una professione. “Organizzatrice di iniziative per fanclub italiani di musicisti stranieri nel caso in cui questi ultimi vengano in Italia”. Un po' lunghetta, come qualifica, ma magari con un acronimo diventa piú appealing. Tipo OIFIMSNCQUVI, che ne so. Se non altro sarebbe piú facile spiegare ai miei nonni cosa faccio rispetto a cercare di descrivere le competenze della Social Media Manager.

Comunque. Questa fissa per gli Imagine Dragons, oltre a danneggiarmi ulteriormente le facoltá mentali, ha anche qualche lato positivo. Ad esempio: piú li ascolto parlare piú mi accorgo di capire quello che dicono. Il che è una vera e propria rivelazione. Insomma, come ho fatto a non pensarci prima! Non so se lo sappiate, ma uno dei miei tanti progetti mai portati a compimento era quello di riprendere lo studio dell'inglese. Al liceo lo parlavo molto bene, poi si é perso nel limbo della mancata pratica. Mi dispiaceva, ecco. Solo che ero, al solito, troppo pigra per andare a ritirarmi fuori i libri. Avrei dovuto capirlo, invece. Avrei dovuto conoscermi. Appassionarsi ad una band straniera é sempre stato per me l'unico e solo modo efficace di imparare una lingua come si deve. Quindi ben vengano gli Imagine Dragons. Ché stanotte ho fatto un sogno incasinatissimo in cui mischiavo italiano, inglese e spagnolo. Mi sono svegliata devastata. La faccia bianca come un lenzuolo e il parto del nuovo proverbio “Di notte Sanremo, di giorno sei scemo”. Peró forse vuol dire che, I mean, it's really working, guys!




Tornando all'Ariston, vorrei anche far presente che il cantante, Dan (visto? So anche come si chiama! Ve l'ho detto che é grave) dimostra una volta in piú l'efficacia della mia teoria sulle barbette di due giorni che migliorano chiunque. Voi che non mi credete mai. Ecco un'altra professione che potrei intraprendere: consulente di barbette. La gente si fa crescere la barba e io gli dico fino a quando va bene e quando no.


Ah, comunque so anche come si chiama il batterista: Daniel. E a questo punto la domanda appare lecita: MA LA VOLETE SMETTERE DI CHIAMARVI TUTTI DAN, DANI, DANIEL, DANIELE? MACCHÉÉÉÉ?!







Vabbè. Mi ricompongo.
Per le prossime serate, ripongo le mie speranze su Fragola (strawberry, perché so l'inglese) e sul tale Nigiotti o come si chiama nei giovani. Piú che altro perché mi rompe sempre le palle con le pubblicitá su spotify ("sciao, sono enrico nisgiotti, ascolta il mio nuovo album" - io gli rispondo sempre "ma anche no!"), sono curiosa di vedere che faccia ha.


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