sabato 28 novembre 2015

Cremonini + Imagine Dragons: di concerti epocali e felicità.

Accidenti, non ero mai stata così tanto tempo senza aggiornare il blog!
Vi chiedo scusa con un post in differita. Uno di quelli lunghi, a tratti deliranti e a tratti un po' troppo emotivi, che scrivo sui treni quando sono felice.

Buona lettura.  
24 Novembre 2015


Interno notte. Sguardo accidentale alle occhiaie riflesse nello specchio di un appartamento mansardato. Inquietanti. Almeno quanto il sogno che avrei fatto di lì a un po'. C'entravano la Barbie, un gioco di ruolo in una piazza di paese, un attore travestito da Cervantes a cui – non capíta - parlavo spagnolo. “Dovrò pur calarmi nella parte!”, gli dicevo. “Yo vivía en Andalucía”. Sul bollitore una tisana alla melissa. Magari è stata quella. Forse la giacca rosa di Cesare Cremonini. O il senso stupido di tradimento che avverto ogni volta che scrivo in inglese. Dio, non le ho mai avute, delle occhiaie così. 


Cesare Cremonini AKA Ken
Scale in discesa. Pigiama. Una vestaglia improvvisata. L'orologio, al polso, segna ormai quasi le due. “Come diavolo hai fatto a fare due concerti di fila?”. A saperlo, amica mia. A saperlo. In testa un campionario di pensieri. In ordine sparso: voglio rivederli. Devo rivederli. Se andassi ad Amsterdam? Ci saranno ancora biglietti? In Connecticut. Il mio compleanno in Connecticut. Non essere ridicola. Cazzo, la lotteria. DEVO VINCERE LA LOTTERIA. Io lo sapevo, maledetti. Maledetti tutti. Non posso permettermi di diventare fan dei gruppi internazionali. Comunque Daniel Platzman figo. Cioé, potrei farmi groupie di una cover band qualunque, di quelle che suonano gratis nei baretti di provincia. Sai il risparmio? Dan tagliati i capelli. Però Amsterdam non l'ho mai vista. Ci vive mia cugina. Potrei...BASTABASTABASTA. Se continuo così dopodomani mi imbuco assieme a loro sul volo per Las Vegas. Però grazie, Colombo, per aver scoperto l'America.

5 Febbraio 2015, ore 12.15. C'era scritto così, sulla ricevuta di pagamento. E' da quando ho comprato il biglietto che assimilo il concerto milanese degli Imagine Dragons al mio primo live de El Canto del Loco. Stessi tempi di attesa. Identico senso di evento epocale. Gli stessi incubi, persino. Come allora frequenti e taciuti, con l'aggravante adesso dell'età. Immagini oniriche di treni che non partono, di palchi che crollano, successione di tragedie varie ed eventuali. Nel quadro dell'attualità, quei sogni avevano il potere di aumentarmi notevolmente la sudorazione. Fa che non sia la nuova Cassandra, fa che sia solo l'ansia. L'entusiasmo. L'emozione. 

Pregavo. E, intanto, in virtù del paragone con quel live de El Canto del Loco, sapevo esattamente come sarebbe andata a finire. Sapevo che avrei avvertito un senso di innamoramento difficile da trascrivere a parole. Che le note di Radioactive avrebbero iniziato ad affondarmi in petto il senso di tristezza per l'imminente fine. Implacabili, le avrei viste trascinarmi verso la conclusione di qualcosa sognato da tanto e finito troppo presto, troppo in fretta per non avere voglia di volerlo re-iniziare. 

Pensieri sparsi: pubblico variegato. Generazioni miste. Ma allora ci vanno, ai concerti, i rappresentanti del genere maschile! 

C'è un tizio che festeggia il compleanno, là, in fondo al parterre. Da qui, dall'anello B, riesco a vederlo bene. In mano ha una torta al cioccolato con due candeline. Si accende già un po' lì, la prima scintilla di magia. Chè il forum d'Assago, sold out, intona all'unisono “tanti auguri a te”. Non lo conosce, quel ragazzo, ma è come se volesse rendergli il giorno un po' più speciale. E poi c'è quella che sviene durante la performance della band di spalla. Il parterre la circonda accendendo le luci dei cellulari per attirare l'attenzione. Il cantante dei Sunset Sons se ne accorge. Interrompe il concerto. Avvisa lo staff medico. Quattro o cinque ole – che poi, vabbè, anche basta- riempiono l'attesa prima che le luci si spengano di nuovo. Non vedo liti tra vicini di posto. Totale assenza di ragazzine isteriche. Di polemiche. Di lacrime insensate. Quelli che ascoltano gli Imagine Dragons sembrano sul serio brava gente. E questo clima, non si sa come, odora di gruppo e serenità.


Una foto pubblicata da Imagine Dragons (@imaginedragons) in data:



Certo, ho perso almeno dieci anni di vita, prima di arrivare qui. Il frecciabianca che accumula ritardo all'imbocco della stazione centrale. L'ingorgo abissale all'uscita dell'autostrada. Le lancette che girano. Il biglietto da ritirare. I parcheggi pieni. E l'insegna al neon del Mediolanum Forum che, beffarda, mi sorride a sinistra. Orizzonte irraggiungibile di una tangenziale a 4 corsie. Mi è venuto da piangere. Da urlare per la frustrazione. Poi stavo per fare la fila alla biglietteria della metro. "Leggo biglietteria, una vale l'altra, è come il richiamo della giungla". Ho fatto foto sfocate all'ingresso perchè mi tremavano le mani. Sono impallidita. Tra ritardi e contrattempi, mi sono aumentate le palpitazioni. “Fammi da badante” e “Ti prego, non sono in grado di capire dove andare”. 

Poi è successo. 

Ad un certo punto, con passo deciso, ho varcato la tenda pesante all'ingresso del mio settore. Davanti agli occhi mi si è spalancata la struttura del palco, più vicino di quanto mi sarei aspettata. Era ancora vuoto. La musica semi-indistinta delle classiche playlist pre-concerto riempiva l'ambiente mentre migliaia di teste, tutto attorno, si coloravano di luci ancora senza sfumature. Mi sono seduta, con la mia sottospecie di piadina ancora calda ben stretta nella mano. Ed è in quel momento, in quel preciso istante, che ho cominciato a respirare di felicità. 


Ci sono stati i Sunset Sons, che ho imparato a conoscere in questi mesi di assidua preparazione. Dopo di loro, un gruppo di tecnici vestiti di nero hanno abbassato il divisorio con il nome del gruppo. Ho visto le "colonne" conosciute mille volte nei video su youtube. Ho visto l'ormai celeberrimo Big Drum, il tamburo trasparente che contraddistingue il sound del gruppo. Li ho visti fissare le scalette sopra i microfoni, accordare gli strumenti, provare il suono camminando fino al limite della passerella, nel bel mezzo del parterre. Gesti rituali. Meccanici. Semplice e banale routine preparatoria che ormai conosco a menadito nella sua sequenza temporale. Eppure, questa volta, ci ho visto un surplus di solennità. 

C'è stato un boato, quando le luci si sono spente di nuovo. Dalla mia postazione fortunata – bella scelta, Ilaria, ottimo studio delle mappe, 10+ - i ragazzi della band si sono portati in fila verso il palco. Strano, vederli un attimo prima che entrassero in scena. In 3D. Dopo tutte quelle interviste. Dopo tutti quei filmati. Ripresa dagli schermi di migliaia di cellulari, la realtà ha incrociato un viaggio virtuale seguito sui social network per circa nove mesi. Sono qui. È il 23 Novembre. Siamo qui davvero. 


Una foto pubblicata da Imagine Dragons (@imaginedragons) in data:


Una foto pubblicata da Daniel Platzman (@danielplatzman) in data:


Lo show è come me l'aspetto. Meglio, anzi. La cover di Forever Young. Gli accenni ad Amsterdam, Tip Toe, Bleeding out, Warriors, persino la mia amata Second Chances. Potrei sbagliarmi, ma a quanto mi risulta non le fanno mica a tutti i live. Dire che questo è uno dei migliori, in effetti, potrebbe essere una frase fatta. Eppure, un po' stupidamente, riesce a farti sentire orgogliosa. “Don't leave Italy”, intima il frontman in versione campagna “Imagine Dragons per il sociale”. Avete il Paese più bello del mondo, con il cibo più bello del mondo, e le donne più belle del mondo. Ma a me, delle donne, mica importa. Forse in Spagna ci posso andare uguale. 

Ancora, Assago che crolla sull'attacco di Demons. L'auto-citazione del primo videoclip che, alternata ai motivi naturali, fa da sfondo a Roots. La spettacolare messa in scena di The Fall, con le foglie rosse che cadono dall'alto a incrementare l'illusione degli alberi autunnali proiettati sul palco. The WOW Effect. 



L'assolo di Platzman, ormai decretato all'unanimità (cioè, da me e Rebecca) mio uomo ideale in esclusiva virtù del fatto che posta foto di cibo sui social. E Dan Reynolds, con la sua nuova chioma leonina, che sventola il tricolore in I Bet My Life.


Foto: F.Marinacci (via "Imagine Dragons Italia- Official Facebook Page)

Sembra metterci una cura particolare, nel cercargli una giusta collocazione sul palco. The Big Drum. Non poteva essere che The Big Drum. É uno showman nato, Dan Reynolds. Ma soprattutto, é uno che sa trovare le parole giuste per toccarti l'anima. Il suo discorso relativo ai fatti di Parigi e alla ferma volontà di non cedere alla paura è stato forse il mio momento preferito di tutto lo show. Più di un applauso. Più di un pensiero condiviso. Piuttosto l'energia di una convinzione che ho visto spalmarsi sulla gente.  Quella gente che davvero sentiva, come lui, che essere lì ora contava di più.





Se n'è andata a metà concerto, la mia amica. Un problema. Un'urgenza. Io sono rimasta lì, accanto ad un posto vuoto, a regalare ai vicini la mia versione più indemoniata. Eppure, sola, non mi ci sono sentita nemmeno per un attimo. Mi accompagnava la musica. Mi accompagnava la gioia. Mi accompagnava un sorriso a trentadue denti, che poi è ciò che fa sì che ansia, attesa, disagi e soldi spesi valgano la pena. 


Esattamente come il giorno prima, al concerto di Cremonini. Che ha messo su uno spettacolo di luci e suoni degno di una star internazionale. Cremonini che si conferma la costante dei miei ultimi quindici anni di vita. E – strani giri del destino- mi ha riportata proprio lì: in quel PalaTrieste dove, il 4 Dicembre 2000, ho visto il mio primo concerto in assoluto. Suonavano i LunaPop. Ora che ci penso, un'altra tappa epocale. 



Io non lo so, come ho fatto a farmi due concerti di fila. So, però, che nel gelo di uno spiazzo asfaltato qualcuno ha detto una gran verità. 
“Siamo una famiglia: passano gli anni, ma poi ci ritroviamo davanti alle transenne ed è come se ci fossimo viste ieri”.  Come se niente fosse mai cambiato.

Quello che so è che, nonostante le occhiaie più nere del mondo, ora sono qui a cercare di tirare le fila di questo doblete sul treno di ritorno verso casa. E mi accorgo, di nuovo, che forse è tutto inutile. Basterebbe scattarmi una foto. Basterebbe guardarmi. Perchè a dire tutto, ancora una volta, è già il mio pressochè indelebile sorriso.

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