sabato 28 novembre 2015

Cremonini + Imagine Dragons: di concerti epocali e felicità.

Accidenti, non ero mai stata così tanto tempo senza aggiornare il blog!
Vi chiedo scusa con un post in differita. Uno di quelli lunghi, a tratti deliranti e a tratti un po' troppo emotivi, che scrivo sui treni quando sono felice.

Buona lettura.  
24 Novembre 2015


Interno notte. Sguardo accidentale alle occhiaie riflesse nello specchio di un appartamento mansardato. Inquietanti. Almeno quanto il sogno che avrei fatto di lì a un po'. C'entravano la Barbie, un gioco di ruolo in una piazza di paese, un attore travestito da Cervantes a cui – non capíta - parlavo spagnolo. “Dovrò pur calarmi nella parte!”, gli dicevo. “Yo vivía en Andalucía”. Sul bollitore una tisana alla melissa. Magari è stata quella. Forse la giacca rosa di Cesare Cremonini. O il senso stupido di tradimento che avverto ogni volta che scrivo in inglese. Dio, non le ho mai avute, delle occhiaie così. 


Cesare Cremonini AKA Ken
Scale in discesa. Pigiama. Una vestaglia improvvisata. L'orologio, al polso, segna ormai quasi le due. “Come diavolo hai fatto a fare due concerti di fila?”. A saperlo, amica mia. A saperlo. In testa un campionario di pensieri. In ordine sparso: voglio rivederli. Devo rivederli. Se andassi ad Amsterdam? Ci saranno ancora biglietti? In Connecticut. Il mio compleanno in Connecticut. Non essere ridicola. Cazzo, la lotteria. DEVO VINCERE LA LOTTERIA. Io lo sapevo, maledetti. Maledetti tutti. Non posso permettermi di diventare fan dei gruppi internazionali. Comunque Daniel Platzman figo. Cioé, potrei farmi groupie di una cover band qualunque, di quelle che suonano gratis nei baretti di provincia. Sai il risparmio? Dan tagliati i capelli. Però Amsterdam non l'ho mai vista. Ci vive mia cugina. Potrei...BASTABASTABASTA. Se continuo così dopodomani mi imbuco assieme a loro sul volo per Las Vegas. Però grazie, Colombo, per aver scoperto l'America.

5 Febbraio 2015, ore 12.15. C'era scritto così, sulla ricevuta di pagamento. E' da quando ho comprato il biglietto che assimilo il concerto milanese degli Imagine Dragons al mio primo live de El Canto del Loco. Stessi tempi di attesa. Identico senso di evento epocale. Gli stessi incubi, persino. Come allora frequenti e taciuti, con l'aggravante adesso dell'età. Immagini oniriche di treni che non partono, di palchi che crollano, successione di tragedie varie ed eventuali. Nel quadro dell'attualità, quei sogni avevano il potere di aumentarmi notevolmente la sudorazione. Fa che non sia la nuova Cassandra, fa che sia solo l'ansia. L'entusiasmo. L'emozione. 

Pregavo. E, intanto, in virtù del paragone con quel live de El Canto del Loco, sapevo esattamente come sarebbe andata a finire. Sapevo che avrei avvertito un senso di innamoramento difficile da trascrivere a parole. Che le note di Radioactive avrebbero iniziato ad affondarmi in petto il senso di tristezza per l'imminente fine. Implacabili, le avrei viste trascinarmi verso la conclusione di qualcosa sognato da tanto e finito troppo presto, troppo in fretta per non avere voglia di volerlo re-iniziare. 

Pensieri sparsi: pubblico variegato. Generazioni miste. Ma allora ci vanno, ai concerti, i rappresentanti del genere maschile! 

C'è un tizio che festeggia il compleanno, là, in fondo al parterre. Da qui, dall'anello B, riesco a vederlo bene. In mano ha una torta al cioccolato con due candeline. Si accende già un po' lì, la prima scintilla di magia. Chè il forum d'Assago, sold out, intona all'unisono “tanti auguri a te”. Non lo conosce, quel ragazzo, ma è come se volesse rendergli il giorno un po' più speciale. E poi c'è quella che sviene durante la performance della band di spalla. Il parterre la circonda accendendo le luci dei cellulari per attirare l'attenzione. Il cantante dei Sunset Sons se ne accorge. Interrompe il concerto. Avvisa lo staff medico. Quattro o cinque ole – che poi, vabbè, anche basta- riempiono l'attesa prima che le luci si spengano di nuovo. Non vedo liti tra vicini di posto. Totale assenza di ragazzine isteriche. Di polemiche. Di lacrime insensate. Quelli che ascoltano gli Imagine Dragons sembrano sul serio brava gente. E questo clima, non si sa come, odora di gruppo e serenità.


Una foto pubblicata da Imagine Dragons (@imaginedragons) in data:



Certo, ho perso almeno dieci anni di vita, prima di arrivare qui. Il frecciabianca che accumula ritardo all'imbocco della stazione centrale. L'ingorgo abissale all'uscita dell'autostrada. Le lancette che girano. Il biglietto da ritirare. I parcheggi pieni. E l'insegna al neon del Mediolanum Forum che, beffarda, mi sorride a sinistra. Orizzonte irraggiungibile di una tangenziale a 4 corsie. Mi è venuto da piangere. Da urlare per la frustrazione. Poi stavo per fare la fila alla biglietteria della metro. "Leggo biglietteria, una vale l'altra, è come il richiamo della giungla". Ho fatto foto sfocate all'ingresso perchè mi tremavano le mani. Sono impallidita. Tra ritardi e contrattempi, mi sono aumentate le palpitazioni. “Fammi da badante” e “Ti prego, non sono in grado di capire dove andare”. 

Poi è successo. 

Ad un certo punto, con passo deciso, ho varcato la tenda pesante all'ingresso del mio settore. Davanti agli occhi mi si è spalancata la struttura del palco, più vicino di quanto mi sarei aspettata. Era ancora vuoto. La musica semi-indistinta delle classiche playlist pre-concerto riempiva l'ambiente mentre migliaia di teste, tutto attorno, si coloravano di luci ancora senza sfumature. Mi sono seduta, con la mia sottospecie di piadina ancora calda ben stretta nella mano. Ed è in quel momento, in quel preciso istante, che ho cominciato a respirare di felicità. 


Ci sono stati i Sunset Sons, che ho imparato a conoscere in questi mesi di assidua preparazione. Dopo di loro, un gruppo di tecnici vestiti di nero hanno abbassato il divisorio con il nome del gruppo. Ho visto le "colonne" conosciute mille volte nei video su youtube. Ho visto l'ormai celeberrimo Big Drum, il tamburo trasparente che contraddistingue il sound del gruppo. Li ho visti fissare le scalette sopra i microfoni, accordare gli strumenti, provare il suono camminando fino al limite della passerella, nel bel mezzo del parterre. Gesti rituali. Meccanici. Semplice e banale routine preparatoria che ormai conosco a menadito nella sua sequenza temporale. Eppure, questa volta, ci ho visto un surplus di solennità. 

C'è stato un boato, quando le luci si sono spente di nuovo. Dalla mia postazione fortunata – bella scelta, Ilaria, ottimo studio delle mappe, 10+ - i ragazzi della band si sono portati in fila verso il palco. Strano, vederli un attimo prima che entrassero in scena. In 3D. Dopo tutte quelle interviste. Dopo tutti quei filmati. Ripresa dagli schermi di migliaia di cellulari, la realtà ha incrociato un viaggio virtuale seguito sui social network per circa nove mesi. Sono qui. È il 23 Novembre. Siamo qui davvero. 


Una foto pubblicata da Imagine Dragons (@imaginedragons) in data:


Una foto pubblicata da Daniel Platzman (@danielplatzman) in data:


Lo show è come me l'aspetto. Meglio, anzi. La cover di Forever Young. Gli accenni ad Amsterdam, Tip Toe, Bleeding out, Warriors, persino la mia amata Second Chances. Potrei sbagliarmi, ma a quanto mi risulta non le fanno mica a tutti i live. Dire che questo è uno dei migliori, in effetti, potrebbe essere una frase fatta. Eppure, un po' stupidamente, riesce a farti sentire orgogliosa. “Don't leave Italy”, intima il frontman in versione campagna “Imagine Dragons per il sociale”. Avete il Paese più bello del mondo, con il cibo più bello del mondo, e le donne più belle del mondo. Ma a me, delle donne, mica importa. Forse in Spagna ci posso andare uguale. 

Ancora, Assago che crolla sull'attacco di Demons. L'auto-citazione del primo videoclip che, alternata ai motivi naturali, fa da sfondo a Roots. La spettacolare messa in scena di The Fall, con le foglie rosse che cadono dall'alto a incrementare l'illusione degli alberi autunnali proiettati sul palco. The WOW Effect. 



L'assolo di Platzman, ormai decretato all'unanimità (cioè, da me e Rebecca) mio uomo ideale in esclusiva virtù del fatto che posta foto di cibo sui social. E Dan Reynolds, con la sua nuova chioma leonina, che sventola il tricolore in I Bet My Life.


Foto: F.Marinacci (via "Imagine Dragons Italia- Official Facebook Page)

Sembra metterci una cura particolare, nel cercargli una giusta collocazione sul palco. The Big Drum. Non poteva essere che The Big Drum. É uno showman nato, Dan Reynolds. Ma soprattutto, é uno che sa trovare le parole giuste per toccarti l'anima. Il suo discorso relativo ai fatti di Parigi e alla ferma volontà di non cedere alla paura è stato forse il mio momento preferito di tutto lo show. Più di un applauso. Più di un pensiero condiviso. Piuttosto l'energia di una convinzione che ho visto spalmarsi sulla gente.  Quella gente che davvero sentiva, come lui, che essere lì ora contava di più.





Se n'è andata a metà concerto, la mia amica. Un problema. Un'urgenza. Io sono rimasta lì, accanto ad un posto vuoto, a regalare ai vicini la mia versione più indemoniata. Eppure, sola, non mi ci sono sentita nemmeno per un attimo. Mi accompagnava la musica. Mi accompagnava la gioia. Mi accompagnava un sorriso a trentadue denti, che poi è ciò che fa sì che ansia, attesa, disagi e soldi spesi valgano la pena. 


Esattamente come il giorno prima, al concerto di Cremonini. Che ha messo su uno spettacolo di luci e suoni degno di una star internazionale. Cremonini che si conferma la costante dei miei ultimi quindici anni di vita. E – strani giri del destino- mi ha riportata proprio lì: in quel PalaTrieste dove, il 4 Dicembre 2000, ho visto il mio primo concerto in assoluto. Suonavano i LunaPop. Ora che ci penso, un'altra tappa epocale. 



Io non lo so, come ho fatto a farmi due concerti di fila. So, però, che nel gelo di uno spiazzo asfaltato qualcuno ha detto una gran verità. 
“Siamo una famiglia: passano gli anni, ma poi ci ritroviamo davanti alle transenne ed è come se ci fossimo viste ieri”.  Come se niente fosse mai cambiato.

Quello che so è che, nonostante le occhiaie più nere del mondo, ora sono qui a cercare di tirare le fila di questo doblete sul treno di ritorno verso casa. E mi accorgo, di nuovo, che forse è tutto inutile. Basterebbe scattarmi una foto. Basterebbe guardarmi. Perchè a dire tutto, ancora una volta, è già il mio pressochè indelebile sorriso.

domenica 15 novembre 2015

Non fermate la musica!

"È la libertà, solo la libertà. La sensazione di avere tra le mani tutto. Questo fa succedere quello che avete visto ieri e ieri l'altro e in tutti i concerti più belli della Vostra vita. È stata una conquista.

È adesso più che mai che va difesa.
Praticandola.

Andate con lo stesso sorriso di prima ai concerti, ascoltate la musica, riempite i teatri, i cinema, le biblioteche, le università, gli stadi, le piazze, i bar e le strade, le discoteche e i ristoranti e i negozi e i centri sociali e le spiagge e i prati e le montagne e le terrazze e salite sugli aerei, sulle navi e sui treni e sognate liberamente.

Tutto questo non è altro che libertà se messa al servizio del cuore.

C'è chi non può più farlo battere ora, e da qualche parte lassù lo vorrebbe ancora!"


Cesare Cremonini, 15 Novembre 2015. 






"Questi eravamo noi al Bataclan quando ci abbiamo suonato. Uno splendido teatro che per anni è stato una casa per l'arte, l'amore e la musica. Nessuno può portare tutto questo via da lì. E nessuno può portare via il cuore da Parigi"

Imagine Dragons, 14 Novembre 2015.





Gli articoli, in tutto il mondo, riferiscono di un mondo della musica in lutto. Parlano di concerti annullati. Riportano elenchi in ogni caso troppo lunghi di chi, di fronte agli attacchi di Parigi, ha preferito spegnere i riflettori. Io preferisco chi continua. Chi ha reagito suonando più forte. A difesa dell'arte. Della musica. Della vita.

Per questo è motivo di orgoglio constatare che almeno due dei nomi più ricorrenti sul mio iPod sembrano al momento condividere il mio pensiero. Entrambi, in angoli diversi dell'Europa, ieri hanno illuminato i rispettivi palchi di luci rosse, bianche e blu.

Ho cercato su Google. Avrei voluto trovarne altri. Avrei voluto unirli tutti in un solo video da postare su youtube. Un collage di show diversi che ne avrebbero formato uno unico, ideale. L'omaggio più grande a chi, quel 13 Novembre, ha perso la vita con la sola colpa di volerla celebrare.

Non ho avuto fortuna.

Ma se ne avete avuta voi; se sapete di qualcun altro che, in qualunque altra parte del Globo, ha suonato sotto le luci del tricolore francese, per favore, segnalatemelo.


Perchè io, il mio piccolo commento su Parigi, vorrei concluderlo così. 
Non, come avevo suggerito, con un vero resoconto delle reazioni del mondo della musica, ma con il campionario - pur non esaustivo- di chi non l'ha voluta fermare. 




Aggiornamento: tra gli omaggi sul palco alle vittime di Parigi, segnalo anche quelli di Madonna (in lacrime a Stoccolma prima di intonare Like a Prayer) e dei Coldplay, che hanno cantato Imagine a Los Angeles. 

sabato 14 novembre 2015

#SomosMálaga (e una premessa su Parigi)

Di fronte a tragedie come quella di Parigi, scrivere di qualsiasi altro argomento rischia di essere scambiato per indifferenza. Peggio: per mancata sensibilità. Lo so perchè sono la prima ad indignarmi, quando il racconto dell'attualità più stringente si mischia su Twitter alle frivolezze quotidiane. Commenti su vestiti, viaggi, fidanzati. Battute sceme che, in qualsiasi altra circostanza, mi avrebbero magari anche strappato un sorriso. "Ma non leggi?", mi chiedo ogni volta, "Ma come diavolo fai a far finta di niente?". Ed è un tono mentale stizzito che, nonostante tutto, non esterno mai. 

L'ho appresa da lì, la notizia. Come sempre, dal mio social network preferito. I primi a condividerla sono stati i media spagnoli. Prima di Sky 24 e delle agenzie nostrane. Prima dell'ondata di "heart breaking" nei commenti degli americani. Era stata una serata tranquilla, fino a quel momento. L'avevo trascorsa a casa, con le cuffie nelle orecchie, cullata dalla musica che amo. Su Twitter ci ero andata per questo. Per dire al mondo, in centoquaranta caratteri, quanto una manciata di canzoni riesca a farmi stare bene.

Poi ho letto di spari. Di uccisioni a sangue freddo in una sala da concerti.

Ed ho premuto stop su Spotify. 

Il sangue ha macchiato il luogo che per me, tra tutti, è il massimo rifugio. Il posto in cui fuggire in dimensioni lontane da ogni singolo problema della vita.
Ho parlato di "pesadilla", perciò. Ho twittato di "horror" e di "voglia di piangere". Ma la realtà è che nessuna parola al mondo riuscirà mai a descrivere la reale portata di quella ferita.
Forse scriverò un altro post, nei prossimi giorni. Magari proprio condividendo le reazioni del mondo della musica, chessò. Forse, invece, non farò proprio nulla.
Quel che è certo è che oggi scrivo di altro. E non lo faccio perchè di Parigi non mi importi o perchè non sia sensibile. Scrivo di altro per prendermi una pausa dall'angoscia. Per ricordarmi i lati belli della vita. Perchè, in un modo o nell'altro, bisogna pur andare avanti.

Altrimenti, ragazzi...
Altrimenti hanno già vinto loro.



Eccolo, allora, il mio lato bello. Chè ieri, con una tempistica sfortunata, Málaga ha presentato un nuovo video di promozione turistica. In esso, immagini inedite della città si uniscono ai volti dei malagueñi più illustri per gridare un solo motto: "Somos de Málaga, somos Málaga".  Ci sono proprio tutti: da Antonio Banderas a Pablo Alborán passando per Dani Rovira ed altri, numerosi, nomi che si sono distinti nei campi più disparati della cultura e dello sport.

Voi quanti ne riconoscete?



sabato 7 novembre 2015

Ritrovarsi.

Il mare era calmo. Il giorno di Sant Jordi, lo ricordo bene. 

Ho aspettato qualche istante prima di rispondere. Come se volessi lasciare che la domanda gettasse le radici in me. Poi, impercettibilmente, ho sorriso.


La felicità è un concetto mobile. Si nutre di aria e spostamenti. Vive nelle facce degli amici. Nelle consistenze degli abbracci. La felicità - per quanto suoni banale - ha il suono rotondo di risate e voci. Ed io, ultimamente, l'ho trovata solo quando ho spento il cellulare. 

Tipo il Mercoledì sera, a lezione di flamenco. Con il rumore sordo dei tacchi sul pavimento a demolirmi l'angoscia in quattro tempi. Quest'angoscia inspiegabile, fastidiosissima, che mi perseguita da un po'.

Chiamala inquietudine. Chiamala, non so, forse un po' voglia di cambiare vita. 


La mattina mi svegliava un senso di oppressione al petto. Giornate tutte uguali. Stessa stanza. Stesso computer. E mi tornava sempre in mente quel giorno, sulla spiaggia della Barceloneta. Il giorno di Sant Jordi, lo ricordo bene.


Non importa quale fosse la domanda. Ero nel bel mezzo del mio Erasmus. In visita ad amici al Nord con il pretesto di un concerto. 

"Ma in fondo, scusa, chi se ne frega?", avevo risposto. "É il passato. É tutt'un altra, lontanissima, vita". 


E non importa se poi, tornando, potesse ricadermi tutto addosso come macerie di una casa abbandonata. Rivolevo quella sensazione, punto e basta. Mi mancava la percezione netta di aver tracciato una linea di confine tra due mondi. L'espressione massima della libertà. 


Magari è solo troppo tempo che non viaggio più. 

In ogni caso, crescere è difficile. É difficile affrontare il confronto tra quella che sei diventata e quella che avresti voluto diventare. 


Ogni volta che me ne rendevo conto, inevitabilmente, i ricordi mi trascinavano indietro fino al primo giorno del primo anno di Università a Trieste. A quando camminavo sul marciapiedi diretta all'aula, ignara e curiosa di ciò che mi aspettava.

"Sei anche tu di Scienze della Comunicazione?", mi aveva chiesto una ragazza mora. Non l'ho più vista, credo si chiamasse Serena. Avevamo iniziato a chiacchierare. Ed io, nel frattempo, mi descrivevo la situazione nella testa, come se dovessi restituirla ai lettori di un immaginario libro. 


Lo facevo sempre. Non sapevo se fosse una maledizione o un dono, ma sapevo guardare gli episodi dall'esterno. Ero in grado di trovare storie anche nei dettagli più insignificanti della quotidianità. L'ennesima cosa che adesso mi mancava. 

Almeno fino a quando ho varcato quel ponte, Giovedì scorso, seduta al posto del passeggero in una macchina non mia. La nebbia si alzava dal basso regalando uno scenario spettrale. Di là, silenzio e buio. Campagna. Sembrava non esserci altro. Sembrava la scena di un film del terrore.

Ovviamente non è questo, il ponte. Però era suggestivo.


Invece, di altro, ce n'era moltissimo. Perchè mi aspettava, al di là di quel ponte, una serata di quelle da ricordare. Un compleanno. Una stanza addobbata. Un'amica che non rivedevo da troppi anni. Un insieme di persone con cui condivido quella passione del Mercoledì, e che è bello conoscere ogni giorno un po' di più. 

Quella sera, sulle note di un'inedita versione di "tanti auguri a te" suonata live, le mie due maestre di flamenco hanno ballato le sevillanas assieme. Per me è stato come se due mondi si fossero ricongiunti. Se il passato e il presente si fossero uniti a dare un filo conduttore alla mia storia. Quella che forse, senza accorgermene, stavo piano piano riprendendo a narrare. 

Ho dormito, poi. Ho dormito bene come non facevo da settimane. 

Poi ho vomitato questo post su un foglio di carta, come facevo ai tempi dell'università. Un post che chissenefrega se non parla strettamente di Spagna. Se è un po' sconnesso. Se non è magari del tutto comprensibile a molti. Un post che chissenefrega se non avrà visite o condivisioni sui social. Un post che parla di me. Soltanto questo. Della me che sto disperatamente cercando di recuperare. 

Forse non l'ho ancora del tutto capito, cosa voglio fare "da grande". 


So, però, che voglio essere quella ragazza che Giovedì scorso rideva ad una festa di compleanno al di là di un ponte nebbioso. Non quella che più di due settimane piange ogni giorno quando nessuno la vede. 


Ecco, volevo dirvi che forse l'ho ritrovata. Che forse sta tornando.
Volevo dirvi che la felicità è un concetto mobile, ed è anche l'unica cosa che sa rendermi produttiva.
Per favore, aiutatemi a non perderla più. 



martedì 3 novembre 2015

La Spagna vista dagli - sì, poi la smetto - Imagine Dragons



Sì, vabbè. Ripetitiva. L'avevamo già appurato.
Capitemi, però: l'unione di una band che ami con un Paese che adori non è una circostanza che si verifichi così di frequente da poter essere passata sotto silenzio. Soprattutto se hai già cominciato a rompere abbondantemente i maroni al prossimo con il countdown per l'Evento dell'anno. E, se ci hai dedicato un post quando mancavano due mesi, è ragionevolmente ovvio farlo ora che ne manca meno di uno. 

Quindi, fondamentalmente, avevo due alternative: retwittare in diretta tutto ciò che gli Imagine Dragons e il loro staff pubblicavano durante la loro permanenza in Spagna, o raccoglierlo a posteriori in un unico post sul blog. Diciamo che ho preferito limitare il più possibile le perdite di follower, ecco.

La band, per chi ancora non l'avesse capito, è stata da poco a Madrid e Bilbao per due tappe del tour europeo. É stato particolarmente interessante, per me, guardare la penisola iberica attraverso i loro occhi. Scoprire, orgogliosa come una strana specie di madre, cosa pensassero delle rockstar internazionali di luoghi a me piuttosto noti. Il lato più apprezzato - manco a dirlo - è stato il cibo, con il Jamón Iberico a farla da padrone nelle preferenze gastronomiche. Ma hanno avuto i loro attimi di gloria anche le notti infinite della capitale spagnola e l'estate inaspettata che sorpreso i Paesi Baschi a fine Ottobre. Ben, il bassista, si è rivelato essere in assoluto il più filo-ispanico del gruppo. Avevo già avuto modo di intuirlo grazie ad alcuni suoi tweet ed una vecchia intervista per Los 40 Principales, ma di certo ignoravo che proprio a Madrid avesse aperto anni fa il suo account Instagram, o che il caratteristico e riconoscibilissimo "sorriso da Spagna" non fosse una prerogativa solo mia.

A seguire, senza troppi altri commenti, la selezione di post presi da Instagram e Twitter con cui gli Imagine Dragons hanno raccontato a modo loro la Penisola Iberica. In attesa di continuare a rompervi i maroni quando finalmente arriveranno a Milano. Abbiate pazienza, prima o poi mi passerà.

- Daniel Platzman, batterista e #foodie dichiarato, alle prese con la dipendenza da Jamón Iberico.

- "Cibo a Madrid = Ben felice"
- Ritorno alle "origini": in questo stesso locale, in pieno centro a Madrid, il bassista degli Imagine Dragons aveva postato anni addietro il suo primissimo post su Instagram, che potete rivedere qui.



- La tour manager del gruppo, nel condividere una foto di Madrid con un commento sulla sua vita notturna e la sua adorabile "pazzia", apporta un tocco di italo-spagnolismo alla tappa spagnola del tour. Il menù della cena che dichiara di essersi goduta prevedeva infatti, oltre all'onnipresente jamón iberico e alle olive, dell'italianissima burrata.



- Non amare Madrid sembra davvero impossibile per chiunque. Tra l'altro, la frase "le parole non possono descrivere quanto mi sei mancata, Madrid", la conosco e la capisco molto, ma mooolto bene. 



Una foto pubblicata da Daniel Platzman (@danielplatzman) in data:

-  Ben, il dominio della lingua castigliana, e il caratteristico "sorriso da Spagna" di cui parlavo prima.


Una foto pubblicata da Ben McKee (@benamckee) in data:

- Daniel Platzman, le tapas, e gli splendidi panorami di Bakio nei Paesi Baschi.


Una foto pubblicata da Daniel Platzman (@danielplatzman) in data:
E, per concludere, l'icona di Bilbao per eccellenza: il mitico cane Puppy.
Dite la verità: hanno fatto venire nostalgia anche a voi?