venerdì 26 agosto 2016

C’era una volta Formentera. Poi, sono arrivati gli italiani


Ci tengo a riportare anche qui il pezzo che, pochi giorni fa, ho scritto per Total Free Magazine. Voleva essere il mero resoconto di un fatto di cronaca, ma ci sono notizie che ti scuotono più del dovuto. Archiviata un'obiettività impossibile, quella che ne è uscita è stata, alla fine, una riflessione amara e personalissima su come un certo tipo di turismo italiano abbia finito col trasformare Formentera. 
Mi piacerebbe davvero, se lo vorrete, leggere nei commenti anche la vostra opinione.

L'articolo originale lo trovate a questo link. 

































C’era una volta Formentera. Poi, sono arrivati gli italiani


Di Ilaria Dot


Potremmo definirla la fantomatica goccia che fa traboccare il vaso. O, più letteralmente, la fiammata che distrugge pazienza, convivenza e svariati ettari di Paradiso naturale. É una storia triste, quella che ha avuto luogo alla vigilia di Ferragosto sull’isola di Formentera. Parla di ricchezza, di arroganza; Punta l’accento su un turismo da rivista di gossip che negli anni ha finito col mutare nel profondo l’anima del luogo. 


I fatti sono ormai più o meno noti: Un italiano, a bordo di uno yacht, spara accidentalmente un razzo. La conseguenza si manifesta nell’arco di pochi minuti sotto forma di un incendio devastante nel suggestivo isolotto di Espalmador. Arrestato, il responsabile viene tenuto in custodia per poco più di un giorno per poi essere rilasciato su cauzione. Il suo avvocato accampa scuse che, secondo gli spagnoli, non reggono. Parla di un colpo partito inavvertitamente - giuriamo, non voleva - nel corso di un’esercitazione sulle misure di sicurezza a bordo. Perchè è risaputo, commenta sarcasticamente qualcuno, che le esercitazioni si fanno alle dieci di sera nel secondo giorno di navigazione. 



Foto: El País







Tant’è. L’incendio è stato spento. L’imbarcazione sequestrata. Tutto potrebbe essere archiviato come notizia riempi-pagina di un’estate qualsiasi, se non fosse che Formentera è Formentera. E dirlo significa, ahinoi, risvegliare nell’italiano medio tutto un immaginario di locali alla moda, vip mezzi nudi, veline, starlet e paparazzi. Tutti raccolti a svernare in quel piccolo lembo di terra che ora significa “guardatemi, fotografatemi, sono qualcuno anch’io”. 

L’abbiamo creata noi, questa distorsione. O, meglio, l’hanno creata le celebrities, con un tam tam di elogi che ha finito per tramutarsi in yacht extralusso e titoloni su Chi. Oggi gli italiani, sull’isola, rappresentano sia il 70% dei turisti che il 70% delle attività economiche presenti. Ovvero, essenzialmente, pizzerie, discoteche, bar all’ultimo grido, aperitivi ad elevato tasso alcolico e molto poco rispetto per la tradizione. Non c’è da stupirsi che i locali si ribellino. E anche se la notizia dell’insofferenza iberica è riportata molto più spesso sui media nostrani che sui loro (in Spagna si punta di più il dito sulla ricchezza, sull’inefficacia della giustizia e sulla bandiera slovena sventolata dall’imbarcazione) viene facile credere che un po’ di rabbia ci sia. Può essere più smorzata di quanto sostengono le testate italiane, ma quando si legge di persone arroganti, che girano ubriache in motorino e stanno tutto il tempo a urlare e cercare personaggi famosi beh… è impossibile non crederci. Non capire. Non vergognarsi, persino, della nazionalità riportata sul proprio passaporto. Io la ricordo, Formentera. Ci sono stata quando avevo sei o sette anni, in vacanza con i miei genitori. All’epoca era ancora solo una terra brulla, dalla vegetazione secca ed incolta, dove enormi distese di nulla rievocavano l’umanità nell’esclusiva forma dei muretti a secco malamente assemblati da qualcuno. Ricordo i mercatini degli hippie, con i grandi teli colorati in esposizione a basso costo. Le caprette. Le spiagge bianche e deserte di un silenzio quasi irreale. Quando ero tornata, innamorata di un’isola la cui forma indossavo nell’aspetto di un ciondolo appeso ad un bracciale, dicevo alle amichette delle elementari che ero stata a Formentera. Lo dicevo agli insegnanti, anche, come i miei genitori lo dicevano agli amici. La risposta era sempre una: “Form...doooove?”. In quella domanda, me ne accorgo ora, stava la sua salvezza. Il suo incanto. La pace immensa e paradisiaca che so di poter trovare adesso solo nei filmini in vhs dell’epoca. Un’epoca in cui, di fronte a Ibiza, non c’erano quasi hotel e tantomeno si parlava italiano. Quindi lo so, che vi sareste aspettati un articolo di cronaca. Che la soggettività non ha nulla a che fare (o almeno non dovrebbe) con una forma che si vorrebbe in qualche senso definire giornalistica. Solo che non ce la faccio, pensando alla mia infanzia, a non intristirmi di fronte a quello che Formentera è diventata. 

Ed è quasi un bene allora, se mi perdonate la provocazione, che quel mio connazionale l’abbia incendiata. Perchè almeno, adesso, sui giornali si parla del lato oscuro che quel turismo VIP e presunto tale ha portato con sè gettando un’ombra di colpa su noi tutti, nessuno escluso. Quando capisci il problema puoi provare a risolverlo: la mia speranza, oggi, è tutta qui.

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