domenica 28 febbraio 2016

I post che mi hanno fatta piangere nel Día de Andalucía.

Mi è capitato tre volte in meno di cinque mesi. Sogni così vividi da sembrare veri. Sogni capaci di scombussolarti dentro, fino a farti rivedere ogni priorità.

Un taxi in Irlanda. Un messaggio sul cellulare. Il tavolo di un bar. La domanda, sempre quella: "Ma perchè non lo fai?". La risposta, un silenzio glaciale.


Partivo, in quei sogni. Direzione Málaga.  E questa volta il viaggio era di sola andata. C'era il problema del trasloco. Della valigia. Della casa da cercare. C'erano la trafila dei documenti. Il NIE. La fila. Il wifi. Le tasse. Le bollette da pagare. C'era una paura forte, di quelle che ti stringono lo stomaco. E nonostante tutto ero immensamente felice.

Era questo a sconvolgermi, più delle immagini in sè. Le sensazioni. La certezza che stavo finalmente per dare una svolta alla mia vita. Ricordi il cartello con sù scritto Mundo Nuevo? Daniela che si commuove su un aereo? Il gelato che si scioglie sotto il sole di Settembre, il teatro Cervantes, tutto ancora da esplorare? Sospiro.

Comunque fosse andata, quantomeno ci stavo provando. Ed era così giusto...Dio. Lo era. Era come se stessi tenendo fede a una promessa fatta e disattesa troppe volte. Tutte quelle in cui, in attesa dell'imbarco, 
era come se qualcuno mi stesse prendendo a pugni nello stomaco. E mi ripetevo nella testa che - te lo giuro, Málaga - prima o poi tornerò per restare. 

Ho 31 anni. Non ho marito, fidanzati, figli. A dirla tutta non ho niente, in questo posto, che mi impedisca davvero di andare. Tranne i miei, che potrei tornare a trovare ogni volta che voglio in poco più di due ore di aereo. Tranne un lavoro, che potrei continuare a fare da qualunque parte del mondo. Tranne gli amici, che per il 90% vivono altrove. Ma, per qualche motivo, sono ancora qui.

Sono qui e mi fa incazzare. Perchè non è quello che voglio. Perchè non riesco a trovare la forza di prendere davvero in mano le redini della mia vita e portarla dove voglio io. E, quel che è peggio, perchè non ne capisco il motivo. Se ci penso, di nuovo mi sento incastrata. Di nuovo appiccicata. Di nuovo in balia di un flusso di eventi a causa di una stupida pigrizia. Ché le routine ci rassicurano. Ché l'assenza di scadenze ci porta, giocoforza, a rimandare. 

E così ho lasciato tutto chiuso a prendere muffa in un cassetto. Mi sono messa a sognare l'America. Mi sono illusa che così, forse, avrei potuto non farmi male. Però avevo scordato il 28 Febbraio.

Ché oggi è il Día de Andalucía. E tutti i post, sui social network, mi ricordano quei sogni.

Ho acceso il computer. Ho cliccato su un hashtag. Persino dirlo mi fa sentire idiota, ma prima ancora che me ne rendessi conto, prima che potessi dare un ordine ai sentimenti, ho sentito due minuscole lacrime scendermi lungo le guance.

Potrei giustificarmi con la sindrome pre-mestruale. Ma, in fondo, sono stufa di giustificarmi ancora. In fondo, t
utto quello di cui ho bisogno è una data, una spinta e un biglietto aereo. 

Tanti auguri, Andalusia. 
Ve li lascio qua sotto, senza altre parole, i post che più mi hanno fatta emozionare.


Orgullosos de ser andaluces ¡Feliz Dia de #Andalucia!Esa es Málaga la bellaparaíso en que nací;entre sus luces vivíy mi sér formóse en ella.Dios quiso al crear mi estrelladarme la vida en su ambiente,y llevo fijo en mi mentesu nombre que tanto quiero,cual si llevara un luceroen la mitad de la frente.Salvador Rueda
Pubblicato da Málaga ayer y hoy su Domenica 28 febbraio 2016





Via @Guidetomalaga - Twitter

Poi c'è la Playlist di Vevo España, con soli artisti andalusi...



...Ed, ovviamente, il post che - sull'onda delle emozioni, ho condiviso sulla pagina Facebook del blog.





A chi ci vive. A chi ha dovuto abbandonarla. A chi ci ha lasciato il cuore. A chi ne cerca un pezzo in ogni sua...
Pubblicato da Italo-Spagnola (The Blog) su Domenica 28 febbraio 2016

sabato 27 febbraio 2016

Marco Mengoni, itagnolo ad honorem!



Per la serie: "gente che è stata in Spagna di recente", dopo Zuckerberg mi sembrava opportuno parlarvi di Mengoni. Ché, tra l'altro, hanno anche il nome in comune. 

Non che sia una fan sfegatata, intendiamoci. Solo che, da quando ho letto certe sue dichiarazioni, mi sta molto più simpatico di prima. In concreto, pare che nel 2014 abbia detto alla stampa iberica che in Spagna ci sono lo stesso calore e la stessa apertura dell'Italia, solo "elevati all'ennesima potenza". Per poi continuare: "adoro la lingua spagnola, mi piace ascoltarla e parlarla per ore, anche se magari non capisco quello che mi dicono".









Come se non bastasse, all'epoca aveva anche scritto su Twitter che gli piacciono Leiva e Sabina. E recentemente, seppur "lottando con i verbi irregolari" ha affermato che vorrebbe che la Spagna fosse "la sua seconda casa". Tutte ragioni per me più che sufficienti a nominarlo italo-spagnolo ad honorem. 






Capirete che non posso, perciò, passare sotto silenzio il successo che sta avendo nella Terra di Cervantes. Il suo "Parole in Circolo" è uscito, lì, lo scorso 19 Febbraio. Il titolo è "Liberando Palabras". L'adattamento al castigliano è a cura del produttore vincitore di un Goya David Santiesteban. E il discografico di Sony España che si occupa della sua promozione è - udite, udite! - lo stesso che da anni segue Dani Martín. 


[Pausa ad effetto]

La notizia, fino a poco tempo fa, mi avrebbe strappato grida di giubilo. Specie considerato che una fetta importante delle fan italiane di Dani lo è anche, per qualche strana ragione, di Mengoni. Appresa la notizia, probabilmente s
arei corsa in giardino saltellando. Ci avrei messo poco, molto poco, a immaginare scenari di collaborazioni italo-iberiche che avrebbero avuto come effetto quello di portare finalmente l'ex leader de El Canto del Loco in concerto da noi. Anzi, avrei iniziato a tartassarlo su Twitter, a consigliargli dischi, a fare da intermediario non richiesto per strategie di marketing da quattro soldi. Mi sarei crogiolata, come mio solito, in castelli di ossessivo entusiasmo costruiti sul più completo nulla. 

Solo che, per fortuna, si cresce.

Ora, alla coincidenza, reagisco a dire tanto con un "ah". All'ipotesi di quel duetto lo scenario che mi si delinea nella testa è di me che mi nascondo dietro una colonna in aeroporto mentre un gruppetto di persone sventola cartelli con sù scritto "Bienvenido" e porge cestini con dentro fette di pizza (non fate domande). Il tutto nonostante qualche lieve attacco di nostalgia.

Ad ogni modo, per il momento il problema non si pone. L'unico duetto contenuto in Liberando Palabras - almeno che io sappia - è quello con India Martinez. Una lagna, se posso essere sincera.

Perchè dai, belle voci fin che vuoi. Di India e delle sue radici flamenche, poi, amo diversi pezzi. Solo che 'sta cosa è degna di Caccamo e Iurato all'ultimo Sanremo. A dirla proprio tutta, anche il singolo che scelto per trainare l'album, Invencible, non è che sia propriamente un concentrato di ritmo e di energia. Per carità, pare siano piaciuti. Quindi ha ragione la Sony.

Però, dovendo scegliere, io preferisco di gran lunga Guerrero. Almeno in linea teorica, dato che in Italia non è fruibile.  Oppure Yo te espero, che ancora non è un singolo ma forse potrebbe diventarlo a breve.

Sono opinioni personali, ad ogni modo. Quel che conta è che Mengoni, piaccia o meno, si è già aggiudicato con quasi un anno di anticipo un posto assicurato tra le nomination dei prossimi Italo-Spagnola Awards. Per il resto, io i brani che ho citato ve li lascio ascoltare qui sotto. E attendo con ansia le vostre opinioni.









giovedì 25 febbraio 2016

Le avventure di Zuckerberg a Barcellona

Forse è esagerato affermare che negli ultimi giorni la Spagna è stata alla ribalta delle cronache mondiali. Di sicuro, però, se ne è parlato - e molto - su tutta quella serie di web magazine per nerd che mi ritrovo a consultare per lavoro. Il motivo? Il sempre più rilevante Mobile World Congress di Barcellona. Ma, soprattutto, la presenza di un vip di eccezione: nientemeno che Mark Zuckerberg. Detto Zuck. O Zucky. O Mark. O "mavaffanculoteetuttiituoiparenti" quando ti si impalla Facebook. Insomma, lui: l'uomo delle 50 sfumature di t-shirt grigie nell'armadio, capace più di ogni altro di farmi sentire una fallita quando penso che ha la mia età e potrebbe grossomodo comprarsi tutto il mio Paese. O tutto il mondo, probabilmente.

Comunque. 

Il punto è che la permanenza iberica del super CEO ha suscitato in me tutta una serie di pensieri arguti ed interrogativi inquietanti. E, ora che pare aver lasciato la nostra amata Penisola, mi sembrava giunto il momento di condividerli con voi.

Tanto per cominciare: che razza di termine è CEO, ne vogliamo parlare? Cioè, è brutto. Se lo pronunci correttamente sembra zio in veneto. Non dico di tornare a dire Amministratore Delegato, che ti inculca immediatamente l'immagine di un tizio noioso in doppiopetto, ma non sarebbe meglio, chessò, Capo Totale? Capissimo? Crusca, dato che ultimamente sei molto attiva, vedi un po' che si può fare. 

Ma torniamo ai fatti. Il viaggio in Spagna di Mr.Facebook è cominciato con una serie di foto sul suo profilo in cui lo si vedeva fare footing in due dei luoghi più emblematici della città. Fin qui tutto bene. Solo che la didascalia recitava: "Buongiorno Barcellona! Abbiamo iniziato la nostra visita con una corsa in giro per la città, dalla Sagrada Familia al Castillo di Montjuic". 



Ora. Mark, io capisco che sei in forma ma, DALLA SAGRADA FAMILIA A MONTJUIC?! Di corsa?!?! In Salita? COL JET LAG?!? Dai, non è possibile. Secondo me la verità si cela in una delle seguenti opzioni: 

A) Ha fatto un po' di footing davanti all'opera di Gaudì (me lo immagino a fare slalom tra le consuete maree di turisti che gli urlano dietro "aggiungimi agli amiciiiiiiiii"). Poi ha preso la funicolare, un taxi, il jet privato o un drone di Amazon di passaggio (Boh), è andato al Montjuic e ha corso un altro po' lì.

B) É un cyborg.

Quest'ultima opzione, in effetti, potrebbe trovare conferma in un'altra foto. Esatto, proprio quella che ha fatto il giro del web. Quella con Zuck che fa il suo ingresso in una stanza piena di tizi con addosso i visori Oculus per la realtà virtuale. Quella in cui più o meno tutti hanno visto una descrizione poco lusinghiera del nostro immediato futuro. Quella, insomma. Questa qui:


A tal proposito, mi urge ribadire che amo l'internet (con l'articolo, come si usa nelle occasioni speciali). Perchè si dà il caso che, guardandola, mi fossero balzati agli occhi un paio di dettagli. Ed è stato estremamente confortante - o preoccupante, devo decidere -  ritrovarli evidenziati anche nell'ironica analisi di Joel Golby per Vice.com. Tra parentesi, il tizio ha trovato altri simpatici soprannomi per Mark, quali "il grande e glorioso leader zucky-zuck" ("Grande e Glorioso Leader" potrebbe essere un'altra alternativa valida alla parola CEO), o "il Z", che me lo fa immediatamente immaginare col cappellino nero da zorro provocandomi immotivata ilarità. 


Ora: per evitare di dilungarmi troppo - come se, del resto, non lo stessi già facendo- soprassederò su alcuni punti pur rilevanti quali il taglio di capelli del mio facciamocidelmale coetaneo e mi limiterò a consigliarvi di leggere l'articolo completo. Ci sono un paio di punti, però, che DEVO assolutamente citare. In concreto, quelli relativi alle reazioni della gente in sala. Tipo questa:


Come scrive Golby: "questo tizio sta sicuramente guardando porno". 


Poi c'è quest'altro: 



"A quest'uomo non funziona il dispositivo di realtà virtuale, ma si vergogna ad alzare la mano per dirlo. Si inclina impercettibilmente verso il suo collega e gli sussurra "Il tuo funziona?". Il collega annuisce, ma lui non può vederlo. E' solo nell'oscurità infinita. Davanti a lui, un logo di Samsung risplende minaccioso. Sono già 45,50 minuti che è imprigionato in quest'incubo. Non può togliersi gli occhiali perchè non si sa mai che Zuckerberg lo veda e lo picchi con una bacchetta. 'Chiudi gli occhi, John', pensa, 'presto sarà tutto finito' ".

E infine: 



"Quest'altro si chiede perchè si è disturbato a portarsi dietro una reflex se avrebbe passato tutta l'ora attaccato a questa macchina. Tra l'altro gli è venuta la paranoia che qualcuno possa rubargli il portatile durante la sua cecità, per cui lo stringe forte tra le gambe".

I redattori di Vice hanno peraltro notato anche un altro dettaglio inquietante che ho scorto in questi giorni in cui - in previsione di questo post-  ho tenuto d'occhio il profilo Facebook di Mark. Parlo dei commenti. Dico davvero: dateci un'occhiata anche voi. No, perchè è roba da analisi sociologica di quelle serie. 

Praticamente sotto ognuno dei messaggi che Zuck pubblica c'è qualcuno che allega dei ritratti fatti con tanto amore per ringraziarlo di aver inventato Facebook. Al che tu ti domandi: ma davvero? Cioè, per quale motivo una persona - per innamorata che sia dei social network e per quanto brami visibilità - dovrebbe dedicare del tempo a RITRARRE ZUCKERBERG? Poi, come fa notare l'autore dell'articolo (in spagnolo) "analizamos el fan art dedicado a Mark Zuckerberg" c'è tutt'un'altra marea di gente bizzarra tipo quelli che gli danno idee per nuovi progetti quali videochiamate con ologrammi o quelli che postano foto con i loro bebé appena nati quando annuncia di essere diventato padre. Va a capire.

Ad ogni modo. L'ultimo atto della gita ispanica di Zuck è stata una cena con Piqué. Sì, il giocatore. Il marito di Shakira. Lui. Che già il fatto sembra strano di per sè, ma poi si scopre che non è manco la prima volta e che i due vanno parecchio d'accordo. Boh. Ragazzi, io non riesco a smettere di pensarci: di cosa diavolo potranno mai parlare, a cena, Mark Zuckerberg e Gerard Piqué? Le vostre ipotesi nei commenti, che a furia di dilemmi cosmici io questo punto sono ormai esaurita.

Ah! Ovviamente si accettano soltanto risposte assurde. Mica è un posto serio, questo qui. 


lunedì 22 febbraio 2016

I nomi assurdi delle band spagnole


Di band con nomi strani, per carità, ne esistono un po' in tutti i Paesi. Prendi certe formazioni indie nostrane, tipo i "Management del Dolore Post Operatorio" o i "Tre allegri ragazzi morti", giusto per citarne un paio. Neanche alcuni tra i gruppi più popolari a livello globale si salvano dal trend. Tendiamo a non farci caso perchè l'inglese rende tutto più cool, ma rifletteteci: come diavolo ti può venire in mente di chiamare la tua band "30 secondi per Marte"? "Peperoncini Rossi Piccanti"? "Fratelli Chimici"? A dirla tutta, anche "Immagina Draghi" è bizzarro un bel po'.

Gli spagnoli, però, hanno come sempre una marcia in più. Creatività e senso dell'assurdo, oltre che inarrivabili, sono da loro estremamente democratici. Dal punk al rock fino al pop più commerciale, la follia non risparmia nessun genere musicale. Sembra quasi che lo facciano apposta, a scegliersi dei nomi improponibili. Magari per strapparti una risata quando leggi la hit parade. O per cercare di mantenere in vita la seconda parte del cliché "sesso, droga e rock'n'roll". Chissà. Forse stanno partecipando tutti ad una specie di gara segreta in cui l'autore dell'associazione di parole più demenziale vince un trofeo in oro zecchino. O forse è il vino de La Rioja, quello buono, che di gradi - lo confermo - ne ha un bel po'.

Comunque sia, il punto è che i nomi delle band spagnole sono diventati negli anni soggetto di innumerevoli post ironici sul web e gag comiche sulla tv locale. Qui, nel mio piccolo, io ho voluto presentarvi quelli mi fanno più ridere.

1. HOLA A TODO EL MUNDO 



"Ciao a tutti". Band folk-rock madrileña particolarmente socievole. 






2. UN PINGUINO EN MI ASCENSOR 


"Un pinguino nel mio ascensore". Gruppo fondato a Madrid negli anni ottanta da José Luis Moro, cantante e compositore nonchè presumibilmente residente in un condominio col riscaldamento guasto. 







3. EL ÚLTIMO DE LA FILA 

"L'ultimo della fila". Uno dei gruppi pop-rock di maggior successo in Spagna tra gli anni ottanta e gli anni novanta. L'idea per il nome dev'essergli venuta nella sala d'aspetto del medico, quando una gentil vecchina, entrando, pronunciò la fatidica domanda: "chi è l'ultimo?". Non so se siano poi mai stati curati.







4. LA OREJA DE VAN GOGH

"L'orecchio di Van Gogh". Arcinota pop-band originaria di San Sebastián, potrebbe tranquillamente risparmiare in merchandising firmando una collaborazione con i venditori di souvenir ad Amsterdam. 






5. TARZÁN Y SU PUTA MADRE OKUPANDO PISO EN ALCOBENDAS


"Tarzan e quella p*** di sua madre che occupano un appartamento ad Alcobendas". Giuro che esiste. Gruppo punk madrileño, debuttò nel 1985 e nel 2002 decise di ridurre il nome a "Tarzán". Forse perchè sfrattato.










Più o meno traducibile in "Don Kisciotte e Sancho Panza rompono le balle con la loro lancia". Band punk-rock ormai sciolta, nacque nel 1996 in provincia di Jaén dall'unione dei gruppi "Pa Kabrón tú", "Sansara" e "La mosca Puck". Di nuovo, mi sento in obbligo di giurarvi che non sto inventando niente. 


7. NO ME PISES QUE LLEVO CHANCLAS 




"Non calpestarmi che ho le ciabatte". Formatosi in provincia di Siviglia nel 1986, pare sia uno dei gruppi andalusi più famosi in Spagna. Fanno pop rock con testi umoristici e si preoccupano particolarmente della sensibilizzazione in merito ad uno dei maggiori problemi ai beach party in estate.





8. EL COLUMPIO ASESINO

"L'altalena assassina". Nota band di Pamplona con un sound molto personale, per il cui nome i componenti devono essersi ispirati alla triste esperienza avuta cadendo in un parco giochi da piccoli.








9. NANCHO NOVO Y LOS CASTIGADOS SIN POSTRE 



"Nancho Novo e quelli in castigo senza dolce". Oltre ad essere il compositore, cantante e chitarrista del gruppo, Nancho Novo è anche attore di lunga carriera. Non si è mai saputo cos'avessero combinato gli altri per essere stati privati del dessert.




10. LOS TOREROS MUERTOS 

"I toreri morti". Una delle band spagnole più conosciute di genere rock-punk degli anni '80, l'immagino presenza fissa nelle playlist delle associazioni anti-taurine. 






Ho dimenticato qualcun altro di particolarmente esilarante? Se sì, fatemelo sapere! 


mercoledì 17 febbraio 2016

Lo spagnolo in America Latina: i tipi di accenti secondo Joanna Rants


Lo spagnolo non sarebbe una delle lingue più parlate al mondo, se fosse confinato alla sola Penisola Iberica. Le popolazioni dell'America Latina l'hanno modulato ed arricchito negli anni in varietà esagerate di accenti, facilitandone la diffusione su scala globale. Quello che noi italiani tendiamo ad ignorare, però, è quasi sempre come fare a distinguerli. 

Ebbene, amici: sono lieta di annunciarvi che il problema è risolto. 

Si da il caso che - ormai diverso tempo fa - io abbia scoperto per caso questo video. Trattasi di un tutorial a cura di Joanna Rants: 'na mezza pazza di origine venezuelana che - in inglese e in chiave prettamente ironica - illustra le principali differenze nelle parlate dei popoli latini. Roba da sganasciarsi, posso garantire. 

Ed è proprio per questo che ho pensato fosse cosa buona e giusta riportarvene un campionario a seguire. 

Per ogni accento ho riassunto in italiano la definizione di Joanna e riportato un frammento di filmato in cui lei, imitandolo, ci aiuta a capire il perchè delle sue affermazioni. Per cui cliccateci, sui video: lo so che hanno tutti la stessa immagine di anteprima, ma vi assicuro che sono diversi. Che durano pochi secondi l'uno. E che, senza premere play, vi divertirete la metà. 

Ah! Ci tengo anche ad affermare che nè io nè - credo - Joanna intendiamo offendere nessuno. In fondo, andiamo: lo sapete tutti che amo i latini almeno quanto amo gli spagnoli, vero?

Buon divertimento. E apprendimento, soprattutto. Perchè no.

Come riconoscere gli accenti latino-americani secondo Joanna Rants


- MESSICO 

I messicani parlano come se stessero sempre trasportando qualcosa di molto pesante. 







- ARGENTINA 

Sostanzialmente gli argentini sono come italiani particolarmente fieri di come parlano lo spagnolo. 







- VENEZUELA 

Per ricordare a tutti che chiacchierare dev'essere facile come respirare, emettono aria quando pronunciano la s. 

Esempio:





- PUERTO RICO 


Per qualche ragione ignota al resto dell'umanità, i portoriqueñi sostituiscono la lettera R con la L.

Così: 




- REPUBLICA DOMINICANA

Nella República Dominicana parlano talmente veloci che la loro parlata sembra "corsivo scritto a mano". Nemmeno Joanna riusciva ad imitarli, così ha chiamato una locale.

Ascoltate: 





- CUBA
"Ogni volta che parli con un cubano hai la sensazione di aver interrotto il suo appuntamento dal dentista". Parlano come se avessero del cotone in bocca, o fossero perennemente sotto novocaina. 

Esempio: 




- COLOMBIA

In Colombia c'è una gran varietà di accenti, ma il più interessante può essere descritto come: "Sean Connery che parla spagnolo e ti racconta storie tristissime in continuazione". Magari i colombiani ti stanno raccontando che hanno vinto la lotteria, eppure sembra sempre che gli sia appena morto il gatto. 

Esempio: 





- BRASILE
Sì, vabbé, in Brasile non parlano spagnolo. Però, secondo Joanna, i suoi abitanti meritavano una menzione in virtù del fatto che - se ci fate caso - ricordano un russo che cerca di parlare spagnolo. 

Esempio: 






Se vi è piaciuto il riassunto, potete godervi il video completo qui. 




lunedì 15 febbraio 2016

Imagine Amsterdam.


Post in differita. Molto in differita. Troppo in differita. Però, in fondo, sempre meglio tardi che mai. 




5 Febbraio 2016. 
La stazione di Bijlmer Arena si apre su un mondo di luci e colori. 

Qui non ci sono biciclette appoggiate ai ponti in attese di acciaio. Le strade non odorano di marijuana e waffle. Nessuna casa si specchia al contrario, pittoresca, nei canali. Eppure è già questa, la zona di Amsterdam che amo di più. 

Mi succede sempre, con i posti non segnati sulle guide. Non poteva non succedermi, nel Paradiso della musica live.

Le persone si muovono a passo svelto, in piccoli gruppi e direzioni alternate. Si incrociano di gusti ed impazienza, riempiendo a poco a poco strade e bar. La senti nell'aria, l'elettricità inconfondibile che precede gli eventi musicali. Si moltiplica e si sparge tra le sale pronte a offrire sogni a chi già attende fuori. Davanti ad un cancello. All'ingresso di uno stadio. Poco importa. Stringono biglietti ben diversi tra le mani ma hanno tutti, sulla faccia, quell'identico sorriso. Quello che, probabilmente, indosso anch'io. 


E' questa, la cosa migliore del concentrare le principali location di concerti 
in pochi metri: che, comunque vada, senti sempre che qualcosa di bello sta per accadere. O è accaduto. Sta accadendo, magari, in questo stesso istante, mentre il vento freddo di una sera qualsiasi ti spettina la frangia sulla strada per l'hotel.

Incredibile, davvero, come la musica sappia costruirti una casa attorno indipendentemente dal luogo in cui ti trovi o dalla lingua che ti parlano accanto. Sono in Olanda. Un posto che non ho mai visitato. Eppure Il rumore metallico dei palchi che si montano è uguale in ogni angolo del mondo. I bus a due piani con i finestrini oscurati, solitari in un parcheggio sterrato, sono gli stessi qui come a Madrid. Nel pomeriggio, persone con il pass legato ai pantaloni accendevano sigarette fuori dall'ingresso staff, ed io mi sono sentita di colpo a mio agio. 




Suonavano i The Foals, ieri, alla Sala Haineken. Oggi, una serpentina ordinata di persone attende un gruppo a me ignoto dal nome Disclosure. Ma è la fila molto più lunga a pochi metri da lì a catturare veramente la mia attenzione. Si dipana da un punto non ben chiaro all'orizzonte, circondando edifici per quelli che mi sembrano kilometri. "Sta a vedere che...". Fermo una ragazza qualsiasi. Mi ispira fiducia. Ha la felicità negli occhi, gli occhiali sul naso, una giacca pesante persino più ingombrante della mia.

"Scusami, siete qui per gli Imagine Dragons?"
"Sì, esatto!"

E benedico di colpo il mio biglietto in gradinata. I posti numerati. L'ansia appena un po' smorzata dall'idea di poter, tutto sommato, aspettare ancora. Anche se, francamente, fosse per me non lo farei. L'impazienza, adesso, è tanta che a quella fila mi accoderei in questo preciso istante. Come quella ragazza che "sarei in gradinata ma ho preferito venire prima". Come quelli del parterre che finalmente intravedono nella frenesia dei buttafuori l'agognato traguardo di un'attesa infinita. Il pre-concerto. Dio, come vorrei sapervelo davvero raccontare.

Sembra ieri che, nei corridoi affollati all'uscita di Assago, ho deciso che li avrei assolutamente dovuti rivedere. Mi era venuta in mente l'Olanda. Avevo pensato che, se l'ultima data è, di per sè, speciale, quella che mette fine il punto a un tour mondiale di due anni doveva essere un evento imperdibile. Aveva senso, lì per lì. 

Poi l'ha perduto.

"Devo essere completamente pazza", negli ultimi giorni non facevo che ripeterlo. Insomma, dai. Comprare un biglietto da una sconosciuta su Internet. Un pdf qualsiasi, che la malafede altrui mi ricordava facilissimo da fotocopiare. Prendere aerei per andare ad un concerto completamente da sola. In una città straniera. Ignota. Pazza è dir poco. Scema non rende l'idea. Certo, se non altro avrei fatto del turismo, visto un posto nuovo. Però tutto il resto... forse, al resto, avrei potuto rinunciare.

Ci avevo pensato. Fino a stasera. Fino a che non ho visto questa fila, questa ragazza. Fino a che le luci proiettate sulla parete dello Ziggo Dome, in lontananza, non mi hanno ricordato chiaramente cosa aveva mosso quella decisione. Una decisione che, come tutte le più assurde, si è rivelata essere poi una delle migliori che abbia mai preso.

Chè meno di un'ora più tardi, all'interno di quel palazzetto enorme, la luce verde sullo scan del ragazzo all'ingresso mi garantirà l'accesso a un personale Luna Park. E sarà bello, nel guardarlo validare il mio biglietto, constatare che delle persone ci si può, a volte, ancora fidare.





Sono seduti accanto a me, i figli della sconosciuta che me l'ha venduto. Un ragazzo e una ragazza, entrambi molto simpatici. Cominciamo a chiacchierare da subito. Perchè la musica è già sottotesto, è premessa al discorso, è il miglior interesse condiviso in assoluto da cui far partire una conversazione. "Siamo tutti qui per la stessa ragione", dirà più tardi, sul palco, il frontman della band. "Non importa la religione, la razza, la provenienza", perchè una manciata di canzoni riesce ad annullare le differenze, a farci sentire parte della stessa storia - foss'anche per due ore scarse appena. "Spread peace and love". Forse, in un coro unisono, si può fare davvero.






Paradossalmente, sono stata più sola ad altri concerti. Non a questo, in cui mi preoccupavo perchè non avrei avuto compagnia. Ridicolo. Ora è quel pensiero a sembrarmi tale, non più l'idea di essere qui. Perchè qui, mentre le luci piano smorzano, si respira già l'inconfondibile atmosfera dell'ultima data. Sa di festa mista a un po' di nostalgia. E non importa da quanto tempo segui un gruppo, da dove vieni, chi sei. E' in quei momenti che capisci che è solamente lì che dovresti essere ora.

I Sunset Sons, dal vivo, mi sembrano ancora più bravi che a Milano. "Devo comprarmi il disco", dico al mio vicino di posto. "Avevi ragione, spaccano". E "lo vedi?". 





Poi, il batterista e il bassista degli Imagine Dragons irrompono sul loro palco in mutande. Una maschera sugli occhi. Il chitarrista che lancia carta igienica per confermare l'usanza tutta americana di finire con gli scherzi una tournè. In fondo inizia già un po' lì, il loro "ultimo concerto".

Un live in cui la scaletta italiana si modifica leggermente per far crollare il palasport sotto il peso emotivo di Amsterdam, uno dei miei preferiti in assoluto. 






O, ancora, per riciclare vecchi brani come Bleeding Out, suonare interamente Hopeless Hopus. Immaginare un cielo stellato dove le torce dei cellulari accendono le tribune in "Second Chances". E meno male che gliel'ho data, la seconda possibilità di farmi stare bene.




Dan Reynolds non riesce ad attaccare Gold, ostacolato da un attacco di genuine risate provocato da uno scherzo non meglio identificato da parte di un suo compagno di gruppo. Daniel Platzman - che la maschera non se la toglie mai - si scatta selfie a pioggia con della gente che, in platea, si è travestita da unicorno. Il cantante dei Sunset Sons si vendica salendo sul palco vestito da donna sulle note di "On Top Of The World".





No, decisamente non è stato un concerto normale. E a chi mi chiede se sia stato migliore o peggiore di Milano posso solo dire questo: che sono felice di averli vissuti entrambi. Che Milano è stata la prima volta, l'attesa interminabile, la scoperta. Invece Amsterdam è stata follia. In tutti i sensi. Ma è stata una follia che, tra le altre cose, mi ha regalato facce nuove, case che si specchiano al contrario, biciclette appoggiate ai ponti e musei spettacolari. 

Ecco perchè le sono grata.

Perchè la mia follia ha quasi sempre a che vedere con la musica. E la musica è - non sarò mai stanca di dirlo- il miglior pretesto in assoluto per viaggiare.




domenica 14 febbraio 2016

Cose che salvo di questo Sanremo.

Doveva essere solo una riflessione estemporanea da condividere su Facebook, ma - come spesso accade, specie dopo una sbornia televisiva lunga cinque giorni - mi sono fatta un po' prendere la mano. I bilanci, in fondo, mi sembra giusto e doveroso pubblicarli anche qui. 

E quindi eccole, le (poche) cose che salvo di quello che personalmente credo sia stato uno dei Sanremo più noiosi e musicalmente brutti degli ultimi tempi:


1. Francesco Gabbani, che per me si chiama e si chiamerà sempre Federico. Si merita la vittoria nei giovani, il Bardotti (la cui assegnazione, tra parentesi, non mi delude quasi mai), il premio della critica, i coriandoli, la speranze ritrovate in un futuro roseo e magari anche uno stilista nuovo.



2. Chiara Dello Iacovo, di cui non ricorderò probabilmente mai il cognome. Perchè se non altro qualcuno ricorda ogni tanto che il concetto di ritmo esiste ancora e che il vocabolario, nei testi, può spingersi un filino più in là del cuore-amore.

3. Ruggeri. Perché la sua era la miglior canzone tra i big, senza se e senza ma. Punto.

4. Hozier. Anche se il modo in cui Conti tratta gli ospiti stranieri si conferma imbarazzante. Cioè, lo paghi fior di quattrini, lo fai salire sul palco a mezzanotte e quarantasette minuti, gli fai cantare il singolo vecchio e lo liquidi senza manco chiedergli, chessò, che tempo fa in Irlanda o se va tutto bene a casa. Bah.

5. Elisa. Perché il suo “BON DAI” mi ha fatto scoprire un insospettabile campanilismo della serie “Monfalcón xe mejo” (ma poi, mejo de che?) e perchè aveva un vestito semplice e bellissimo. A quelli che si sono messi a twittare battutine sul fatto che è piatta volevo dire NO ALLA DISCRIMINAZIONE. NO AL BULLISMO. ‪#‎RespectForPiatte‬.


6. Virginia Raffaele, perchè ha dato un senso a tutto ciò.

7. Rocco Tanica, perchè mi fa sempre sbudellare dalle risate.

8. Morgan che non riesce a togliersi la giacca, probabilmente il miglior momento del festival in assoluto. Forse anche della televisione italiana.



9. I tweet, che (non prendiamoci in giro) sono sempre la migliore nonché principale nonché forse unica ragione per seguire il festival. Quest’anno la mia personale top 3 dei commentatori in centoquaranta caratteri è stata composta da: @zziagenio78, @esccanada (premio rivelazione Twitter‪ #‎sanremo2016‬) , e @alessioviola .

Detto questo, direi che possiamo finalmente archiviare anche questa kermesse, rimettere sotto naftalina Irene Fornaciari per un altro annetto e DIMENTICARE TUTTO CON UN AMEN. AAAMEN. AAAAAMEEEEEN.

giovedì 11 febbraio 2016

[Guest Post] Cosa Vedere a Madrid


É sempre bello poter scoprire e segnalare altre realtà italo-spagnole del web. Ci ho costruito attorno addirittura un contest: capirete che è un concetto che mi sta abbastanza a cuore. Lascio quindi con piacere a Matteo il compito di presentarvi "Cosa Vedere a Madrid", il blog di cui è autore e su cui troverete tante informazioni utili in vista di un vostro prossimo viaggio nella Capital. Quanto a me, non preoccupatevi troppo: ormai dovreste aver capito che ogni mio prolungato silenzio è un po' la quiete prima della tempesta. La mente che ribolle. L'equazione sempre ingiusta tra il tempo e le idee. 'Somma, sto per tornare - e molto presto - ad inondarvi di post! 



COSA VEDERE A MADRID 

di Matteo Serena



Il blog si compone di alcune sezioni che vogliono aiutare il turista ad organizzare il viaggio: queste sezioni riguardano argomenti quali i voli, con la lista delle compagnie che operano i voli per Madrid dagli aeroporti italiani e una selezione di hotel tratta da Booking.com (Hotel a Madrid).

Tra le altre sezioni si trovano i trasporti della città (Come muoversi a Madrid), tra i quali è impossibile non menzionare il Metro di Madrid, le principali attrazioni come musei e monumenti (Cosa visitare a Madrid) e, per rendere la visita ancora più gradevole, una lista delle attività ed esperienze turistiche che si possono svolgere nella capitale spagnola (Cosa fare a Madrid). 



Il Triangulo del Arte è una delle zone con la più alta densità di opere d’arte del pianeta, zona che prende come vertice la Stazione di Atocha da un lato, che peraltro si trova di fronte al Museo di Arte Contemporanea Reina Sofia, all’interno del quale si trova il celebre quadro Guernica di Picasso, fino alla Fuente de Neptuno, dove si trovano il Museo Thyssen Bornemisza, famosa collezione privata d'arte che ha pochi eguali nel mondo, e il Museo del Prado, pinacoteca talmente conosciuta che quasi non merita la pena di essere menzionata. 

Madrid è visitata anche e soprattutto per motivi legati allo sport: tra le attrazioni più visitate annoveriamo,infatti, lo stadio Vicente Calderon dell'Atletico Madrid e soprattutto lo stadio Santiago Bernabeu del Real Madrid; il famoso Tour del Bernabeu, percorso da quasi un milione di appassionati ogni anno, è la visita allo stadio del Real Madrid. Se si volesse assistere ai match in casa delle due squadre, si possono prenotare online i biglietti del Real Madrid e i biglietti dell'Atletico Madrid

Se invece si volesse fare dello shopping a Madrid, sicuramente merita una vita l’outlet Las Rozas Village, ubicato a pochi km da Madrid dove si possono trovare a prezzi accessibili le migliori marche a livello internazionale. 

Tra le attività alle quali non si può mancare c’è l’assistere a uno spettacolo di flamenco a Madrid; nella capitale spagnola si trova infatti il tablao (locale) di flamenco più importante al mondo, ossia il Corral de la Moreria, dove non sarà difficile vedere seduto al tavolo di fianco al vostro attori di Hollywood o capi di stato. 

A circa un'ora di auto circa da Madrid si trova Toledo, città meravigliosa tutelata come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, raggiungibile con il treno Madrid Toledo in appena 30 minuti. 

Il sito Cosavederemadrid.it non solo offre l'opportunità di prenotare un volo, una stanza d’hotel, il biglietto di un museo o di una partita di calcio, ma soprattutto racconta la città attraverso gli occhi di un connazionale che ci vive da molti anni. Infine le pagine social (Facebook, Twitter e Google+) sono utili per rimanere sempre aggiornati sulle news relative a Cosa vedere a Madrid.

giovedì 4 febbraio 2016

Canal Sur cerca Italo-andalusi!


Di nuovo in partenza. Di nuovo con un concerto a fare da pretesto principale. Certo, sempre che non mi abbiano tirato il pacco e il biglietto in mio possesso - vendutomi via internet da una gentildonna olandese- mi lasci veramente... Immaginare draghi. 





In caso contrario, suppongo che anche un coffee shop possa servire allo scopo.

Ad ogni modo: sono diretta ad Amsterdam. Ma non potevo prendere un aereo senza prima condividere un appello che - ne sono certa - renderà qualcuno di voi felice.  

Il canale televisivo spagnolo Canal Sur sta, infatti, cercando italo-spagnoli. In concreto, discendenti di andalusi che vivano in Italia. Persone che si sentano andaluse nell'anima in virtù del fatto che i loro genitori, nonni o bisnonni erano nativi dell'Andalusia o in quella terra avevano vissuto. Persone maggiorenni, che capiscano e parlino spagnolo. Persone che in Andalusia, nonostante il legame di sangue, non siano mai state, o abbiano quantomeno voglia di tornarci per un'indagine più approfondita delle proprie radici.

Tutto questo ai fini della realizzazione della seconda stagione di "Los Descendientes", un'esperienza televisiva che ha l'obiettivo di far conoscere a persone con origini andaluse la terra dei propri antenati. Ecco perchè, mi fa sapere la giornalista Eva Montes, "9 persone selezionate da tutto il mondo saranno invitate dal programma, con spese pagate, a viaggiare attraverso l'Andalusia alla scoperta della storia della propria famiglia". Percorreranno le strade del paese in cui sono nati i propri avi, ne conosceranno la cultura, approfondiranno le usanze andaluse e incontreranno il resto della famiglia che i loro padri, madri, nonni o bisnonni lì hanno lasciato. 



Se corrispondete al profilo richiesto e siete interessati, potete mettervi in contatto con la redazione lasciando i vostri dati personali (nome, cognome e numero di telefono) all'indirizzo e-mail: evamontespareja@hotmail.com

Per maggiori informazioni sulla trasmissione e i video integrali della prima stagione potete, inoltre, cliccare qui. 

In bocca al lupo a tutti. E, se verrete selezionati, vi raccomando di farmelo sapere!


martedì 2 febbraio 2016

Very #Odissea: spagnoli che twittano come nell'antica Roma

Gli spagnoli mi capiscono, capitolo 2736355454 virgola 53 col tre periodico. Anche se non sempre, purtroppo, riesco ad essere "sul pezzo" quanto vorrei.

É passata ormai quasi una settimana da quando gli utenti iberici hanno deciso di divertirsi sul mio social preferito con l'hashtag #TuiteaComoSiEstuvierasEnLaAntiguaRoma (twitta come se fossi nell'antica Roma). Da quel momento in poi si sono susseguite serate al cinema, weekend a Venezia, quantità esagerate di pop corn e frittelle, iniziative a dir poco avventate. Eppure, il mio entusiasmo per quella trovata non si è ancora - per niente! - smorzato.

Il fatto è che gli spagnoli, twittando come se fossero nell'antica Roma, incarnavano in tutto e per tutto lo spirito che già avevo riversato nella mia #Odissea. C'era l'ironia fine a se stessa. C'era il linguaggio di una nuova era applicato a vicende più o meno universalmente note dell'antichità. E c'era - soprattutto- la satira, che dal triumvirato ai gladiatori usava quelle vicende per criticare, condannare o riflettere sui fatti d'attualità nazionale (corride, indipendenza catalana e coalizioni politiche in primis), oltre che sui comportamenti più tipici del web. Last but not least, converrete che l'unione di lingua ed argomento dia vita a un contenuto alquanto italo-spagnolo.

Quindi sì, sarebbe stato decisamente meglio scriverlo il giorno dopo. Ma il passaggio del tempo non mi è sembrato in ogni caso una ragione sufficiente a rinunciare al post. Un post che vuole celebrare la creatività di quell'hashtag riportando, in originale e traduzione italiana, la selezione dei tweet secondo me più significativi. Quelli più sagaci. Più originali. Più divertenti. Insomma, quelli che più mi hanno fatto venir voglia di scrivere qualcos'altro simile ad #Odissea.

Buona lettura (e buone risate) a tutti!



"Ah, certo, ora che è morto Cesare viene fuori che piaceva a tutti, no?"

"I cristiani sono come gli Hipster. Solo un'altra moda passeggera".

"Il gladiatore non soffre, è arte".

"Quelli a cui non piace vedere leoni che divorano cristiani che non vadano all'anfiteatro e punto".

"Lo sacrificheranno domani. Cerca casa urgentemente".

"Questo con Marco Aurelio non succedeva".

"Gli schiavi che ho ordinato su Amazon non sono ancora arrivati."

"Libertà per la provincia di Cartagine! Vogliamo la nostra lingua e la nostra cultura! La PUNICA!"

"Dai, scolpiscine un'altra che sono venuto mosso".

"Non ho le forze per scalpellare 140 caratteri sulla pietra".


"Oggi è venuta a divertirsi al Colosseo:


Cleopatra"


"...E la vincitrice della I Edizione di Operación Triunfo in Hispania é... Rosa, Rosae Lopez!

"Madre, ha capito ora come funziona lo scalpello?

Sta scalpellando...
Sta scalpellando...
Sta scalpellando...

Ni. "



"Schiavi, coprite le statue degli dei, che potrebbero offendere l'ambasciatore persiano".

"Guarda, son tre giorni che la gente é accampata davanti alla porta del teatro per non perdersi la Medea"

"Forza, chi liberiamo?"

"Io conoscevo i gracchi prima che fossero di moda"

"Un triumvirato? Cosa state dicendo? Basta con le coalizioni...!"


"Cameriere, cinque birre!"