martedì 28 marzo 2017

La storia d'amore tra Málaga e Banderas.

L'amore tra Málaga e Antonio Banderas non lo puoi spiegare se non ci vivi in mezzo. É un legame a filo doppio, solido e discreto come possono esserlo soltanto i più longevi. Lo percepisci tra le pietre del Teatro Romano, quando cade la sera tra il borbottio del Pimpi e i neon delle terrazze chic. S'infrange con le onde, senza troppo drammatismo, sul Paseo Marítimo che ne porta il nome. Quel legame si magnifica nell'orgoglioso rispetto di un posto in cui tutti sanno dove vive, eppure nessuno va mai ad importunarlo sotto casa sua. Ché poi sarebbe bello non doversene stupire. 

Dal 2009 Antonio Banderas per me è in un certo senso un pezzo di città. Ricordo quando passavo per caso davanti al Teatro Cervantes, troppo bassa per scrutare tra la folla, troppo stordita per decifrare le sillabe che andavano a comporre un'ovazione. Oltre quel muro di gente - mi avevano detto - c'era lui. Zorro. El Gato con Botas. L'andaluso forse più internazionale al mondo. Quel giorno, chissiricorda perchè, ho iniziato a chiamarlo Tony. E in un nomignolo d'inconsapevole umanità smetteva di essere un attore per diventare uno qualunque. Abbandonava i panni del vecchio sex symbol per vestire quelli di uno che, semplicemente, mi stava simpatico. Forse in quel momento sono diventata parte di Málaga. Della sua essenza, del suo anti-divismo, del suo essere sempre cosí colloquiale. 




Otto anni dopo, aspettarlo davanti a quello stesso teatro mi è sembrato quasi un doveroso atto di passaggio. Come se dovessi dimostrare alla città che sono di nuovo qui, a chiudere un ciclo, qui dove avevo siglato un patto con me stessa nei giorni in cui il mio primo Festival del Cinema la faceva esplodere di bellezza e luce. Erano i giorni in cui (me ne rendo conto solo ora) capivo per la prima volta di non voler tornare. 

Probabilmente avevo bisogno di veder esplodere quell'amore nel grido della folla. "Antonio, Antonio!" - mille voci in una sola - quando l'ultima auto con i vetri oscurati lo consegnava agli abbracci, agli applausi, alle strette di mano. E lui scherzava, chiacchierava, gesticolava senza sosta, con l'invidiabile talento di chi sembra essere impermeabile ad ogni aura di divismo o imposizione di celebrità.

Succedeva al termine di un pomeriggio interessante. Un gruppo di signore variopinte seguiva la scena dal balcone del terrazzo della casa che lo scorso Settembre credevo potesse diventare la mia. Succedeva dopo essermi interrogata sull'essenza reale o statuaria di un corvo fermo da troppo in posizioni scomode. Dopo aver riso come una pazza per i commenti delle pettegole attempate davanti a me - ché "tengo una amiga que es CENAFILA de ésas y se ve todas las pelis", e "qué culo más feo tiene Mónica Cruz"; ché avrei fatto un live tweeting più completo dei loro commenti se non fossi stata troppo pressata dalla folla per riuscire a maneggiare il cellulare. Succedeva prima di finire mio malgrado sullo sfondo dello Snapchat di una tipa francese che si faceva un video con le orecchie da coniglio rosa. Prima che andarsene da lì diventasse un'impresa epica. 

E con quella barba Antonio Banderas mi sembrava un po' Babbo Natale. Quando mi ha salutata, assieme (ovvio!) a tutto il mio tratto di folla, è stato come se il ciclo si fosse concluso. Toh, Tony, siamo di nuovo tutti e due qui. 

Quest'anno, al festival del cinema, gli hanno consegnato un premio onorario. E credo di aver consumato tutti i cuori messi a disposizione da Periscope quando ho seguito la diretta del discorso con cui l'ha ricevuto. Un discorso che ho voluto tradurre qui sotto, perchè possiate condividere - seppur in minima parte - i brividi, i sorrisi e l'emozione che ha messo addosso a me. 

Perciò, Banderas, l'unica cosa che ti chiedo è questa: smettila una buona volta di parlare con le galline. Uno che racchiude flamenco, Odissea e Málaga in un unico contesto non si merita di essere associato a Rosita e a quelle stramaledette merendine. 

Guardate tutto il video, che ne vale la pena. 





<< Non mi sono preparato nulla perchè in genere mi piace scrivere le cose da dire in questo tipo di atti, ma mi sembrava che rivolgendomi ai miei compaesani sarebbe parso un po' freddo mettersi qui davanti un foglio e leggere; quindi improvviserò un po'. 
Alcune delle cose che dirò qui le ho probabilmente già dette questa mattina alla conferenza stampa. Avevo letto ultimamente che il festival di Málaga era in debito con me e che con questo premio voleva saldare quel debito e non è vero. Non è vero perchè il festival di Málaga a me non deve proprio niente. Tutto quello che ha ottenuto se l'è guadagnato in 20 anni grazie ai diversi direttori del festival che si sono succeduti, alla la gente che ci ha lavorato, ai tecnici: tutti loro hanno lavorato un sacco e lo so bene. 

Io volevo scusarmi in qualche modo perchè ho assistito in due o tre occasioni, e non siamo riusciti ad inserire nel contesto del Festival film come el Camino de Los Ingleses o Crazy in Alabama, i miei due lavori come regista. La gente mi diceva sempre: "Lei viene alla Semana Santa e non viene al Festival", ma il punto é che durante la Semana Santa è festa in tutto il mondo e quindi mi lasciavano allontanarmi dalle riprese. In altre circostanze mi dicevano "No, non è più festa adesso, deve restare qui". 

Questo premio deve servire per consolidare un rapporto. Deve servire a far sì che io prenda un impegno con questo festival, che mi "usino" di più, che io possa essere più utile e diventare davvero un anfitrione del festival di Málaga. Oltretutto io mi congratulo per il fatto che quest'anno si sia finalmente aperto in modo chiaro non solo al cinema spagnolo ma al cinema IN spagnolo:  questo ha un significato molto importante, internazionalizza il festival e apre la porta a un mondo che è mi é stato molto vicino in tutta la mia carriera, sia nel periodo che ho passato negli Stati Uniti sia dopo, in diversi Paesi come Cile, Argentina, Colombia, Messico, Venezuela, dove ho girato film e avuto l'occasione di lavorare a contatto con il talento di queste Nazioni che è enorme e invidiabile. La possibilità di portarlo ogni anno qui è fantastica e credo sia stata una mossa azzeccata da parte della direzione del festival. 

Tutto questo si inquadra bene in una città, Málaga, che sta smettendo di odorare di doposole e che inizia ad odorare di cultura. E l'orgoglio che si prova! A me piace conservare il senso critico con me stesso e in tutti gli aspetti della vita, ma bisogna anche mostrare i muscoli e sentirsi orgogliosi. Io credo che noi malagueñi dobbiamo iniziare a mostrare quei muscoli; mantenere il senso critico, naturalmente, per migliorare le cose che possono andare bene o male, ma Málaga sta diventando una città importante e io credo che siamo solo all'inizio di un percorso per cui si trasformerà nel futuro in un punto di riferimento per la cultura a livello mondiale. 

Questa, che sembra una cosa senza senso, non lo é più di quando io dissi che me ne sarei andato ad Hollywood, ma le cose succedono. 

Le persone sono molto diverse tra loro ma io mi sento quasi di dividerle in due categorie: ci sono quelli che affrontano la vita in modo cerebrale, le persone metodiche che fanno strategie... io non sono così. Io mi sono affidato al cuore per per tutto quello che ho fatto nella vita. Sono impulsivo, non ho mai pensato molto, mi sono tuffato di testa in tutto. Quando sono andato via da qui a 19 anni diretto a Madrid l'ho fatto a cavallo di un cuore. Ho lavorato sostenendomi su quel cuore. Sono andato negli Stati Uniti sulla spinta di quel cuore e il giorno 16 gennaio di quest'anno quel cuore mi ha detto "ora basta, siamo arrivati". E ho avuto un infarto. Ti fa pensare, perchè gli ho messo molta pressione addosso, e il mio cuore - che è estremamente andaluso- mi ha detto: "picha, fermati un attimo, ché sennò qua ci tocca litigare". Abbiamo avuto uno scontro. Ora stiamo facendo di nuovo amicizia, parliamo molto tutti i giorni. 

Mi sono reso conto che, nonostante tutto quello che mi dicono i cardiologi, il cuore non è una bombola che dà ossigeno al corpo, il cuore - e in questo bisogna affidarsi alla cultura popolare, che è saggia: la gente non dice "ti amo con tutto il mio cervello", dice "ti amo con tutto il mio cuore"; Non dice "mi si è spezzato il pancreas dalla tristezza"...parlano del cuore, e lo fanno perchè ha un significato, che io adesso ho capito più che mai. Il cuore è un magazzino di emozioni e in questi due mesi io ho visto lì dentro tutte le persone che ho amato e che amo, ho visto Zorro, ho visto un gatto con gli stivali, ho visto il mio amico Almodovar, gli anni della movida, gli anni del Teatro Romano qui a Málaga quando andavamo in giro vestiti da romani su un vespino per andare a recitare; 

E sulle pareti di quel cuore, nei ventricoli e nelle arterie coronarie e tra sistole e diastole, c'è Málaga. Lì, come la mia Itaca personale, o forse come la mia Dulcinea. E nel mezzo di tutto questo un'idea di nuovo surrealista, andalusa, insensata, malagueña e chisciottesca: l'idea che il meglio debba ancora venire. >>


PS: Comunque il tappeto rosso in Calle Larios dovrebbero tenerlo sempre, ché con i tacchi ci si cammina meglio. 












martedì 21 marzo 2017

Cose che impari quando ricevi visite.


L'ho capito sbadigliando per strada che stavo per dire addio alla mia fastidiosa iperattività del Lunedì. Assieme a lei, consegnavo agli occhi di qualche vecchietto quel poco che restava della mia dignità. Erano quegli sbadigli grassi, aperti, col sonoro. Quelli che ti concedi, spesso senza mano davanti alla bocca, solo con chi sei in confidenza per davvero. Ecco, evidentemente io sono in confidenza con la strada di casa. Con i bar che la circondano. Col cartello sbiadito del "caldillo pintarroja" a un euro, gli azulejos, e il signore in tuta che porta fuori la spazzatura. Non riuscivo a contenermi, giuro. L'eco di una serie di "yawn" da fumetto si abbinava allo stupido naso rosso bordeaux che mi viene sempre quando prendo il sole.

La Domenica stava ormai sfumando nel blu scuro della routine. Mi sembrava di trascinarmela di peso sù per le scale, rintronata com'ero dai kilometri di turismo, il  ciclo in arrivo, le emozioni di un concerto, il sole basso tra i mercatini, l'odore intenso di Marijuana che aleggiava quel pomeriggio sul Muelle Uno. Due giri nella toppa. Testa sul cuscino. Immagini oniriche da quadro di Van Gogh che mi accompagnano fino alla sveglia in cerchi gialli concentrici, mari impossibili, stelle scintillanti da disegno di un bambino che per di più ballano, tanto per dar ragione a Nietzche: qui di caos dentro ne abbiamo a quintali. E poi, di colpo, è come se la parentesi si sia di nuovo chiusa. 

É sempre strano, quando qualcuno viene a trovarti dall'Italia. Cerchi di anticiparti il lavoro il più possibile, ritagliarti degli spazi, progettare itinerari. E, per tutta la durata in cui il divano-letto rivendica la seconda parte del suo nome composto, la città in cui vivi torna ad essere anche per te il luogo di una vacanza fatta spesso eppure sempre nuova. Inevitabilmente ti ritrovi in quei giorni a guardare gli orizzonti a cui ti sei abituata come qualcosa di insolito e stupefacente, rendendoti conto ti quanto tu sia stata brava nella scelta - o magari, chissà, soltanto fortunata. Altrettanto inevitabilmente, non ne esci mai senza scoprire qualcosa di nuovo. Ecco, quindi, cosa ho imparato questa volta dalla settimana in cui è venuto a trovarmi mio papà:


1. La Luna piena, quando sorge in proporzioni sovrumane, genera una sorta di catatonia di massa. La gente tende a sedersi sui muretti del paseo marítimo, fissandola imbambolata come se non l'avesse mai vista in vita sua. Ok, lo ammetto: me compresa. Di colpo è come se tutto si immobilizzasse. Se l'umanità si stesse affidando a un qualche potere ancestrale, in attesa di chissà cosa o chi. Se ti estranei per un momento dalla scena potresti credere di essere sul set di un qualche film pseudo-apocalittico. Rabbrividire di un'inquietudine sottile. Chiedere il conforto di un gelato, ma quasi sicuramente - a quell'ora, di Domenica, col vento - lo siento, li avranno già messi via. 




2. Ascoltare i commenti dei bambini su un'opera di Kandinsky (o su qualunque quadro, azzarderei) è quanto di più bello possa capitarti nella vita. Al Museo d'Arte Russa una ragazzina ha alzato la mano su richiesta del maestro. "A me questo quadro ricorda la vita di una persona" - ha detto - "perchè succedono sempre tante cose". Critici tutti, cambiate mestiere. 

3. Devo comprare più spesso frutta e verdura al mercato. Oltre al notevole risparmio ho scoperto che gli avocado perfetti esistono e che certi pomodori sono talmente buoni al naturale che persino condirli con un filo d'olio rischia di sembrarti un peccato mortale. 

4. Il Gastrobar Pretende si merita decisamente più clienti, se mi è bastato andarci due volte perchè il cameriere si ricordi di me. Certo, è anche vero che mi è bastato andarci due volte per farlo diventare uno dei miei posti preferiti. L'ambiente è curatissimo, d'ispirazione retrò. Il cibo è squisito. Le porzioni abbondanti. E, come se non bastasse, i prezzi sono anche più che abbordabili. Quindi fatevi un favore, allontanatevi dal centro in direzione Carretera de Cadiz, e riempite una volta per tutte quei tavolini azzurri assicurandogli la lunga esistenza che si merita. Mi ringrazierete, soprattutto dopo aver mangiato le patatas bravas "al estilo vintage". 

5. L'alcazaba è ancora spettacolare come quando ci ero salita, per la prima e (ora pen)ultima volta, otto anni fa. 





6. Le nuove opere che sono andate ad ampliare la collezione del Museo Picasso ne hanno notevolmente migliorato la qualità generale. Fateci un salto non appena potete (la Domenica è gratis) 

7. Al Gibralfaro tutto è talmente a prova di foto che persino i gabbiani si mettono in posa. 




8. Devo andare più spesso a fare shopping alla Recova, anzichè limitarmi a mangiarci dentro. Hanno certi vestitini e cappellini colorati che sono perfetti per l'estate!


...Anche mangiarci, comunque, decisamente non é che faccia schifo. 



9. Jia Aili è veramente bravo. É un artista cinese che attualmente espone al CacMa. Realizza quadri monumentali un po' desolanti e quasi monocromi, in cui la solitudine e il degrado tecnologico la fanno da padrone. Oltre all'impatto immediato delle grandi dimensioni, la tecnica è talmente valida che in certi casi sorprende il suo sembrarti astratta nelle vicinanze e quasi fotografica da lontano. Una delle migliori scoperte degli ultimi tempi. Se volete darci un'occhiata, la mostra è aperta al pubblico fino al 18 Giugno p.v.




10. Al Soho c'è un locale che sembra strepitoso. Si chiama Mamuchis, e serve "healthy food" da tutto il mondo. La decorazione esterna è talmente ben fatta che non mi spiego come sia possibile che non l'abbia notato prima. É già altissimo nella mia lunga lista dei prossimi posti in cui cenare.




11. Il Barceló che espone all'Ateneo de Málaga non è il Barceló che tutti pensiamo - il che mi insegna che bisogna prestare importanza anche ai nomi di battesimo. Ad ogni modo, le opere astratte dell'omonimo (cioé di Carlos, non di Miquel) una visitina la valgono comunque, specie se si parla del piano inferiore. 

12. Oltre ad essere un posto hipster friendly dove scrivere un libro, lavorare da freelance e instagrammare cose, da Dulces Dreams fanno anche un buonissimo espresso all'italiana. Compete con Bertani, il che è tutto un dire. 

13. É possibile avere l'intera gamma delle quattro stagioni in soli tre giorni, con un intero campionario di avversità meteorologiche allegate. Il mare, però, è stupendo anche quando si incazza. 






14. Las conchas finas al pil pil sono la mia nuova definizione di Paradiso. Sul serio. Dovessi farmi un tatuaggio, ci scriverei "make pil pil, not war!". 




15. Al Piyayo fanno un'ottima zarzuela de marisco, e ti portano persino tapas gratis se ci mettono più del previsto a prepararla. Certo, rischi di metterci tre giorni a digerire, però ne vale la pena. 




16. La Casa de Guardia crea dipendenza. 



17. Il mio quartiere è meraviglioso. Non che debba necessariamente venire qualcuno da fuori perchè me ne renda conto, solo che mai come in questo periodo sto accarezzando il pensiero che la prossima casa quasi preferirei trovarla qui che in centro. Il che apre le porte ad una fase tutta nuova - e forse più verace-  della mia malagueñità adottiva. 




martedì 14 marzo 2017

"David y Goliath": il ritratto più intimo di David Otero.

Mi sembra ieri che ho comprato il biglietto online, fissando mentalmente al 17 Marzo la data d'inizio di una delle stagioni concertistiche più appassionanti degli ultimi tempi. Da allora sono passati giorni, settimane, mesi. Nuvole veloci si sono rincorse in un cielo variamente azzurro mentre le coperte lasciavano piano spazio ai costumi sulle corde per stendere del patio. 

Per questo mi sembra incredibile che il countdown sia ormai agli sgoccioli. Venerdì andrò a vedere David Otero (aka El Pescao, aka gli strascichi di passione di una vita in musica); Ed è emozionante, dopo tanti anni, rendersi conto che per la prima volta potrò farlo senza bisogno di aerei, autobus o eccessi di preavviso. 




Suona a Málaga, a La Cochera Cabaret. E per l'occasione mi è sembrato giusto scrivere il post che rimando da una vita. Perchè avrei voluto parlarvene molto prima, dell'ultimo disco di David. Quando ancora odorava di nuovo. Quando l'involucro in plastica della Fnac conservava insieme il rumore dell'aspettativa e un silenzio vuoto di recensioni. Ormai lo sapete che la vita qui mi scompiglia i piani. Adesso di parole se ne sono spese tante, proporzionali al numero di riproduzioni in loop che ho concesso a quel quadrato musicale. 

Non mi rimane molto da dirvi, adesso, se non che la ritrovata identità di David gli ha regalato il disco migliore della sua carriera solista. O che riesce sempre, in qualche modo, ad essere un'iniezione istantanea di buon umore. Tra i miei brani preferiti ci sono "Un mundo para ti", la già citata "Me voy", l'ossessiva "Me enciendes" e l'ultimo singolo "Aire": un gioiellino in cui, come già accadeva per "Castillo de Arena", di nuovo gli elementi naturali si personificano per diventare protagonisti di una storia d'amore. 

Quello su cui però vorrei richiamare la vostra attenzione è "David y Goliath", la traccia che chiude l'album. É un pezzo che tende a passare inosservato. Snobbato dalla maggior parte dei fan. Diverso nel genere. Forse leggermente inferiore agli altri nella qualità dell'arrangiamento. Eppure - magari sarò strana - a me è subito piaciuto da morire. Il fatto è che ci trovo dentro il ritratto più completo ed intimo di David. Mi fa sentire felice di averlo conosciuto quel tanto che basta per sentirci l'eco di tutti i post, le conversazioni in camerino, le caramelle gommose e i marciapiedi di un quartiere di Madrid. E, cosa forse ancora più importante, nonostante sia così personale riesco lo stesso ad identificarmi in molti dei versi, con tutte le mie moderne e banali contraddizioni. 

Vi lascio la traduzione del testo, invitandovi ad ascoltarlo qui. 




Davide e Golia

(David Otero)

Non sono né alto né basso, 
né grasso né magro, 
Un po' solitario e non mi raso mai. 

Mi piace camminare per il lato della vita
In cui nessuno mi mente ma tutti mi guardano
Sono uscito dalla mia bolla e ho potuto guardare l'orizzonte
Io non mi rendevo conto 

Di cosa avevo di fronte: 
un mondo pieno di milioni di persone, 
ciascuna col suo sogno, 
ma quasi tutte sole. 

Io mi sento diverso 
da quasi tutto quello che vedo
Mi piacciono quelli in basso, 
a quelli in alto non credo. 
Sono un calciatore frustrato e con la dislessia
Un Cristiano dimenticato
che un giorno è andato in Chiesa, 
ma perché obbligato. 

Sono pigro 
nei confronti di tutto quello che non mi diverte
Schiavo dei social, 
connesso a tanta gente. 

Mi irritano le critiche 
e mi piacciono gli elogi, 
soprattutto se li ricevo 
per le cose che faccio. 

E tu che pensi 
che non ho dato il meglio di me, 
prigioniero del silenzio che non ho mai sentito. 
Sembra troppo tardi
e ti sei dimenticato di vivere. 
Magari se risvegli dentro di te
Le cose che solo troverà l'amore
capirai un po' alla volta
e prima che io possa continuare. 


Sono una via di mezzo
tra egoista e solidale.
Mi piace guardarmi allo specchio ogni giorno,
Mi annoia seguire tutta la politica, 
ma non c'è alternativa 
perchè ha bisogno di critica!

Ogni tanto nuoto
e mi credo una stella: 
spot alla tv, concerti alla feria...
Ma quando torno a casa e mi spoglio
sono un idiota come qualunque altro uomo nudo.

Io non venivo mai notato
dalle ragazze del mio quartiere, 
però mi consolavo con una del calendario. 
Fino a 17 anni non ho dato il mio primo bacio
ma è stato bellissimo 
perchè nessuno bacia come me. 

E tu che pensi 
che non ho dato il meglio di me...

Preferisco chiacchierare 
con il fruttivendolo del mio quartiere
che farlo con un swagger 
che era hipster un anno fa. 
Sono passato dall'essere l'ultimo della fila
a suonare su palchi davanti a migliaia di persone. 

Adesso sono di nuovo lo sfigato di prima, 
Con molti anni e tutta la vita davanti
Capisco meglio cosa mi ha dato la vittoria: 
sono quelli che ho davanti, 
non è la fama né la gloria

Non credo né al fallimento né al successo nella vita
Non credo negli estremi
Né nell'arrivare fino in cima, 

Mi sembra meglio godersi ogni singolo passo, 
anche se piccolo, 
anche se andiamo piano. 

Ed é tutta una pazzia:
innalzare la guerra come bandiera, 
i confini sulla terra, 
la quantità di barriere, 
i mari inquinati, 
i poli che si scongelano, 
uccidere migliaia di balene
e guardare dall'altra parte

Però, attenzione: bisogna andarci piano
perchè io sono il primo che consuma come un matto. 

Mi piace avere un iPhone e un paio di Levi's, 
guardare il calcio sui canali a pagamento...
io sono più snob degli snob. 

E come cavolo faccio?
Vado a vivere in campagna 
con un orto vicino a un lago 
e smetto di mangiare tanto? 
É che sembra che ci troviamo in un gioco molto complesso, 
chiusi in casa anche senza avere le sbarre. 

Dai il meglio di te adesso
che é il tuo ultimo minuto 
Me ne vado a quel paese
se non mi godo quello che faccio 
Dicendo quello che sono 
e a chi avesse qualcosa da ridire lo stendo
come Golia con la mia fionda. 


domenica 12 marzo 2017

Il giorno che il Kilimangiaro è stato a Málaga.

Lo scorso mese ho avuto l'opportunità di aiutare la troupe del Kilimangiaro nella realizzazione di un servizio sulla meravigliosa città in cui vivo. Ho passato contatti, fatto da interprete, consigliato luoghi da visitare. Ho persino condiviso qualcuna delle curiosità che più di altre mi hanno sempre colpita. Il risultato è un video che non riesco - letteralmente - a smettere di vedere. É andato in onda il 26 Febbraio e lo considero il ritratto quasi perfetto della "mia" Málaga. Se non l'avete ancora fatto, potete godervelo online cliccando qui (tranquilli, dura solo dieci minuti!).




giovedì 2 marzo 2017

FIMAF, o la mia prima sfilata di moda flamenca

Almeno due cose risultano subito chiare quando assisti alla tua prima sfilata: La prima è che le modelle di moda flamenca sono un'arma letale contro l'autostima. Ma sul serio. Ho visto tracce di bavetta scendere dai lati della bocca di un tizio imbambolato in prima fila. La seconda, che il sottofondo di commenti dei vicini di posto vale il prezzo del biglietto già da sé. Capti asserzioni tipo: "Ése no me gusta, si parecen las cortinas del salón"; Cori di approvazione con vocali allungate in stile "qué bonitooo por favo'!". Dubbi amletici come "Pero por qué carajo les pondrán tantas flores?". E, in definitiva, ti diverti da morire. 

Avete capito bene: Domenica scorsa ho giocato a improvvisarmi fashion blogger nell'ambito del FIMAF, la nuova fiera di settore che da soli due anni trova spazio al Museo automovilístico y de la Moda di Málaga. In fondo a un campionario di espositori che sembra una riproduzione in miniatura del SIMOF (sorteggi-a-cui-non-vinco-mai-niente-compresi) per un paio di giorni si sono alternate in passerella le creazioni di alcuni importanti designer del cosiddetto mondo dei volant. Tra i miei tanti impegni andalusi sono riuscita a ritagliare uno spazietto per la sfilata di Mof&Art Flamenca, che mi ha permesso di godermi un assaggio delle collezioni di ben 11 diversi stilisti.





L'impressione generale è stata di un'eleganza classica e minimale abbastanza in contrasto sia con quanto letto sui magazine dedicati ai trend per la feria de Abril, sia con quanto io stessa avevo avuto modo di apprezzare tra gli stand del salone sivigliano. A Málaga ho notato complessivamente molto più bianco e molto più nero, con tessuti a tinta unita, silhouette tradizionali "a chitarra" e un chiaro focus sulla schiena dato grazie a scolli impreziositi da pizzi, nastri e dettagli.






Si conferma invece la tendenza a puntare su maniche oversize e micro-volant, così come la persistenza delle frange e il mix di fiori e pois. 


Il brand Nuevo Montecarlo è quello che ha espresso forse al meglio il trend più interessante della stagione, che prevede abiti meno aderenti al corpo in favore di un maggior comfort e di una vestibilità adatta a tutte le taglie. 





Il capo più originale è stato invece, senza ombra di dubbio, la meravigliosa gonna double-face di Pepa Garrido, che permette di avere due capi in uno, per una personalizzazione quasi totale.





Pol Nuñez mi ha ricordato perchè è uno dei brand che ultimamente preferisco, applicando il suo caratteristico approccio colorato ad uno stile flamenco pret-a-porter: Dalla casacca a pois alla collana di echi etnici, più che su un tablao i suoi abiti li vedrei bene per un'occasione mondana o una serata estiva speciale. Spettacolare soprattutto il vestito a vita alta effetto "patchwork", diversissimo da tutte le altre proposte in circolazione. 





A livello di puro gusto personale ho adorato anche i capi firmati da Carmen Vega, che guarda caso pare che la stampa definisca "d'ispirazione italiana".





Per quanto riguarda le acconciature, i vicini avevano ragione: stando agli 11 designer di Mof&Art Flamenca, un solo fiore in testa non basta più. Abbondate, anche con colori non necessariamente abbinati all'abito. Grandi, piccoli, monocromatici o con accostamenti di tinte diverse, basta una passeggiata tra gli stand del FIMAF o un'occhiata alle vetrine del centro per capire che le opzioni sono pressochè infinite.