domenica 11 giugno 2017

Il ragazzo con i capelli blu.


Málaga, 28 Maggio 2017. 

Fuori dal Cervantes la gente è già in fila da ore. Ai fan di Dani Martín fare le file piace da morire, anche quando ci sono circa quattromila gradi all'ombra e i posti sono numerati. Alzo gli occhi al cielo, sbuffando malcelata insofferenza. Nella borsa ho un biglietto pagato troppo caro e decisamente troppo tempo fa. 

All'ingresso posteriore, Carmen si sbraccia per salutarci. Ha in mano un regalo per il cantante, una pizza di caramelle che adesso non sa a chi dare. Mi snocciola nomi che non associo a volti. Accenna a setlist che suppone che io conosca. E intanto, dietro di lei, le solite facce regolano il flusso delle solite persone al camerino. Chi rimane fuori brandisce  un amore giustificato da anni e oggetti, lamentandosi d'invidie che somigliano a odio. Sono paladini di ingiustizie formato retweet, come del resto sono stata anch'io. Perché "si è montato", perchè è "muy divo", perchè certe cose qui non cambiano mai. 

Non sono mai stata così indifferente a tutto, prima di un suo concerto. Lo dico e lo penso sul serio, gli occhi ancora persi tra i colori di Lagunillas, dove andare a cena dopo come unico problema concreto. Quanto sarà passato, quattro anni o quattro vite? Io vorrei soltanto andarmene da qui. 

La zona di Lagunillas, paradiso della Street Art a pochi metri dal Teatro Cervantes


Solo che poi, in teatro, il posto davanti al mio si rivela occupato da Naza. Due chiacchiere di rito. Il mio trasloco. "Ah, quindi sei tornata più o meno dalle parti in cui vivevi in Erasmus!", dice con tutta l'innocenza del mondo. Ma di colpo mi ricordo. Di quando uscivamo insieme, a parlare della passione che ci aveva unite attorno al tavolino di un bar. Nessun altro a parte lei sembrava capirla, ed era per questo che mi ci trovavo così bene. Naza, di colpo, è di nuovo la Naza con cui ero andata a vedere gli Efecto Mariposa alla prima Noche en Blanco. La Naza del Costa Pop e gli indirizzi sbagliati. Dello zucchero filato rosa - che chissà poi dove aveva preso - e dei passi di danza per strada mentre sfilavano le maschere del carnevale. Mi ricordo di quando mi aveva fatta entrare nell'hotel di Zaragoza con trentanove di febbre e un sogno da realizzare. Di quando aveva lasciato i sacchi a pelo sulle sedie dell'aeroporto di Barcellona perchè non stavano nel bagaglio a mano della Ryan Air.  "Tanto qualcuno ne farà buon uso!". Di quando giravamo i video al Parc Guell (tzan tzan) ricongiunte e perse mille volte dopo la sua paura di volare. Naza, che mi aveva chiamata per prima dopo il concerto di Roses nella sera speciale della mia despedida. Lei che gioiva con me, sempre. Che gioiva per me, come io facevo per lei. E le parlavo in italiano dopo una notte sull'asfalto di Madrid, per poi ridere assieme del mio perenne disagio bilingue. Cos'è successo dopo? Perchè abbiamo - perchè HO-  permesso che un'amicizia in musica andasse a puttane?

Il teatro Cervantes, all'interno


Comunque non importa, perchè adesso è ieri. É oggi. É sempre. E mentre le luci si suicidano nel buio un'assenza impaziente prende a tremarmi nel cuore. "Sono emozionata, Dio, sono emozionata!", continuo a ripetere a Céline, incapace di spiegare quello che provo davvero. Poi gli accordi de Las Ganas (almeno, credo sia Las Ganas) danno inizio ad un viaggio confuso tra gli ultimi undici anni della mia vita. Ci sono persone. Immagini. Protagonisti di attimi dimenticati. Lacrime che non riesco a piangere e risate che non riesco a ridere. Tutto in una voce che ancora sa di casa. 

Dani Martín al Teatro Cervantes di Málaga


E allora canto. E salto. E urlo con tutto il fiato che ho in gola. Mentre Una Foto En Blanco y Negro è ancora Trieste dai finestrini di un interregionale, Paris è l'overdose di un ritorno e l'anima si chiude dentro a un pugno ne La Suerte de Mi Vida. Ascolto Paloma e per la prima volta mi ritrovo nel testo. Rivedo nella mente il siparietto del bar di Por las venas. Associo Los Charcos ai diluvi di Málaga. E quando arriva la fine lascio tutti i polmoni su Cero. Perchè qui, in questo preciso istante,  voglio davvero che "Todo vuelva a empezar". 

O forse no. 

Dani Martín al Teatro Cervantes di Málaga


Quando raggiungo di nuovo l'uscita posteriore lo faccio, in fondo, solo per la curiosità dichiarata "di vedere se si ricorda di me". E nel profondo, irrazionalmente, spero di no. Perchè se Dani Martín non mi riconosce vuol dire che questo capitolo è ormai chiuso sul serio. Che questa serata è stata solo una parentesi. Che questo mondo non mi appartiene più. 

E così sopporto l'attesa, stordita da un afflusso di sensazioni contrastanti. Le orecchie fischiano la vicinanza con le casse. Céline mi parla di tutt'altro. Chiede il mio aiuto per organizzare un'intervista, credo; Ma, per quanto mi sforzi, adesso non la riesco a capire. Il numero di ragazzine isteriche attorno a noi, intanto, sta aumentando in modo preoccupante. Un piccione mi caga dritto in testa. "Mierda" - "Sì, eso es". Forse non è stata poi una buona idea. Ho appena finito di pulirmi con una catasta di fazzoletti di carta quando un branco di ormoni adolescenziali con le gambe inizia letteralmente a trascinarmi via con sè. 
Mi ritrovo sballottata tra la folla, in traiettorie non decise da me, mentre decine di smartphone si alzano all'unisono tra urletti a mille decibel in cui distinguo a malapena un "Dani". 

Lui quasi non lo vedo, finchè la sua mano scavalca le teste delle ragazzine per posarsi in una carezza sulla mia guancia sinistra. 
"Gracias, mi amor", dice semplicemente, guardandomi negli occhi. 

E gli anni non sono mai passati. 

"Cuánto tiempo!" è tutto quello che riesco a rispondere, prima che la folla mi trascini di nuovo via. Apro Twitter d'impulso. Digito in fretta un messaggio privato che visualizzerà di lì a poco. "Ha sido tan bonito como siempre", é tutto quello che scrivo. Perché non c'é bisogno d'altro. Perché é tutto lì. Nel sorriso ebete dei miei vent'anni. Nell'ovatta cerebrale che culla la mia euforia.

Così il mattino dopo, prima di cominciare a lavorare, sono di nuovo davanti ad un hotel. Lui esce di lì a pochi minuti, con la fretta di un AVE da prendere alla vicina stazione. 

Non mi saluta. Non lo saluto. Non parliamo. Semplicemente mi abbraccia, strettissima, tanto che quasi penso che in realtà mi voglia ammazzare. E per molte cose, forse, me lo meriterei. Semplicemente mi soffoca di mille baci sulla guancia, ché poi in fondo mica c'è altro da dire.

"Joder, è che ieri ti ho vista un secondo e sei sparita", esclama poi.
"Eh, c'era un casino".

Poi la foto di rito, ancora grazie, ancora scuse per un treno da prendere. 

"La foto di rito"

E se ci penso è assurdo che ci siamo scambiati in tutto meno di dieci parole e a me sia sembrata una conversazione lunghissima. Un dialogo che sapeva di bentornata, di rancori inutili e sepolti, di come il tempo passi e resti fermo insieme. Perchè certe cose, sì, è vero, non cambiano. Perchè le canzoni sono colla per ricordi. Perchè lui ora ha quarant'anni, si tinge i capelli di blu, indossa (sigh!) camice leopardate e fa le stories su Instagram con le orecchie di animali; Ma resta sempre l'autore della colonna sonora di una parte importante della mia vita. 

É che le vecchie passioni, forse, ti condannano per sempre. Anche quando le ignori. Anche se provi a dimenticarle, perchè credi che dimenticarle significhi crescere. E chi mai l'avrà detto, poi. 










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