venerdì 2 giugno 2017

Ripartenza in Fucsia.

Tutto era di nuovo come l'avevo trovato, compreso quell'orribile quadro all'ingresso che proprio non capisco come qualcuno possa aver avuto il coraggio di comprare. Ultimo sguardo alle pareti bianche. Non fosse stato per i buchi di qualche chiodo piantato male nessuno avrebbe detto che abbiano contenuto così tanta, meravigliosa, vita. 

Grazie, ho borbottato sottovoce. 

Poi me ne sono andata di fretta, come di fretta qui succede tutto. Tanto per non lasciarmi il tempo di pensare. 

E così, due giorni dopo, eccomi qui, a scrivervi da una casa con i muri fucsia, finalmente riemersa da una lunga assenza forzata. La valigia gialla, nei suoi contrasti accesi, mi parla di Almodovar e Gazpacho. Donne sull'orlo di una crisi di nervi - e mai titolo fu più azzeccato- mentre fuori respira accaldato lo stereotipo più bello d'Andalusia.




Nuovo quartiere, nuovo appartamento, nuova stabilità. In dispensa ho messo, ancora intonsa, una bottiglia di vino per festeggiare. Perchè dovrei esserne contenta, no?

Invece gli occhi si stanno appena sgonfiando da un pianto lungo quarantott'ore. Uno di quelli spossanti, disperati, da film. Quelli che ti sembra di avere la febbre negli strascichi di brivido che ti lasciano dietro. E il mio telefono, bastardo, l'icona della casa la mette ancora su Huelin. 

Non è facile fare un trasloco da sola. Senza patente. Troppo orgogliosa - e sopravvalutata- per chiedere l'aiuto degli amici. Ho incastrato mille viaggi in autobus tra il lavoro, due visite, il turismo. Ho usato quasi ogni parte del mio corpo come supporto per un sacchetto o una valigia. Ho impietosito autisti e signori anziani. Infastidito donne a cui ostacolavo il passaggio. Distrutto - probabilmente per sempre - la mia schiena. 

Insomma, alla fine forse è vero che è normale. Forse i miei occhi, quando li imploravo di smettere, stavano solo lavandomi via la stanchezza. Le notti insonni. Le emozioni contrastanti di questo mio ultimo mese. 

Perchè vivere al piano terra vuol dire anche litigare con gli insetti. Affrontare la sfrontatezza degli andalusi che si piazzano davanti alla finestra, con le braccia conserte, e con tutta calma guardano all'interno. Ché questa è pur sempre la cultura delle porte spalancate anche di notte; di quelli che escono in strada in mutande a parlare con i vicini; dei perfetti sconosciuti che ti raccontano la loro vita. Uno pseudo comunismo in cui tutto è di tutti, compreso lo sguardo assonnato che regali al mondo mentre apri le persiane di prima mattina.  

Il fatto è che credevo di non farcela, a riadattarmi all'asfalto dopo il mare. Al rumore delle macchine al posto dei canti dei pappagalli che si insinuavano nei messaggi vocali che mandavo alle amiche. A un posto in cui, invece dei palos flamenchi, i tamarri di turno pompano in loop "me enamoré" di Shakira. E il vento dalla costa che turbinava nel patio resta un ricordo vago nell'aria calda e malsana soffiata dal tubo di scarico dell'1. 

Ma a quanto pare serviva solo tempo, insetticida e sonno. Perchè oggi, dopo una passeggiata per le vie del quartiere, ho già ritrovato di colpo tutti i motivi che mi avevano spinta ad affittare. Le stradine in salita, con il contorno di case coloniali "che un po' sembra San Francisco". La vicinanza dal centro. La tranquillità.

Me lo ricordo bene, quel giorno. Pioveva acqua e malinconia sul mio ombrellino nero.
Mentre cercavo il luogo dell'appuntamento ero passata per posti vicinissimi eppure mai visti prima. Avevo scelto di perdermi, come di tanto in tanto faccio, finendo con l'ammirare graffiti colorati. Balconi gravidi di fiori di ogni sorta. Dettagli arabeggianti del mercado de Salamanca. Misteri di cancelli mezzi aperti su patii deserti eppure mai grigi. Un negozio di abiti vintage con prezzi al kilo mi aveva fatto venir voglia di rifarmi il guardaroba. E poi, per caso, mi ero ritrovata in una di quelle stradine stupende che si vedono solo qui in Andalusia. Piena di fiori, piante, casette bianche coi dettagli azzurri. La stavo attraversando in piena estasi, quando d'improvviso è uscito il sole. Ho alzato gli occhi sul cartello. "Non ci credo!". La via era quella. E il suo nome, per me, aveva pure un significato speciale. 




Ho deciso che era lei ancora prima di entrarci. Per forza. Per i segni. Perchè doveva esserlo. Ed era così carina, con le pareti fucsia e lo spioncino a ricordarmi Friends. Ricordo che l'agente immobiliare, mentre pagavo l'acconto, diceva che potrei anch'io mettermi qualche pianta nell'ingresso. E allora ho iniziato a pensare ai girasoli. Ai fiori rosa delle piante rampicanti. Ai pallet da dipingere e poi utilizzare come porta vasi. Cercavo "arredi pareti fucsia" su Pinterest, mi entusiasmavo per le idee sempre nuove che mi venivano, non vedevo l'ora di renderla mia.

Un po' come adesso, finalmente, di nuovo. Anche se Huelin ha impresso un solco indelebile nella mia anima. E, se solo ci penso, il mio cuore perde un battito nel desiderio intenso di tornare là. 

Ma nel frattempo Bienvenida, Vida Fucsia! Che tu sia colorata e piena di sorrisi. Che mi dia infinite ragioni per aprire quel vino. Che tu valga la pena, e la valga davvero, come tutte le persone che appena le incontro mi stanno antipatiche, perchè in genere sono quelle di cui poi mi innamoro. 



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