domenica 18 giugno 2017

Torera (con la o che diventa a)

L'arte, in tutte le sue forme, aiuta a vivere meglio. É questo che ho pensato ieri quando sono uscita dal Cervantes, oltre che ultimamente passo più tempo lì che a casa mia. Torera di Ursula Moreno mi ha lasciato addosso la soddisfazione euforica delle cose belle. Quelle che ti riempiono di brividi, stordendoti di commozioni trattenute mentre in platea parte la standing ovation. 

I volantini, per presentare lo spettacolo, avevano assemblato sfilze di concetti criptici. Parlavano di Eros e Tanatos. Dualismi. Totem. Sguardo femminile. 

Io, invece, lo definirei come una sorta di musical flamenco. Le melodie della chitarra, la voce discontinua del cante e - soprattutto - il ballo sono qui insieme pretesto e mezzo per raccontare una storia. Ed è un racconto in cui la mera narrazione dei fatti si alterna armonica all'evocazione delle sensazioni, come soltanto l'arte riesce a fare.  

Luci, scenari, costumi e coreografie si fondono per non lasciare niente al caso. Quello che creano, inscindibili e mai scisse, è la fusione perfetta tra teatro e tablao, tradizione e contaminazione,  classico e contemporaneo.  É pura Andalusia e, insieme, Pianeta intero. E in quella o cancellata dalla a c'é non soltanto il vero titolo, ma il riassunto supremo dello show. 




La trama é semplice. Una donna conosce l'amore spolverandogli le scarpe. Sono normali calzature da flamenco, come quelle che, sul palco, aspettavano la folla di ragazze che ballando scalze in mezzo al pubblico, hanno dato inizio alla funzione. Clamore di nacchere. Atmosfera festosa. Si fa conquistare, quella donna, in un gioco di bende che è certamente scherzo, ma anche un po' possesso e superiorità. 

Lui fa il torero. 
Lo vediamo poco dopo nell'arena, in una delle scene migliori, intento ad affrontare il toro incarnato dal magistrale Akim Santos: perfetto nel ricreare i movimenti dell'animale furioso - e poi ferito, e poi morente - tra ruote, acrobazie e passi di danza contemporanea. Quasi lo incorna. Posizioni congelate. La voce della cantaora, nascosta dietro ad un pannello, si palesa per la prima volta in un tragico "me apareció la muerte" mentre un solo fascio di luce illumina la ragazza del torero. In piedi tra gli spalti, un velo bianco in testa, sembra quasi la Madonna. L'attimo si scongela. Azione. Banderillas immaginarie. Ed é l'uomo a vincere, alla fine, i movimenti del capote alternati al zapateado. Il trionfo. La gioia. La felicità. 



Il torero e la ragazza si sposano di lì a poco, con tanto di cambio d'abito in scena. 




Durante la festa, il tempo si ferma di nuovo. Ed è lì che, in carezze silenziose allo sposo, la luce bianca ci svela le intenzioni di una delle amiche di lei.

Andranno a letto insieme, alla fine, in un amplesso ricostruito con i movimenti della bata de cola. La sposa li becca, nell'urlo disperato che il cante non lesina a sottolineare. 

Fine prima parte. E da lì tutto cambia, non solo nei vestiti. Da quel momento in poi la prima ballerina sarà sempre accompagnata, alle spalle, dalla figura del toro. Perchè lei, adesso, è il toro. Lo è in quanto bestia ferita, sconfitta, ingannata dall'uomo che ama. Ma lo è anche, forse, per la cieca furia che porta con sè. 



In un crescendo continuo, tra scontri e liti fatte di taconeo e braceo, le vicende precipitano verso il finale, che è poi l'altra delle scene che ho preferito. Il torero affronta il toro, di nuovo. Ma adesso l'arena non c'è. Adesso è solo un simbolo, un emblema, qualcosa che per questo è ancora più pericoloso. Il duello si consuma, per chiudere il cerchio, tra i ballerini vestiti con manti neri all'esterno e rossi all'interno, ad evocare il capote in un effetto coreografico ai limiti dello straordinario. 

Il toro sta per avere la meglio. Poi la donna, che osservava la scena dall'alto, gli si avvicina. Un solo colpo sulla spalla, e l'animale si ritrae. Lei restituisce al marito il fazzoletto con cui l'ha conquistata e lo guarda andarsene via affranto. Senza più tori. Senza più rancore.

Nella scena dopo la vediamo ballare da sola, felice, circondata dalle altre ballerine che sembrano indicarla come a dire "guardatela! Guardatela adesso". La cantaora mette in musica qualcosa che non capisco, ma che mi sembra voglia dire "ora respira". É una celebrazione delle donne, dell'indipendenza, della forza, della libertà. In definitiva, della o che diventa a

Che poi, magari, la mia interpretazione non è nemmeno giusta. Forse ho frainteso tutto. Forse non c'ho capito nulla. Ma il bello dell'arte, in fondo, è proprio questo: che ti lascia spiragli di apertura, buchi di irrazionale da riempire a tuo gusto con la tua visione del mondo, i tuoi sentimenti, e le tue prospettive.

Perciò se quel toro aveva un altro significato; se quelle parole me le sono immaginate; se era davvero soltanto una questione di tensioni contrastanti, Eros e Tanatos, visione femminile...beh, allora vi chiedo scusa tantissimo, ma non lo voglio sapere. Perchè Torera, io, l'ho fatto mio così. 

Perchè Torera mi ha fatto amare il flamenco ancora di più di quanto già lo amassi prima. 

E se mai vi capitasse di trovarlo in programmazione in un teatro vicino a voi, vi prego, fatevi il favore di andarlo a vedere. 


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