sabato 4 novembre 2017

Terremoti al pluriball

Disallestire mostre d'arte, questo lavoro ingrato. 
Nessuno ci pensa, quando guarda un quadro, alle persone che poi strisciano sul pavimento nel tentativo di ricostruire scatoloni. Persone che, nella fattispecie, indossano una poco appropriata - ma alquanto boho fashion - gonna lunga in seta con la tendenza ad incastrarsi nella fibbia dei sandali. Un minuto del raccoglimento in solidarietà ai figli degli scultori. 



Torno sul luogo del delitto per la seconda volta in troppo poco tempo. Agganciata alla spalla destra la mia sempre venerata Borsa Ikea contiene le armi di una guerra ancora da combattere. Forbici, nastro adesivo, due fogli, carta, penna, cinque metri di pluriball. Tra parentesi, ammetterete che ci vuole un discreto autocontrollo per trascinarsi dietro tutto quel pluriball senza far scoppiare neanche una pallina. 
Vabbè, dai, una. 
Forse due. 
Ok. Tre. Giuro, non più di tre. 

In ogni caso mi merito un riconoscimento dalla comunità Zen e l'iscrizione ad honorem nell'albo dei massimi esperti di mindfulness a livello mondiale. Auuummm. 

Seconda parentesi: si può sapere con che criterio dispongono le merci nei bazar cinesi? Voglio dire, dopo mezz'ora nel reparto cartoleria/carta da pacchi ho chiesto alla tizia dove fosse il "papel de burbujas" (scusate, bulbúa) e mi ha risposto, come se fosse ovvio: "assieme alla roba da cucina". Ora, spiegatemi che ci deve fare uno con il pluriball in cucina. Imballare gli involtini primavera? Cuocerli per produrre le nuvole di drago? Ho sempre pensato che sapessero di plastica. 

Comunque. Raggiungo un po' ingobbita la galleria per completare la missione imballi, capitolo 2 - The Revenge. 

"Puoi aspettare mezz'ora?", chiede la responsabile. "É che devo chiudere un attimo". 
Ok. Per la verità inizio a sentire i primi morsi della fame, ma ormai faccio parte della comunità zen. Quindi sorrido, dichiaro la mia assoluta e andalusissima assenza di fretta, e vado a sedermi su di una panchina del Muelle Uno. 

Panchina che deve essere peraltro stata collocata davanti ad una piantagione di Marijuana, perchè questo posto sa di Amsterdam, ah ah ah, peace and love, no women no cry, e dopo 5 minuti sono già del tutto rincoglionita. Nel frattempo apprendo anche che c'è stato un terremoto del quarto grado Richter. A Málaga. Che robe. Tutti ne parlano, nessuno l'ha sentito. Un po' come gli zombie, o il Paradiso. 

Per fortuna la signora della galleria non é di qui, quindi dopo trentatré minuti di attesa la porta del magazzino è già stata spalancata per accogliermi. 

É un posto enorme. Un po' buio. Pieno di pellet, tappeti da teatro e oggetti di arredamento di genere vario. 

"Ci metto al massimo quindici minuti", dico ottimista. 

Peccato che non tenga conto delle doti da equilibrista necessarie a pesare pacchi di grandi dimensioni su una bilancia da bagno presa dai cinesi (l'ho trovata nel reparto stufe) e un pavimento coperto di sassi. 

Morale: un'ora dopo sono ancora lì, con tre strati di vestiti in meno, la frangia distrutta e il sudore che gronda da ogni parte del corpo. Praticamente avvolta nel pluriball come un involtino primavera. 

Ho finalmente finito quando, d'improvviso, la luce si spegne. Sul momento penso a un guasto. Poi, sento le voci. 

"EEEEEHHHH ESTOY AQUÍÍ!" - inizio a gridare - "NO CERRÉISSSS!".
Ma, ve l'ho detto, il posto é enorme. 

Dal momento che nessuno accenna a una risposta, prendo d'impulso la borsetta (toglietemi tutto, ma non il mio iPhone) e corro a perdifiato fino all'ingresso. 

Giusto in tempo. Le due donne che stavano per chiudere la porta lanciano un urlo degno dei film horror - ma davvero é messa COSÍ MALE la mia frangia? - poi, riaccendendo la luce, scoppiano a ridere istericamente. "Qué susto! Ci eravamo dimenticate che eri qui". 

E per un attimo ho una visione di me chiusa in un magazzino buio per tutta la notte, senza cibo né acqua, che disegno una faccina sui sassi per farmi compagnia come in Cast Away. Destino avverso. 



Recupero alla bell'e meglio il resto della mia roba. Esco. E, in quel preciso istante, quasi a festeggiare lo scampato pericolo, un tuono apre le cataratte del cielo. 

Immagino non serva dirvi che l'ombrello non me l'ero portato. 








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